9 Giugno 2007

Lo svantaggio maschile

Il numero di Via Dogana portante questo titolo interroga tale aspetto inedito, certamente poco indagato. Forse lo svantaggio maschile non corrisponde necessariamente a un vantaggio femminile. L’antimaschilismo fa ingombro? Quali invenzioni occorrono per rispondere al grido scomposto dei giovani maschi?
Molti i punti toccati nel corso della discussione di sabato 9 giugno 2007 alla Libreria delle donne, soprattuto incentrati sullo svantaggio maschile.

 

Laura Minguzzi avvia la discussione partendo dall’immagine di copertina: la performace di Vanessa Beecroft.
In copertina del numero 81 c’è una divisa di marinai. Visto che l’ho commentata a casa anche con Paolo (suo marito, ndr), qui presente, di solito anche lui in divisa, mi sono venute delle idee.
La divisa, per gli uomini soprattutto, rimanda a un bisogno, un bisogno di identità e di sicurezza. Riguardo, in modo specifico, la figura del marinaio, rimanda alla sessualità del marinaio che mi ha ricordato il bisogno di avere conferme in ogni porto in cui la nave attracca da cui è nato il proverbio ‘promesse da marinaio’.
A proposito di immagini, nel primo articolo compare il disegno del figlio di Marina Terragni La mamma gigante. Marina firma l’editoriale dell’articolo Lo svantaggio di lui non è il vantaggio di lei.
Passerei subito a un breve commento. A me è sembrato interessante l’incipit sul confronto – scontro con la potenza materna a cui sarebbero condannati i maschi costretti a una lotta continua per differenziarsi. Messo in parallelo con una scelta di un’emancipazione femminile vista come un esilio in terra straniera e di fatto, pensa lei, quasi una vendetta maschile. Da qui nasce un’esigenza per i maschi, secondo la Terragni, nudi dopo la caduta del patriarcato, di una seconda nascita simbolica per rivestirsi appunto di abiti simbolici che li riparino dalla potenza materna. Le donne cosa possono fare di fronte a queste nudità imbarazzanti, si chiede lei? Guardare al lavoro delle madri buone che, pazientemente, lasciano spazio all’altro. In conclusione l’essere pienamente donne ancora prima di esserci è tutto quello che noi possiamo fare per gli uomini. Essere prima di esserci.
L’articolo di Stefano Sarfati dal titolo secco e perentorio IO parla di sè con lui e con lei, la donna di potere, citando l’articolo Milano senza maiuscole del precedente numero di Via Dogana (Questo femminismo non ci basta).
Cito l’articolo: “Crollata l’impalcatura del patriarcato gli uomini si trovano senza rete di protezione nel mondo, le donne di potere sono in cima ad una piramide che si frantuma quindi lo sbilanciamento fra i sessi, dovuto allo svantaggio maschile, ha reso difficile la parola anche fra queste donne, è come se gli uomini avessero sparso di sale i luoghi attraversati dalla loro politica”
Per Sarfati il lavoro più importante è fare esercizio quatidiano di relazione di differenza e di mettere in parola l’esperienza. Scrive di sè e fa un’analisi coraggiosa e sincera della sua relazione amorosa con la moglie, Laura, e del suo legame con la madre. Disegna quindi un paesaggio simbolico in cui lui stesso può trovare una collocazione nel processo di cambiamento.
L’articolo di Giampiero Bernard che è di Foggia quindi non è qui stasera, vede la letteratura come la mediazione fra sè e giovani maschi in crisi. Parla della parzialità dell’essere maschio e fa riferimento ad un racconto, Vetri: “i vetri sono andati in pezzi come nella cabala, i vasi all’alba della creazione esiliando la presenza di Dio ma in ogni singolo pezzetto c’è una scintilla di divinità” per cui, come il personaggio del racconto prova piacere a raccogliere pezzetti di vetro, così anche per lui e anche per i giovani in crisi c’è un senso racchiuso nella parzialità dei vetri rotti, ricordi importanti, parti dell’anima. E soprattutto è un lavoro che non ha fine, è infinito, richiede attenzione e fiducia verso gli altri e verso di sè”.
Laura cita l’articolo di Francesco Siliato e parla delle tabelle che hanno suscitato reazioni di estraneità e disagio.
“Visto che ho citato la cabala mi piaceva ritornare ai numeri. I dati della tabella sono elaborati da Francesco Siliato. La difficoltà di leggere le tabelle, secondo me, si mescola al disagio di questa realtà che, pur essendo sotto i nostri occhi, provoca un moto di paura e di fuga.
Vita Cosentino nella sua rubrica Guardare indietro, che trovo molto interessante, ha trovato dati su internet a proposito dello svantaggio maschile in due ambiti: quello scolastico dove almeno da un decennio le statistiche segnalano che su dieci bocciati, tossicodipendenti o certificati di handicap, otto sono maschi e in un altro settore che è quello della dinamica demografica naturale dove si segnala il fenomeno della supermortalità maschile come uno dei mutamenti più profondi del ventesimo secolo. Secondo la ricerca citata nell’articolo il maggior rischio di morte per gli uomini associato ad una meno buona condizione di salute per la donne è uno dei più interessanti rompicapi per i demografi e gli epidemiologi. L’articolo di Traudel Sattler riguarda l’esperienza di uno scambio con una rivista on line di Francoforte, la signoria che ci permette di accettare giudizi maschili su di noi. Come dice il titolo L’antimaschilismo ingombra, è vero, ingombra il nostro orizzonte e la nostra pratica però c’è un avvertimento importante: non sarà che difronte alle raccomandazioni che ci vengono rivolte di essere accoglienti verso i maschi si nascondano sensi di colpa?
Ritornando ai siti e alle questioni delle giovani di oggi l’articolo Drag Kings e Drag Queens sui generis. Due divesamente abili di Sveva Magaraggia, ripreso dalla rivista Diogene filosofare oggi è un racconto, sulle sperimentazioni di violazioni di confini tra i generi, i parametri su quali poggiano le codificazioni sociali. La donna biologica di cui parla Sveva ha il potere di essere uomo, una politica femminista sostiene perché si sceglie di essere uomo e non si è costretti ad esserlo. Una volta aperta questa porta conclude: attribuiti nuovi significati ai generi, inizieremo noi, le viaggiatrici i viaggiatori più sensibili, a percepire l’esistenza di numerose altre porte da aprire.
L’articolo di Oriella Savoldi, Tra lo stipide e la porta, mi è sembrata un’efficacissima narrazione di come ha origine una passione politica. Parte dagli anni Settanta in modo molto stringato e stringente e alla fine della lettura mi sono venuti i brividi, la pelle d’oca. Ci racconta una posizione molto rischiosa e mi ha ricordato quello che si era detto qui in Libreria in occasione di una redazione allargata: la passione politica come assunzione di un rischio simbolico, una scommessa, di non voler essere mai in una posizione di superfluità nel mondo. Mi ha fatto pensare alle fiabe, ai romanzi dell’Ottocento dove c’è sempre una porta misteriosa che non si doveva aprire pena la morte o chissà quale punizione. Poi arriva un-una ospite e l’apre tranquillamente, incurante delle proibizione, oppure spinto-a dall’amore di sè o per la vita ricevuta in dono dalla madre, per rispetto dell’opera materna come dice Oriella. Il mistero si dissolve anzi la porta si dissolve, non si parla quindi di porte che si aprono ma di porte che si dissolvono. Quindi oggi è possibile non ritrovarsi fuori desideranti di entrare. Una donna libera è garante del passaggio; si tratta di avere fiducia nel fatto che la passione politica dissolve porte ovunque, fortezze, roccaforti maschili senza far cadere il mondo.
Poi c’è il racconto di Vita Cosentino e Federica Giardini, Due femministe al ministero della pubblica istruzione. Un incontro sulla sessuazione del sapere o piuttosto su che generi di saperi in previsione delle nuove indicazioni nazionali dei programmi scolastici. Le autrici registrano, a partire da quell’incontro con alcune donne che lavorano con la viceministra Bastico, l’avvenuto passaggio dall’oppressione all’espressione, dalla denuncia alla ricerca di figure, di forme, concetti che esprimano un nuovo mondo, un mondo cambiato. La differenza è un nome proprio, chi parla, chi insegna racconta del mondo in cui è. Con quel che accade a lei e a lui, un ritorno del rapporto vivo con il sapere che implica un interesse e un amore per l’altro e per l’altra che viene prima dell’amore per la materia di insegnamento o per l’oggetto del discorso.
Il mio articolo Bulli e pupe e il nonno a scuola è il racconto dell’estrema lotta che ho condotto per tutto l’anno a scuola per creare uno spazio vitale di trasformazione di corpi e materie indifferenziati in corpi sessuati che possano parlarsi, confiliggere, imparare a crescere insieme. Imparare ad ascoltarsi è la difficoltà di praticare questo esercizio alchemico in presenza di un forte desiderio di apprendere e relazionarsi da parte di alcuni, alcune in mezzo ad un grande numero di svantaggiati o inconsapevoli in un sistema di regole formali che poco spazio lasciano al libero scambio delle idee, dei racconti, delle riflessioni collettive per inventarsi soluzioni adeguate alla complessità della situazione reale.
Quindi il mio piacere nello scambio con i giovani e le giovani che è il succo dell’insegnamento l’ho difeso con le unghie e con i denti e anche con il nonno, come una madre difende il nido dall’invasione di uccelli predatori e devo dire che alla fine hanno capito. C’è stata una festa. Hanno capito anche certi miei modi un pò intemperanti, certi miei metodi dove il corpo agisce senza limiti fregandosene del polically correct, e quindi hanno capito il senso di quello che mi proponevo cioè toccare corde e risvegliare i sensi.
Della rubrica di Liliana Rampello Ai libri non si resiste ho letto di Ornella Vorsi La mano che non mordi. La scrittura di questa artista cosmopolita albanese, che vive a Parigi ed ha studiato a Brera, a Milano, è per me illuminante per capire lo spaesemanto dei balcani, la cultura di una che proviene da quei luoghi, lei infatti è albanese.

