Continuare a chiedersi il perché dei silenzio delle donne o della loro invisibile presenza nel movimento non può che continuare a suscitare un imbarazzato e imbarazzante silenzio. Il problema semmai è che le molte voci assenti (e non solo quella delle donne) non trovano possibilità e volontà di espressione nelle sedi tradizionalmente deputate al dibattito e alla decisione collettiva e politica poiché non le riconoscono come luoghi di effettiva costruzione. Più interessante ed utile sarebbe quindi interrogarsi sul perché un movimento così femminiliizzato nella pluralità di pratiche, forme e contenuti, nella sua ferma convinzione della non autosufficienza dei soggetti che lo animano, nella resistenza che diventa Immediatamente costituente, nell’importanza attribuita alla comunicabilità e alla costruzione dei consenso, conviva con il persistere di forme di organizzazione e della decisione politica ormai inattuali, Inadeguate e superate. Infatti un movimento che fa della molteplicità delle pratiche e dei soggetti la sua cifra è inevitabilmente in contraddizione con la tendenza alla sintesi e all’unanimità insita nella natura di assemblee plenarie e comitati o nella figura carismatica dei leader. Il movimento nato a Seattle giunto a Genova, debordato contro la guerra in tutto il pianeta lo scorso 15 febbraio, contestando il governo abusivo dei mondo pone come questione centrale il problema della crisi della rappresentanza. In relazione a questo, la sperimentazione delle pratiche avviata dal movimento dei movimenti trova nell’invenzione di dispositivi che superino i meccanismi di delega e di restringimento degli ambiti decisionali la sua sfida più alta. In questo quadro ridurre il dibattito ad un problema di relazione tra donne e uomini è a nostro avviso semplificatorio e fuorviante: riduce infatti ad un dualismo “classico” quella complessità che costituisce la vera potenza dei movimento e allo stesso tempo indica come possibile soluzione una sorta di politica delle quote. Non sembra essere la rappresentanza mista la soluzione al problema quanto l’espressione delle singolarità attraverso pratiche, creative quanto radicali, di conflitto.
Serena Orazi, Serena Fredda