1 Marzo 2007

Lettere pedagogiche di Elvia Franco

Recensione di Laura Cima

Rispondo volentieri alla richiesta della maestra filosofa Elvia Franco di recensire il suo ultimo libro Lettere pedagogiche (Edizioni Kappa Vu) che ritengo fondamentale per ripensare in profondità al senso comune sull’educazione e la scuola.
La capacità di mettere in relazione duale mondi che oggi sono sempre più incapaci di parlarsi e di confrontarsi è uno degli aspetti che ne fa un’opera originale: governo e scuola, politica e educazione, burocrazia e vita viste con occhi che ogni giorno colgono nei bambini e nelle bambine l’essenziale della comunicazione.
Scuola, educazione e vita sono per l’autrice invenzione di pratiche didattiche appassionate nell’indirizzare nuove vite che si affacciano al mondo, rispettandone le diversità di femmine e di maschi, di culture e famiglie, e oggi sempre più di popoli e religioni.
Se misuriamo l’attuale tasso di abbandoni scolastici nel nostro paese ci rendiamo subito conto che qualcosa si è inceppato nella scuola. La frustrazione di quegli insegnanti che svolgono il loro lavoro in modo ripetitivo o repressivo, che hanno perso la via e non sono “più in grado di provare né stupore né sorpresa”, per citare ciò che dice uno scienziato come Albert Einstein, e sono per così dire morti, i loro occhi sono spenti, può essere superata se si prendono le distanze, come ha fatto la Franco nella sua critica costruttiva, da documenti ministeriali come il Pecup, troppo ambigui nel loro apparente buonsenso per non ammettere che forse il vizio sta proprio nel “neoliberismo che sta curvando la scuola alle sue esigenze”.Le lettere a Tiziana hanno portato nel mio cuore e nella mia mente tanta nostalgia per i miei anni di insegnamento che sono stati il fondamento della mia attività politica successiva. Insieme ai gruppi di autocoscienza degli anni 70, la scuola mi ha insegnato a relazionarmi e a cercare un significato profondo nelle mie azioni e in quelle di chi veniva in rapporto con la mia attività di parlamentare o di amministratrice locale.
Politica, governo e burocrazia, se non sanno dialogare con le nuove generazioni, sono potere fine a sé stesso che si autoriproduce che “ha bisogno di obbedienza non di maturazione, non di libertà di pensiero e profondità di vedute”. Per questo lettere pedagogiche andrebbero lette anche da chi governa.

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