INTERVENTI DELLE AUTRICI E DEI PARTECIPANTI

Pasqua Teora
Il mio articolo è intitolato Il membro maschio, un ‘espressione che durante la redazione allargata ha provacato tanta ilarità e allegria. Cosa dire? Che per me rimane sempre estremamente importante la possibilità di raccogliere dati che emergono nel setting terapeutico per restituire, condividere con altre persone il materiale che emerge, sempre molto interessante e che in questo articolo racconto, parlando di uomini imprenditori di piccole medie aziende che si trovano in certi momenti della vita con un senso molto forte di disorientamento, di spaesamento e arrivano in psicoterapia e consultazione.
Un’altra cosa che ho notato è che recentemente, negli ultimi sei mesi, la percentuale di uomini che arrivano in terapia è crescente e questo credo che sia un altro dato interessante”.

“L’interpretazione potrebbe essere che c’è una sofferenza diffusa negli uomini che si sta manifestando in modo, dal mio punto di vista, abbastanza impressionante – dice una partecipante – Io però sono nella posizione di accogliere il disagio e questa è la testimonianza che posso portare. Ci sono uomini di successo che a un certo punto della loro esperienza si trovano a dover fare i conti con una sofferenza che non sanno decodificare, come dire che il sentire, l’emozionalità, tenuta sotto controllo per un sacco di tempo, ad un certo punto esplode, non riescono a creare connessioni oppure fanno fatica a crearle tra pensato e sentito. Facilmente saltano per aria i matrimoni e quindi vengono a chiedere aiuto. Sono circostanze fortunate per il fatto che dalla crisi c’è questa possibilità di cavare esperienza, competenza nuova, prima non sviluppate perchè evidentemente non serviva, non serviva ascoltare certi messaggi che provenivano dall’interno”.

Brunella Galante
Quando è che è caduto il patriarcato totalmente? Io non è che me ne sia accorta tanto, c’è stato qualche cambiamento, sgretolamento…non voglio dire che adesso siamo com’eravamo un tempo, ma io questa caduta totale del patriarcato proprio non l’ho vista.

Vita Cosentino
Considero importante il fatto che questo numero di Via Dogana abbia messo l’accento e fatto vedere che in questa realtà che sta cambiando totalmente, o non totalmente, c’è un problema emergente, ovvero che c’è questo svantaggio maschile. Perchè secondo me è importante? Perchè ci aiuta a mettere in parole delle cose che stanno succedendo, ci aiuta a leggere la realtà e lo dico con un’esperienza che credo che conoscete tutte se leggete i giornali. A Paderno è morto un ragazzo per droga a scuola. La risposta di Livia Turco è stata di mandare i Nass davanti a tutte le scuole, da settembre ci sarà il piano. La scuola stessa ha avuto un moto di grande coraggio, anche il paese, ovvero di fare un’assemblea di tutti e ragionare intorno questa questione. Lì è successo che dei maschi presenti, non ha parlato nessuno.
C’è un problema dei maschi e questo cambia il modo di leggere la realtà perchè senno hai risposte istituzionali di un certo tipo o anche un’intera comunità che in qualche modo cerca di dare delle risposte, non vedendo la questione principale e di conseguenza del senso di questa realtà e di quello che ciascuno di noi può farci dentro si perde quasi tutto. Io credo che la cosa importante sia di aver messo a fuoco questa questione: è il fatto che aiuta a leggere la realtà, non è tanto discutere se c’è non c’è lo svantaggio”.

