RISPOSTA INVIATA AL QUOTIDIANO LOCALE (non pubblicata) E AL VESCOVO (che non mi ha risposto)
Lucia Capecchi
Ho letto sui quotidiani di questi giorni, nelle pagine di cronaca locale, l’intervento del Vescovo Mons. Scatizzi sull’istituzione del registro delle unioni civili da parte del Comune di Pistoia. Non conoscendo ancora con precisione il contenuto dell’atto adottato dal Consiglio Comunale, mi sono limitata a seguire il filo logico del discorso del Vescovo cercando di comprenderne il significato, senza alcun pregiudizio. Dai toni così allarmati la prima cosa che ho pensato è che, al di là dei contenuti più o meno condivisibili, il Vescovo abbia voluto chiedere accoratamente ai cittadini e alle cittadine di Pistoia di riflettere e di esprimersi su questioni così cruciali del nostro tempo e di confrontarsi seriamente sullo stato attuale delle relazioni sociali. E’ a questo sollecito che mi sento in dovere di rispondere dal mio punto di vista di cattolica e di femminista. Ma prima di rispondere ho dovuto leggere attentamente la mozione adottata dal Consiglio Comunale, convinta che vi avrei trovato chissà quali elementi di novità. Niente di tutto questo. L’atto, almeno nella sua attuale emanazione e secondo il mio parere, è soltanto il riconoscimento formale che ci si può amare anche senza essere sposati e appartenendo al medesimo sesso e che ci si può aiutare vicendevolmente anche senza essere parenti. Mi sembra veramente poca cosa. Ma evidentemente ammetterlo per la Chiesa, ma anche per lo Stato, è ancora troppo difficile. Perché, mi chiedo. Cos’è che spaventa dell’amore, sia che includa la sessualità sia che non la contempli? Che lo fa essere trasgressivo quando non viene istituzionalizzato e riconosciuto dallo Stato o dalla Chiesa? Si dice che solo la famiglia è riconosciuta dalla Costituzione, che è il primo fondamento naturale della società e che il matrimonio religioso è un sacramento. Benissimo, non voglio discutere della Costituzione, in cui credo ancora oggi, e non voglio nemmeno discutere del sacramento del matrimonio, che è una cosa ancora più seria. Ma che cos’è oggi la famiglia? Che cos’è oggi il matrimonio? Su questo invece vorrei discutere, in primo luogo con il Vescovo che è così giustamente preoccupato del ruolo maschile. E’ vero, eminenza, gli uomini sono molto cambiati e non solo in meglio. Oggi è necessario per loro intraprendere un percorso di relazione con le donne fuori dall’ordine patriarcale con cui avevano stabilito storicamente la loro supremazia e che era così rassicurante per la loro identità. E’ stato scritto molto dalle donne sulla necessità di incontrare gli uomini a partire da un desiderio sganciato dal rapporto di dominio, sull’immensa prospettiva che si aprirebbe se gli uomini parlassero del loro desiderio di relazione e di paternità così come hanno fatto le donne in questi ultimi vent’anni. Se la spinta alla conoscenza reciproca e alla relazione fosse la libertà e non la forza. L’amore, infatti, si nutre solo di libertà e di relazione. Auguriamoci che la famiglia e il matrimonio siano sempre più fondati su questi elementi e che gli uomini diventino d’esempio ad altri uomini, in primo luogo ai loro figli. Allora solo i rapporti d’amore diverrebbero veramente l’elemento costitutivo di nuove comunità, di nuove società e di vere Chiese, senza bisogno di chiamare in causa la Costituzione, di sposarsi quando non se ne sente il desiderio o di voler essere inseriti in alcuna lista speciale.