27 Maggio 2004
Carta

L’uomo è ridotto a “pater familias”

Stefano Ciccone

Nel dibattito sui referendum per l’abrogazione parziale della legge sulla procreazione medicalmente assistita cominciano ad aprirsi dei varchi che incrinano la posizione astensionista. Come uomo mi interessa stare in questa discussione non semplicemente da “progressista” contrastando una legge oscurantista ma ascoltando cosa mi dice questo conflitto. Quali domande mi pone, quali opportunità mi apre. So infatti che non posso linearmente fidarmi ne’ della scienza ne’ della “biologia”: due fonti di certezze che rappresentano altrettante gabbie nel mio tentativo di definire la mia esperienza come uomo.
Forse non è del tutto un caso che proprio il quesito definito sulla fecondazione eterologa sia quello che registra il maggior numero di obiezioni. La definizione errata (dato che non di fecondazione eterologa si tratta ma di semplice donazione di gameti maschili non provenienti dall’interno della coppia) sembra voler evocare ardite sperimentazioni mentre il tema al centro è ben più concreto e antico e riguarda la certezza della paternità.
Nella storia la responsabilità maschile nella difficoltà ad avere figli delle coppie è sempre stata dissimulata rispetto alla sterilità delle donne (quando non la loro “incapacità” a dare un erede maschio al padre). Una colpevolizzazione delle donne che però diceva al tempo stesso della “accessorietà” maschile nel processo riproduttivo. Un’accessorietà che credo sia fondativa dell’identità maschile e della stessa società segnata dall’ordine patriarcale. Patriarcato vuol dire potere del padre, vuol dire genealogia segnata dal nome del padre e dalla riduzione della donna a corpo gestante del seme paterno. La norma, la regolazione sociale del controllo maschile sui corpi delle donne ha reso visibile il ruolo paterno nella genealogia, ha affermato un ruolo maschile nel susseguirsi delle generazioni contro le evidenze della natura. Un ruolo, all’origine dell’umanità probabilmente non percepito, non visibile. Ma la costruzione di questo potere ha reso gli uomini estranei a se stessi e ai propri figli riducendo l’esperienza paterna nella rappresentazione del “pater familias” che fondando se stessa sull’astrazione del proprio ruolo e del proprio sapere ha negato legittimità storica a una relazione basata sulla frequentazione del proprio corpo come fondante di una paternità costruita sulla relazione.
La storia dei nostri padri e l’inutilizzabilità per noi del loro ordine, dei “dividendi”di privilegio e autorevolezza che abbiamo ereditato da loro, ci dicono che quella strategia è ormai esaurita pur nella sua capacità oppressiva che ancora esprime.
Dopo la legge anche la tecnologia, il sapere medico sono stati alleati della mascolinità storicamente determinata, nella lotta ingaggiata con il femminile per il controllo sul processo riproduttivo. I corpi femminili sono divenuti trasparenti e hanno rivelato “il figlio” prima della nascita rendendolo altro dalla madre e permettendo ai padri di costruire una relazione “anche fantasmatica” con la sua immagine riprodotta nei monitor. Un processo che non ha soltanto ampliato gli spazi di invasione maschile nei percorsi di autodeterminazione delle donne ma ha anche rinnovato l’esperienza della paternità e chiesto agli uomini una nuova responsabilità offrendo alle relazioni tra i sessi spazi per liberare la sessualità dalla finalità riproduttiva e le esperienze genitoriali dalla necessità biologica di ruoli attitudini dei sessi.
Ma anche la scienza, da alleata del desiderio maschile di controllo dei processi riproduttivi si è rivelata capace di enfatizzarne l’accessorietà fino a produrre la possibilità di una maternità che avvenga senza un rapporto sessuale con un uomo.
Insomma la ricerca maschile di protesi normative e tecnologiche si rivela una strada senza uscita che genera nuova miseria nell’esperienza umana degli uomini. Una miseria da cui vogliamo affrancare la nostra vita.
In questi anni è cresciuta anche nel nostro paese una riflessione e un’iniziativa di uomini che partendo dalla propria parzialità intendono interrogare la politica, le relazioni con le donne, i linguaggi, le relazioni sociali.