 

Brunella Galante
Forse sono stata fraintesa, non voglio dire che lo svantaggio non ci sia. La cosa più divertente che si può trovare sullo svantaggio sono i famosi fumetti in cui c’è la bambina terribile, Lucy, che dice “Ah, io lo so fare, noi donne lo sappiamo fare e voi bambini no”. Il fratellino, Linus, allora risponde “studierò studierò”. Questo è il modo più plateale, più infantile, più interessante di capire questo svantaggio. Lo svantaggio c’è. Ma il patriarcato non è caduto. Lo svantaggio non dipende dal fatto che sia caduto il patriarcato, è che il maschile non è capito. Il femminile men che mai ma neanche il maschile non è capito nè dalle donne, nè dagli uomini stessi. Non è capito, non è sviluppato, non è elaborato, non è valorizzato. Il femminile ancora di più ma io ritengo che lo svantaggio non dipenda dalla caduta del patriarcato, di cui non mi sono gran che accorta, anche se, ammetto, ci sono stati molti moltissimi cambiamenti, cambiamenti talora anche in meglio. Che avvantaggiano le donne. Questa caduta non l’ho vista ma lo svantaggio è di tutt’altra natura, esiste ed è di altra natura. Si può fare qualcosa certamente, non si fa abbastanza, certamente”.

 

Mi sembrava interessante la tesi dell’articolo di Marina Terragni – dice una partecipante – che sostiene che lo svatanggio maschile non corrisponde a un vantaggio femminile. Mi sembrerebbe un discorso su cui si dovrebbe lavorare. In questi anni la libertà femminile c’è stata, è accaduta. Adesso si pone la necessità di una libertà maschile quindi ci si interroga sulle relazioni di differenza, le relazioni felici, libere con il senso maschile e, secondo me, ci troviamo qua, siamo in questo passaggio, in questo lavoro da fare, che è molto importante perchè è importante quello che scrive Traudel nel suo articolo. Secondo me è un momento di presa di coscienza fondamentale per chi ha attraversato il femminismo. Poi nello scritto di Pasqua Teora mi è sembrato importante il fatto di cercare di capire questi uomini in crisi, in difficoltà, anche con questo corpo forte che comincia a indebolirsi a infragilirsi. Che tipo di parole si possono dire? Sarei molto curiosa di capire che pratica fa lei, che invenzioni, che discorsi si possono fare. Quindi mi sembra questa la cosa importante perchè una volta si pensava: “voi cadete, lo svantaggio è vostro e noi andiamo avanti. C’è una certa crudeltà, c’è una certa necessità, non voglio avere sensi di colpa, non ho pena di te”. Non è questa la situazione. Noi abbiamo necessità che ci sia questa libertà maschile e questa libertà maschile si deve mettere a parlare. Da dove nasce, come si manifesta? Dove riconosciamo la libertà di un uomo? Dove lo vediamo, in che forma vediamo la libertà maschile? Questa è una domanda che ultimamente mi sono fatta. Io vedo degli uomini che sono assolutamente inconsapevoli, ce ne sono tantissimi, tuttavia si stanno risvegliando, si sta risvegliando la consapevolezza maschile.

 

Sulla questione degli uomini in difficoltà Pasqua Teora risponde.
“Quello che io osservo è che questi uomini che arrivano a entrare incontatto con il loro disagio e con questa spaccatura, una sorta di spaccatura, si rendono conto ad un certo punto che gli ideali che hanno perseguito sono ideali che forse non erano esattamente i loro, come se si fossero resi portatori di qualcosa che apparteneva alla generazione precedente o alle generazioni precedenti. Ho constatato diverse volte una sorta di scoperta. Dicono “ho fatto quello ho fatto, ero una scheggia impazzita non facevo altro che cercare fighe e donne da scopare, la gnocca era la cosa più importante perchè poi potevo raccontare all’amico, agli amici che cos’è che facevo”. La presa di coscienza per alcuni vuol anche dire che si rendono conto che non erano loro, come se avessero lasciato il posto con la loro vita alla vita di loro padre. Il padre ha lavorato come una bestia tutta la vita, loro sono i figli che hanno potuto studiare all’estero, fare tanti soldi quindi si sono impegnati nella realizzazione dei sogni del babbo ma anche della mamma. Quindi il disagio con cui fanno i conti ha a che fare con la presa di consapevolezza che forse loro sono altro, vogliono altro o se ne accorgono in quel momento quando hanno raggiunto tutta una serie di obiettivi che non erano esattamente coincidenti con i bisogni. Li arrivano a scoprire in quel momento perchè il corpo non ce la fa più, il corpo segnala. Per cui c’è un’intelligenza corporea, un’intelligenza emotiva che si allea con il corpo e quindi si devono preparare a fare uno spazio mentale, di pensiero e dare parola a queste questioni che prima non pervenivano, non venivano riconosciute. Allora questo mi sembra molto interessante. Quando tu dici che anche l’uomo deve emanciparsi, deve liberarsi, parli della libertà dell’uomo, libertà da che cosa? Magari, come per noi, anche loro hanno bisogno di liberarsi dai miti, del sistema precedente, allora forse c’è il patriarcato e ci sono dei valori borghesi. Uno mi raccontava “Io mi sono confuso, fuso con dei valori borghesi che oggi non riconosco più come apparteneneti a me alla mia sensibilità”.

 

Oriella Savoldi: “a me è sembrata interessante la questione, ripresa anche da Laura, riguardo l’intervento di Traudel sul fatto della signoria che la donna mostra laddove è in ascolto di cosa pensa un uomo di lei e questa cosa apre possibilità soprattutto alla libertà maschile che io vedo in particolare nel contesto del sindacato che io frequento. Il sindacato è molto pesantemente abitato da uomini e vedo libertà soprattutto nella capacità di un uomo di dare fiducia a una donna assumendosi il rischio anche di risultare ridicolo nel rapporto con i propri simili. Questa è una paura che nell’esperienza maschile ho incontrato spesso e volentieri e che è stata causa in qualche maniera della separazione del fra uomini. Anche per un uomo credo che valga l’assunzione di un rischio di mettere in scena lo scambio con una donna cosa che oggi comincia a darsi e mi sembra come possibilità interessante.”

 

Clelia Pallotta
Innanziutto volevo porre l’attenzione sul termine svantaggio. Svantaggio e vantaggio sono due termini che hanno un riferimento. Io da piccola quando mi mettevo a fare una gara avevo un vantaggio oppure avevo uno svantaggio se il prepotente di turno non mi dava il vantaggio che meritavo in quanto piccola. Riguardo questo numero, mi chiedo vantaggio, svantaggio in relazione a che cosa?
Lo svantaggio maschile, quello che capisco, è uno svantaggio simbolico, cioè gli uomini stanno attraversando una fase di gravissimo svantaggio simbolico. Si possono nominare serenamente le cose che hanno fatto la loro forza, il loro potere fin qua. Però lo svantaggio in termini concreti mi pare che venga colmato nell’esperienza che i media ci danno o che la mia vita mi dà, venga colmato con la violenza o i soprusi sulle donne. Questo svantaggio in realtà è uno svantaggio che va ragionato in termini teorici, nella pratica non mi sembra uno svantaggio così svantaggioso nel senso che poi ci sono delle contro cose che arrivano. Vedo anche degli uomini che fanno dei seri sforzi di considerare la parzialità di essere due come la realtà delle cose, questione nominata da Bernard nel suo articolo, cioè questo arrendersi all’evidenza di essere due. Questo lo vedo in alcuni come sforzo ma in altri vedo anche tentativi di mimesi, di entrare dalla finestra quando sono usciti dalla porta, io vado molto cauta non riesco a leggere questo svantaggio così chiaramente come mi viene detto. Volevo insomma lanciare questo sasso di critica.
Riguardo il film di cui parla Marina Terragni nel suo articolo riferendosi a quel personaggio maschile di American Beauty. Si tratta di un personaggio che è stato scritto da un uomo, lo sceneggiatore che ha inventato quel personaggio è un uomo, scrive sitcom, quindi abituato ai meccanismo psicologici del gradimento e del piacere degli spettatori, che quindi sapeva cosa doveva mostrare. Il regista è un maschio, quindi stiamo parlando non di esperienze concrete storiche stiamo parlando di una rappresentazione di un maschio quindi non mi sento di prendere quell’esempio lì come il prototoipo del maschio da considerare, con il quale empatizzare. E’ un personaggio scritto da un uomo che vuole far andare bene il suo film quindi la relativizzerei.

 

Stefano Sarfati
Prendo la parola perché anche a me interessa interloquire sul film e sono in disaccordo con quanto detto da Clelia.
Intanto che lo scrittore della sceneggiatura fosse uno scrittore di sitcom non vuol dire niente perché una sitcom può essere fortunata o sfortunata, quello lo decide il pubblico.
Sono in disaccordo con Clelia. Lei suggerisce di non stare tanto a parlare di questo film che dopo tutto è un’opera di ingegno di uno che cercava il successo e poi è un uomo. Io volevo dire questo: di autori di sitcom americani ce ne sono di bravi e meno bravi, c’è chi ha susccesso, c’è chi fa fiasco, non sta a loro deciderlo, fanno quello che riescono poi certe volte interpretano in maniera geniale cosa passa nel mondo e questo è sicuramente il caso di quel film. Il fatto che sia stato un uomo a scriverlo non è un di meno ma un di più perché chi altro può parlare di svantaggio maschile meglio di un uomo? Adesso entro nel merito di quello che volevo dire a proposito di questo articolo di Marina Terragni che a me è piaciuto molto. Io sono un ammiratore di Marina. Proprio quando parla di questo film scrive che è paradigmatico perchè l’uomo medio americano abdica all’identità tipica maschile, non riesce più a sostenere la parata virile, come la chiama lei che secondo me è una felice espressione, cioè questa parata di segni che mettono in mostra quello che normalmente significa patriarcato e abdica diventando un uomo di casa, rinunciando a fare carriera e contemporarenamente invece la moglie prende il suo posto. C’è questo tipo di movimento: l’uomo fuoriesce dalla collocazione e ci entra la moglie con tutti gli annessi e connessi, cioè lui parla di quello che capita a questa donna: fa carriera, si fa una storia rapida con un uomo di successo, va in giro con la pistola, sesso a consumo. Il commento che Marina fa mi colpisce particolarmente. Nel film succede che quando l’uomo prende coscienza di quello che stava capitando rinasce, anche fisicamente sta meglio. Marina dice il suo svantaggio è ambiguo perchè cova in sè una specie di vantaggio che nasce dal disincanto riguardo la propria condizione e la propria storia. Una creatura bisognosa che cerca l’amore questo è quello che lui si riduce ad essere alla fine di tutto. E il bisogno è spesso una condizione interessante. Questo pezzo è interessante e centrale e anche la mia storia perchè io ho iniziato la mia storia da un momento di forte svataggio da totale incapacità di rapportarmi al mondo maschile e quindi confermo che questa interpretazione che ha dato questo autore di sitcom io la trovo autentica perché mi ci sono anche specchiato e torno a questo passaggio cruciale storico in cui l’uomo è apparentemente in svantaggio e di cui Marina dice invece : attenzione perché il bisogno è spesso una condizione interessante e in quel film come anche nell’ultimo numero di Via Dogana quello che in cui si scriveva delle cinque donne che contemporaneamente hanno preso il potere a Milano, Milano non è cambiata, loro non parlano tra loro….
Il movimento è stato questo: l’uomo abbandona un campo e questo viene occupato da una donna e questo movimento, questo passaggio, fa capire che l’uomo è un passo avanti, se così è la situazione che l’uomo sta abbandonando quel campo e la donna abituata a vederlo come un posizione di privilegio e un posto vincente va là in quel posto abbandonato dall’uomo perché l’uomo ha raggiunto la conclusione che quel posto lì non è più interessante. Io deduco che l’uomo è un passo avanti.

 

Donatella Massara
Sui film a regia femminile io volevo riprendermi l’autorialità perchè io ho scritto una lettera per il sito della Libreria proprio su questo argomento ma l’ho scritta prima di sentire i vostri interventi.
Ma tu, Stefano, parli di essere avanti nel film American Beauty, o sei tu che ti rifletti in questa situazione?
Perchè se tu dici nel film è una conferma di quel che diceva Clelia e di quel che dico e probabilmente molte altre cioè i film non sono un’operazione neutra che riflette una realtà: ti puoi identificare ma c’è una proiezione sessuata. Allora io nella lettera mi chiedevo come mai Via Dogana dia così tanto spazio giustamente ai libri delle donne poi quando ci si trova davanti ai film sembra che vada un po’ tutto bene. Ecco di fronte a Via Dogana rimango senza parole, mi sento in minoranza perchè non ho scritto niente, faccio delle richieste e nello stesso tempo non mi sento ben contemplata, ma io dove sono in queste scelte che fa la rivista?
A me dello svantaggio maschile importa poco in realtà, ma sbaglio perchè se poi questo svantaggio produce aggressività, violenza, guerra figuriamoci ci vado di mezzo anch’io però non posso fare un’astrazione da me e dire adesso stiamo qui come fa Pasqua. E’ la sua professione parlare dello svantaggio maschile, io non ci riesco, dovrei fare l’attrice. Chiedo mediazioni culturali. Nella mediazione culturale capisco qualcosa di più. A me è piaciuto molto il pezzo di Giampiero Bernard dove racconta il libro di Giulio Mozzi e lì ho visto qualcosa di molto interessante. Concludo dicendo che potremmo fare una proiezione del documentario che viene citato nell’articolo di Sveva Magaraggia Venuz boy.