Questa esperienza politica sceglie di stare anche nella battaglia sulla legge 40 portando la propria riflessione che chiede un’interlocuzione con le donne oltre il tema dei diritti,della libertà del progresso scientifico, della laicità dello stato e della non influenza dello Stato nelle scelte personali. Si tratta di terreni per loro natura ambigui quando si tratta di relazioni tra i sessi. Penso solo, oltre le cose già dette, al pericoloso ritorno a un’idea della famiglia come luogo privato e protetto dallo sguardo pubblico che spesso si è rivelata luogo di violenza e oppressione anziché di libertà.
Le nuove tecniche, le nuove forme di definizione tra i sessi nella procreazione sono dunque segnate da nuove ambiguità che non voglio sottacere per necessità di schieramento in una battaglia che, utilizzando lo strumento rozzo del referendum non da grande spazio alla costruzione di percorsi di confronto e partecipazione più ricchi. Eppure in tutto questo vedo un’opportunità per parlare della mia domanda di libertà e di senso e scoprire che questa si incontra con l’autonomia e la libertà femminile e parte dall’esperienza che faccio del mio limite, come uomo, di non poter accedere alla paternità senza costruire una relazione con una donna.
Credo, ad esempio che vada ascoltata e valorizzata l’esperienza di quegli uomini che scelgono di diventare padri non biologicamente ma attraverso il seme di un donatore sapendo che non è la biologia che li renderà padri ma la relazione con quella donna e con quel bambino o quella bambina. Un’esperienza non banale, certamente segnata da una frustrazione e dall’esperienza dolorosa di un limite che viene reinventata e resa una risorsa e che forse può dire qualcosa alla rincorsa tecnologica alla genitorialità che chiede paradossalmente alla tecnica il supporto per fondarsi nella necessità della biologia.
Nell’esperienza maschile la genitorialità non è mai biologica, non si fonda nel corpo ma nella relazione, nella mediazione con la donna, nel riconoscimento reciproco . I padri possono assistere in sala parto le proprie compagne ma entrano in ospedale come i parenti, si accostano al letto della donna dove lei, porgendo il bambino lo indica come padre.
Vedo l’opportunità di una nuova politica tra donne e uomini che non si fermi ai diritti ma interroghi le esperienze di ognuno/a, in questo senso nella discussione sulla Legge sulla procreazione medicalmente assistita è necessario andare oltre le polarizzazioni tra libertà della scienza e necessità di normazione, tra desiderio di genitorialità e vincoli basati su modelli morali, tra laicità dello stato e eticità della legge.
I pochi gruppi di uomini che tentano un percorso originale di presa di parola a partire dalla propria esperienza parziale hanno, sul tema della nascita e sul ruolo dei due sessi nelle scelte che la riguardano, costruito negli anni iniziative e proposte tese a affrancarsi da una richiesta d complicità con politiche che tendono a imporre per legge limiti all’autonomia e alla libertà delle donne.
Non è nella legge (nel potere, nel ruolo patriarcale in famiglia, nel riconoscimento normativo di poter dire la propria sulle scelte procreative delle donne) né nel controllo tecnologico del corpo femminile, che potremo trovare risposta alla domanda di senso che segna la nostra condizione di uomini. Dobbiamo ascoltare i limiti del nostro corpo, farne e esperienza e chiedere di fondare una relazione con le donne sul riconoscimento reciproco tra due parzialità. Una relazione che, dunque, faccia i conti con i desideri e le fantasie di onnipotenza, le torsioni della libertà in autosufficienza, le promesse tecnologiche di reinvenzione dei corpi. Una relazione per la quale, come dicemmo molti anni fa chiede uno spazio vero tra la prima parola e l’ultima che le donne continuano a dover avere sulle scelte che riguardano la loro possibilità di generare un altro corpo da se’.
Per fare questo dobbiamo sgombrare il campo da un tentativo retrivo di normare le scelte di vita delle persone e il loro accesso alle tecniche, per aprire un nuovo spazio di confronto tra donne e uomini.

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