 

Oriella Savoldi:
Io invece ho trovato interessante la riflessione che propone Marina Terragni, ma, ancora prima della riflessione, quello che lei mostra perché in realtà quello che capisco è che è vero che nel film c’è un protagonista che è un uomo e il film è prodotto da un uomo, ma lei mostra di prendere sul serio quello che quest’uomo mette in mostra e il percorso che fa. Poi è chiaro che in Stefano risuona un pezzo della sua esperienza, sicuramente alcune cose in me non risuonano ma il passaggio è proprio il gesto e la mossa che Marina fa. Certo che, in fondo, è come se ci dovesse essere un interesse nella relazione con l’altro perchè se si colloca nel fatto che nella relazione con l’altro passa qualcosa di vitale per sè, il bisogno è quasi una molla che scatena le possibilità di scambio e di ricerca nel rapporto fra un un uomo e una donna. Cioè pensato a sè non dice niente, è chiaro che ci deve essere un desiderio di relazione autentico che uno e una mettono in gioco nel rapporto con l’altro sesso lì dove sono perchè hanno a cuore qualcosa che si sta giocando lì in qualche maniera. Lo svantaggio maschile a me pare qualcosa che c’è fin dal principio e da sempre e anch’io capisco questo rispetto al fatto che nel rapporto con la potenza materna è come se un uomo, venendo al mondo, tenesse su, avesse bisogno di costruirsi tutta una serie di struttutre e sovrastrutture che passano dal ruolo dal diritti ecc.
Capire questa cosa ed essere in gioco nel rapporto con l’altro che c’è e che è lì accanto a me, perchè o è il marito, il compagno, ecc, si tratta in qualche maniera leggere e nominare lo svantaggio, perchè letto in questo modo e visto permette di autoriozzarsi per quella cosa che dicevo ovvero che bisogna assumersi il rischio della relazione partendo dal fatto che non lo fai per l’altro, lo fai per te che sei lì e ti sta a cuore qualcosa.

 

Liliana Rampello
Riprendo rapidamente alcune delle cose che ho sentito. In risposta a te (Oriella, ndr), che la questione fosse chiara lo dice la scelta che è stata fatta dalla redazione di mettere in fondo al numero un pezzo bellissimo di Giuditta Larusso a proposito dello svantaggio maschile sulla paternità rispetto a un libro che non è più in circolo ma secondo me è già una risposta abbastanza completa a quello che tu ponevi come un problema delle origini dell’esser uomo o dell’essere donna. Per quanto riguarda le arti penso che dobbiamo stare molto attenti in questa discussione su chi la fa, come la guardiamo. In risposta a Donatella: la rubrica di Via Dogana è dedicata ai libri delle donne perchè noi qui vendiamo libri delle donne, scritti dalle donne e questo per me è molto importante, nel senso che deve essere un riferimento anche per noi per far circolare la letteratura femminile. Dopo di che è ovvio che si giudica la letteratura delle donne non in astratto o nel vuoto ma leggendo anche molta letteratura maschile e proprio a questo proposito, di cinema e letteratura maschile, devo dire che gli uomini, svantaggiati o no, sono sempre molto abili, io ho grande ammirazione per alcune operazioni che sanno fare gli uomini perché soprattutto artisticamente sono sempre in grado di dire qualcosa di quello che sta loro capitando. Ho pensato il discorso sulla paternità. Noi lo sappiamo sviluppare in tanti modi, gli uomini sono dei nuovi padri, negli ultimi due tre anni sono arrivati dall’America ma non solo dall’America, padri alla ricerca di loro figli, padri che hanno inseminato e non sanno più chi, né quando, né dove, che a una certa età…loro sono abili, veloci a leggere anche il loro svantaggio, a interrogarsi. Il loro problema sta più nella consapevolezza profonda. Io riprenderei in parte quello che diceva Sandra De Perini e il discorso che facevano anche Pasqua Teora e Laura Minguzzi, che io ho ritrovato molto ben esplicito anche sotto traccia nei due interventi di Oriella Savoldi sia nella lettera sia nel testo proprio, nel senso che lei lo fa a partire da questa cosa importantissima, che forse mi è anche più vicina, della passione politica dove lì proprio si vede nella figura che traccia nel testo Tra lo stipite e la porta si vede come la consapevolezza, la riflessione su di sè delle donne che le può portare nuovamente a tenersi insieme a non farsi più spaccare e disorientare. Il vantaggio femminile sta nell’autocoscienza femminile, sta in una pratica elaborata ma probabilmente si è diffusa, si muove, Marina Terragni la fa vedere anche nel suo libro, per cui oggi il vantaggio, ammesso il termine sia giusto e in questo secondo me Clelia ha fatto una riflessione interessante, è questa capacità di tenersi insieme. Che sia vero che gli uomini siano spaccati, è vero, questo lo si vede dappertutto e che questa spaccatura sia come riflesso di quello che loro stessi hanno prodotto, perché l’hanno messa all’origine del loro fare. Oggi lo svantaggio è chiaro e diventa il dolore, la sofferenza, il bullismo, l’incapacità di parola. Ora su tutto questo nell’intervento di Vita Cosentino ho sentito che non si deve chiedere risposte a Via Dogana, una cosa che mi piace moltissimo di Via Dogana è che in effetti permette di leggere delle realtà da un posizionamento poi non dà le risposte, perché il mondo non è tutto possibile, dicibile, ma ti dà una posizione. Da questo punto di vista in effetti la posizione è questa. Poi molti insegnamenti appunto sia nel rapporto di differenza con l’uomo sia nel rapporto tra donne, perché anche questo è molto importante, io li ho visti in controluce nei ragionamenti che ci propone Oriella. Questa sua posizione mantenuta nel tempo è dovuto ad autoriflessione, autocoscienza e pratica e allora torna appunto molto forte la domanda di Sandra. Libertà maschile è chiamata dalla libertà femminile per spostare il tema dall’ascolto, dal dolore dell’altro, della sofferenza dell’altro perchè non è maternage quello di cui c’è bisogno oggi ma c’è bisogno di relazone quindi anche di conflitto con gli uomini e anche tra le donne.

 

Traudel Sattler
Anche a me sembrava interessante quello che dicevi tu (Oriella, ndr), ovvero come possiamo entrare in comunicazione senza farci impressionare da questo star male degli uomini. A me serve nominare lo svantaggio maschile perché viene ampiamente mostrato, non è un caso che si parli molto di film e anche Vita Cosentino nella sua introduzione ha ripreso dei commenti sul film che aveva scritto a suo tempo Cinzia Soldano. Non solo al cinema, anche nei telefilm oggi si vedono maschi sfigati. Anche Vita diceva che adesso il cinema non propone più conquistatori di belle donne ma maschi depressi e anche i telefilm, fiction, documentari. Io che seguo la tv tedesca ho visto un documentario su una casa fatta per padri che hanno dovuto lasciare la loro dopo il divorzio. Non era la casa delle donne maltrattate ma era sulla falsariga di questa, era la casa degli uomini svantaggiati e quasi facevano tenerezza: avevano la propria stanza, nel week end potevano vedere i figli e dovevano imparare a vivere insieme con altri, gestirsi. Poi altri telefilm di uomini incapaci di gestire l’educazione dei figli salta agli occhi e quindi è necessario dirlo e riflettere come noi ci comportiamo rispetto queste questioni. Era proprio questo che mi sembrava interessante che anche in Germania, senza essere direttamente in contatto con noi, hanno sentito che c’è qualcosa nella comunicazione tra uomini e donne che non funziona ed è venuta fuori questa idea della necessità della riconciliazione che ha proposto questa Dorothée che non mi ha trovato d’accordo però per me era sintomatico il fatto che venisse il bisogno di fare un passo verso gli uomini, anche la sua idea di proporre come una commissione per la riconciliazione sul modello di Nelson Mandela. Tutto ciò mostra che si sente la necessità di una mediazione, cioè di un terzo che permetta di entrare in comunicazione. Però bisogna far attenzione a non farsi troppo intenerire. Come scrive Cinzia Soldano c’è una fascinazione che lo sconforto maschile opera sulle donne invece già allora lei proponeva di fare leva su quei sentimenti che ci aiutano a non occupare il posto di un’incessante riparazione materna.

 

Luciana Tavernini
A me sembrava interessante il discorso che aveva fatto Traudel. Relazionarsi con un uomo in particolare, in questo senso è una vera relazione, e a me sembra che sia possibile non creare svantaggio maschile se noi giochiamo sulla nostra libertà. Essere libere, per esempio, è aver bisogno di farsi regalare del tempo e non essere solidali con i valori che tengono in piedi un uomo nel patriarcato. Cioè molte volte le donne sono state solidali con questo chiedendo gioielli, doni, cose che aiutavano l’uomo a sentirsi in una collocazione patriarcale felice perché la sua donna poi lo sosteneva. Io mi sono sempre sottratta a questo. A me interessa il tempo, il togliere a mio marito quei valori voleva dire permettergli di averne altri, e altri per me erano la cura della vita. Mi sottraevo non a tutte le cose. Lui era molto soddisfatto e io avevo spazio per me e l’amore per i nostri figli, sapendo che mi amavano, potevo lasciare tutto lo spazio perché lui potesse godere di ciò. Questa è stata la mia strategia di non essere solidale con quei valori ma cercare da lui altri doni in cambio, altri che conoscevo come doni importanti. Un altro punto che mi è sembrato interessante nell’articolo di Traudel è stato quello delle giovani coppie. Molti giovani sanno essere in relazione tra di loro in modo ironico, piacevole, probabilmente perchè sono figli nostri e quindi hanno imparato a dare valore ad altre cose che non erano quelle che sostenevano il patraricato.

 

“Ho apprezzato l’articolo di apertura di Marina Terragni – dice una partecipante – perchè mi sembrava che aprisse concettualmente molte cose come la notazione relativa allo svantaggio originario. Sotto questo aspetto mi pare che si potrebbe interpretare il patriarcato anche come effetto dello svantaggio e questo è importante perchè illumina anche la qualità dello svantaggio contemporarneo proprio perché l’origine del patriarcato è lo svantaggio. Per caduta del patriarcato, si intende non tanto l’individuazione oggettiva di una caduta di struttura o di imparlcatura, quanto proprio il venir meno della presa che il patriacato ha sulle donne. Perché questo è il dato macroscopico ed è il dato che trasforma la scena del film, che io non trovavo così originale anzi credo che nella storia del cinema si trovino scene simili forse anche più preganti rispetto ai tempi, ma quello che fa diventare paradigmatica quella scena è proprio il fatto che il venir meno della presa del patriaracato scopre quello svantaggio che c’è sempre stato. Il fatto che emerga questa condizione di svantaggio, che poi poteva essere anche il fondamento stesso del patriarcato, porta a un dato, secondo me, importante che è la messa a nudo della condizione creaturale maschile che significa che l’uomo non è più dio ma è sceso a livello della creatura che era, che è sempre stata, quella condizione creaturale che ha sempre offuscato e nascosto. In questa nuova dimensione forse ha un senso assumersi la relazione perché ci sono i presupporsi di assumersi la relazione nel momento in cui gli uomini sono creature e come tali emergono. L’effetto forte dello svantaggio, quello più tradizionale quindi della guerra, della violenza e di tutto quello che continua del dominio patriarcale che ha perso la presa sulla donna, continua a prodursi e a produrre anche effetti sul mondo. Questo aspetto andrebbe indagato meglio dalla politica delle donne e naturalmente credo che possiamo assumerci il rischio della relazione ma non assumerci la condizione, che un po’ serpeggia, nell’ipotesi riconciliativa perché finiremo dal paralre con lui al parlare per lui.

 

Lia Cigarini
Nel testo che ho scritto insieme a Luisa Muraro si è parlato dello svantaggio maschile in un contesto ben preciso: le donne che vogliono sostenere la parità, l’uguglianza nascondono il fatto che gli uomini sono in difficoltà nella competizione del lavoro e della politica. Cioè, io penso che ci siano da una parte le donne della parità, dell’uguaglianza che devono nascondere lo svantaggio maschile altrimenti la loro politica crollerebbe, dall’altra parte c’è una reticenza ad assumere un possibile vantaggio politico che io intendo molto in senso politico, cioè in questo deserto di idee, in un momento di crisi di alcuni sistemi pensati dagli stati nazionali rispetto alla globalizzazione o anche più modestamente rispetto all’Europa, qualsiasi movimento antiliberitsta è capace solo di un’opposizione cieca, fisica ma non ha idee. Ecco io quello che noto è che, oltre a quelle che lo nascondono, ci sono le reticenti quelle cioè che non vogliono uscire dai loro spazi di donne e quindi dicono che non gliene importa nulla. Come non gliene importa niente? La politica delle donne, abbiamo detto, è la politica e quindi se c’è una crisi della civiltà e tu, donna, devi mettere al centro il tuo essere donna e la tua pratica politica. Insomma il testo era per chiamare le donne più che gli uomini, chiamarle a un’assunzione, a un’invenzione mentre qui oggi mi sembra, dalla discussione, si andasse più focalizzandosi sul maschile. La prova, la controprova che questo svantaggio che io vedo sia, come è stato detto, che tutte queste costruzioni simboliche stanno lì a compensare una minore fertilità, una minore produzione dell’esistenza umana. A parte questa cosa detta e stradetta nel femminsimo internazionale a me sembra, per la prima volta, (Lilli sottilineava questi grandi exploit artistici) che il potere maschile non abbia parola mentre una parola fragile iniziale ci sia nelle donne. Non vedo una parola maschile, vedo grande espressione della crisi, non c’è una parola della differenza maschile. Si attaccano, alcuni essendo in forte contraddizione, alla parola delle donne, girano a vuoto. Però appunto quando parlo di svantaggio maschile sto parlando alla politica delle donne che l’occulta o fa finta di niente per stare parallela a quella cosa.

 

Luisa Muraro
Sono d’accordo con Lia sul punto che il discorso dello svantaggio maschile è un discorso che si rivolge prevalemente alle donne, quasi sempre Via Dogana si rivolge alle donne. Certo ci sono uomini che sono interessati, ci sono uomini che ci scrivono e a volte parlano a uomini però certamente un discorso di svantaggio maschile è un discorso difficile da reggere per gli uomini e sono consapevole perché c’è il famoso fantasma della castrazione raccontato da Lacan. Lui credeva si potesse applicare a donne e uomini ma io non credo, è un discorso che si applica agli uomini e che è sempre una minaccia e le donne possono diventare minacciose se si mettono così disinvoltamente a fare il conto di quanto meno vivono gli uomini, di quanto meno sono potenti, di quanto male vanno a scuola, di quanto scemi sono in certe situazioni… Ho dovuto convincere Stefano a parlare di questo svantaggio, lui ha acconsentito e ho presente delle situazioni di vero svantaggio: la storia del muratore intervistato dalla nostra Monica. Questo povero uomo fa il muratore, è rozzo, è violento, tratta male la moglie il giudice sentenzia di pagare, mantenere la moglie e andare fuori di casa senza la possibilità di vedere la figlia. Si è confidato con Monica che lo ha intervistato. Questo è lo svantaggio maschile in questo tipo di società. La società non è più patriarcale, non lo è con ogni evidenza, che mi vengono ancora a dire che c’è il patriarcato mi viene da ridere, certo che ci sono ancora quelli che lo difendono strenuamente perché non vedono alternative: tutto il movimento islamista è sostenuto da uomini che vedono che se va avanti il modello occidentale loro franano: si vedono smantallato tutto e si vedono cambiate le donne radicalmente e loro perduti, quindi difendono il patriarcato. Il punto che tocca Marina è molto importante, tutti lo hanno riconosciuto, che lo svantaggio maschile non vuol dire il vantaggio femminile. Allora quella questione, non così ovvia, per niente, quando noi parliamo della superiore mortalità maschile, gli uomini muoiono di più, è chiaro dov’è lo svantaggio se non rispetto alle donne, le donne muoiono di meno, questo ero lo spunto di Clelia. Però non è che la cosa finisca qui, c’è un lavoro, secondo me, da fare rispetto alla questione di non fare l’equivalenza svantaggio maschile – vantaggio femminile tipo questi film come American Beaty: questioni come lui fuori di scena, lei entra in scena, sono di una biechezza terribile con tutto che il film ha i suoi aspetti belli però sono tremendi, micidiali, pericolossimi dal punto di vista culturale perché aizzano. Gli economisti e i teorici lo dicono expressamente di promuovere la parità donne e uomini per accentuare la competizione, perchè al capitale va bene. Quindi bisogna fare un lavoro politico. Lia si riferiva all’articolo Questo femminsmo non ci basta ma questo numero prende la parola dello svantaggio maschile da quel numero precedente riconiugandolo in un senso completamente nuovo. Volevo difendere la discussione che c’è stata qui: è vero che si è spostata rispetto al discorso che facevamo Lia e io in quell’articolo, però questo numero di Via Dogana riconiuga tutto il tema dello svantaggio maschile, lo riconiuga, ma appena comincia perché non propone cose, ovvero le propone implicitamente tra le righe per fare sì che lo svantaggio maschile non sia il vantaggio femminile o meglio per fare sì che il vantaggio femminile non sia lo svantaggio maschile. Quindi lo svantaggio maschile non sia né quello arcaico della fecondità che sarebbe una cosa schiacciante e non farebbe che aizzare i medici e gli scienziati a continuare con quelle ricerche in cui si capisce dove vanno a parare ovvero rendere superflua la donna per quanto riguarda la procreazione. Allora bisogna che non venga evocato quel terribile fantasma che le donne nascono dalle donne e gli uomini invece pure nascono dalle donne, la superfluità maschile. Il libro della Giuditta Lorusso punta su questo cioè il fantasma che hanno gli uomini è quello della superfluità del loro sesso e in effetti lei descrive l’interno domestico, quest’uomo che arriva e il bambino che dice “Poveretto mamma lui là fuori, prendiamolo qua con noi”. Il bambino fa coppia con la sua mamma e questo pover’ uomo, che sarebbe il padre, finito il patriarcato, entra in casa come un ramingo che sta per le strade e viene tirato dentro per pietà. Il fantasma di questa superfluità. Tutte queste cose è chiaro che quella parola lì le tira fuori ed è altrettanto chiaro che primo usciamo da un dominio sessista, e tante donne sono dentro a un dominio sessista che è pesante, e dunque tutto questo ci ha portato a un’estrema saggezza e quindi aspettiamo quello che faranno gli uomini perché noi credo che, sfiorando questo tema, diamo il compito di fare, ma il numero della rivista non lo dice, che il vantaggio femminile non sia lo svantaggio maschile se questo sia possibile veramente io non lo so. Sono rimasta molto colpita dal fatto che gli uomini che erano così protagonisti di una presa di coscienza di un percorso molto lungo, accurato, uomini intelligenti e sensibili, cosa hanno fatto? Un’associazione di soli uomini, una cosa puramente insensata a mio modesto avviso, ma certo molto sintomatica. Un’associazione di uomini che vogliono andare avanti con la loro presa di coscienza, con la differenza maschile e tutto quanto. Ecco questa cosa qui di cui non capisco la ragione politica è molto sintomatica di una situazione che è molto in sospeso.

 

Francesco Siliato
Devo dire a Luisa che non è vero che le donne muoiono di meno degli uomini, moriamo tutti. Si tratta di morire prima o dopo.
Non ho letto il numero ma mi sembra che gli uomini stiano mettendo in scena il loro svantaggio. Lo stanno mettendo in scena nelle sitcom, nel cinema, alcuni nella vita reale per quelli che credono ai film, ai poteri, alle ideologie. In questo momento, spettacolarmente, l’uomo mette in scena il suo svantaggio. Può essere stupefacente che le donne ci credano a questa messa in scena perché c’è un’ideologia, un obiettivo, un traguardo che probabilmente è spostato da un traguardo visto dalle donne. Perché è un vantaggio, uno svantaggio implica un arrivare da qualche parte. Definiamo queste due cose. Da bambini c’era il vantaggio di essere davanti e dietro ma c’era il traguardo, qui il vantaggio è simbolico, c’è il simbolico della messa in scena dello svantaggio. Mi riferivo a quello che sta sopra questa ideologia dominante che fa finta che sia tutto sotto controllo o che niente sia sotto controllo perché tutti abbiano paura che nulla sia sotto controllo. Pensavo anche agli studenti e alle studenti. Me ne accorgo tutti gli anni: le studenti sono più brave, studiano di più, prendono voti più alti, gli studenti meno ma perché questo potrebbe esser uno svantaggio? Potrebbe essere un difetto, gli studenti avanguardisti, più avanti delle donne, si sono resi conto che studiare quella roba è superfluo, fa perder loro tempo, vanno a fare qualcos’altro: giocano, si divertono, fumano, si drogano, non lo so non ho quell’età. In questa messa in scena dello svantaggio può esserci anche questo, c’è anche vedere che il traguardo è stato spostato e se non sai dov’è, probabilmente questa messa in scena andrebbe più approfondita da parte vostra.

 

Vita Cosentino
Non mi convince il punto che hai sollevato sugli studenti maschi, insegnare è stata la mia professione. Citavo all’inizio il caso di quel ragazzo morto e questa cosa qui tocca, mi tocca molto il fatto che uomini adulti non si mettano in relazione minimamente con questo problema eclatante e qui c’è un problema secondo me. Io infatti vorrei andare nella direzione affinchè questa cosa succeda in qualche modo perché, secondo me, di questa questione dei giovani maschi, che è un bel po’ incasinata, una componente è anche la sottrazione degli adulti maschi ad andarci dentro.

 

Laura Minguzzi
Anch’io insegno. E’ proprio questo entrare dentro le relazioni che è faticoso e soprattutto far capire, nella pratica nell’agire quotidiano, cosa vuol dire relazioni non strumentali non utilitaristiche. Perché se il ragazzo ascolta musica in classe, fuma, fa il clown, gioca, le ragazze invece mi ascoltano, studiano, comprano i libri che io dico di comprare, io mi pongo qualche problema, lotto appunto perché voglio far capire che nel mondo non è che deve pagare il comportamento del giovane maschio che pensa che tanto il traguardo si è spostato, non serve niente studiare. Questo discorso utilitaristico, mercantilistico io lo combatto giorno per giorno e questo è il punto: la responsabilità che io mi prendo di lottare per farglielo capire.

 

Marisa Guarnieri
Io volevo parlare un po’ di più del rischio della relazione nel senso che è la situazione più emblematica. La situazione più emblematica in cui lo svantaggio maschile non è il vantaggio femminile è il caso della violenza, più chiaro di così, però la presa di coscienza della propria violenza è un vantaggio maschile, la presa di coscienza della propria sventura, chiamamola così, per le donne è un vantaggio ma è una pratica che va fatta a distanza. Però questa cosa mi dice che non è così semplice, non è così tranquilla la presa di coscienza di uno svantaggio da esprimere in qualche modo che non è un vantaggio femminile e che il vantaggio femminile in quel caso possa non essere uno svantaggio maschile. Ci vuole un lavoro approfondito perché se no non succede, non accade, sono come due strade separate: o è il maternage o è la separazione. Per entrare dentro questa questione ci vuole un lavoro, un lavoro grosso con delle mediazioni dentro che io non so bene quali siano però sicuramente è uno spostamento di sguardo che non è facile, è spiazzante. Io ho avuto esperienze di incontri rispetto al mettersi in relazione con uomini violenti e quello che io ho sentito è stato un fortissimo spiazzamento di sguardo perché poi la modalità è la stessa di mettersi in relazione con una vittima, che è una donna, di mettersi in relazione con un violento, che è un uomo, nel senso che i capisaldi sono la stessa cosa: il rispetto, l’ascolto, la valorizzazione del positivo che c’è. Questo è spiazzante così come per certi versi mi ha spiazzato questo numero. Questo spiazzamento probabilmente è positivo appunto per costruire qualcosa in cui lo svantaggio diventa positivo se è presa di coscienza, se il vantaggio delle donne non diventa aggressione verso l’altro, io mi sento dentro un grosso lavoro.

 

Antonella Nappi
Io avrei voluto scrivere un pezzo ma non sono riuscita. Quello che a me sorprende di più della società maschile è l’incapacità e impossibilità alla modestia e questo bisogno di uscire da se stessi e di creare potere come manifestazione di modello maschile. Tutta la cultura accademica maschile o politica è un non voler avere buon senso, fuggire il buon senso. Nell’accademia il buon senso è la stupidità e l’intellettualità è il massimo dell’astrazione. Insomma i risultati riguardo alla ricerca scientifica per sanare gli organi di alcuni ricchi per aumentare il benessere. Anche questa ideologia che abbiamo vissuto in questi ultimi trent’anni di abuso di potenza energetica. Mi ricordo una brava giornalisita di Report che poi alla fine era finita per condurre un trasmissione nella quale diverse donne si lamentavano che non possono accendere il ventilatore, la stufetta, lo scaldabagno, lo scaldarrosto contemporaneamente, che è l’assurdo totale. Questo essere usciti di testa, tutti quanti, anche noi donne, dietro al potere, si fa fuori tutte le risorse del pianeta e non vuole discutere del distruiburire quello che abbiamo con gli altri, è il proprio il massimo di uno svantaggio criminale che ci ha trascinati nel disastro. Io vorrei che noi donne ci aiutassimo, perchè io nell’Università sono nello svantaggio più totale. Vorrei che riuscissimo ad aiutarci, le dimostrazioni scientifiche dell’astrattezza, incapacità di confrontarci con il reale del modello maschile del modello del potere, che riuscissimo a riportare la cultura proprio al buon senso alla modestia al guardare gli altri.

 

(Trascrizione a cura di Serena Fuart)

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