1 Febbraio 2009

Monsanto all’assalto del Burkina Faso

L’introduzione del cotone transgenico provoca l’ira dei contadini africani

La crisi alimentare del 2008 ha rilanciato il dibattito sulle biotecnologie, che dovrebbero accrescere la produttività dell’agricoltura africana. Ma, come i loro omologhi altermondialisti occidentali, i contadini del continente nero temono le conseguenze sanitarie e sociali degli organismi geneticamente modificati. Il produttore americano di sementi Monsanto ha perciò deciso d’investire mezzi ingenti per imporli, con l’aiuto del presidente burkinabé Blaise Compaoré. La resistenza si organizza.

Françoise Gérard *

Il Burkina Faso, piccolo stato tra i più poveri del mondo, si è discretamente lanciato nella coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm), in particolare del cotone Bt (1). La collaborazione di Ouagadougou con il produttore di sementi americano Monsanto, nota al grande pubblico dal 2003, suscita un dibattito sempre più aspro tra i contadini e le associazioni locali in quanto esso rappresenta un test per lo sviluppo degli Ogm in tutta l’Africa occidentale. Com’è potuto succedere che il Burkina Faso abbia finito per lavorare con un’azienda famosa per il suo erbicida Roundup e il suo «agente arancio» (2)? La sacrosanta «lotta contro la povertà» alla quale gli Ogm contribuirebbero rilanciando l’agricoltura burkinabé è un ottimo pretesto, e le motivazioni reali delle parti cominciano solo adesso a essere chiare sotto la pressione delle associazioni…
Con la massima segretezza, nel 2001 sono iniziati i primi test sul cotone Bt in Burkina Faso, in violazione della convenzione sulla biodiversità del 1992 e del protocollo di Cartagena sulla biosicurezza del 2000. Tali trattati internazionali stabiliscono che i paesi interessati debbano munirsi di un quadro legislativo e prendere tutte le precauzioni possibili prima di cominciare la coltivazione di Ogm. Inoltre, i firmatari s’impegnano ad informare la popolazione dei pericoli e a non prendere alcuna decisione senza un’ampia consultazione pubblica.
Tuttavia, solo nel 2003, durante un seminario sulla biosicurezza a Ouagadougou, la Lega dei consumatori apprende l’esistenza di questi test e rivela ciò che l’Istituto dell’ambiente e della ricerca agricola (Inera) aveva nascosto. Monsanto sostenne che i test venivano effettuati in «zone confinate». In realtà, si trattava di appezzamenti di terreno recintati da reti strappate.
Dunque è a cose fatte che il Burkina Faso si mette in regola facendo ratificare dal Parlamento, nell’aprile 2006, il regime di sicurezza in tema di biotecnologia. I settantacinque articoli di questa legge avrebbero potuto rassicurare gli oppositori degli Ogm, se non vi fosse stabilito che il suo obiettivo è «garantire la sicurezza umana, animale e vegetale, e la protezione della diversità biologica e dell’ambiente» (art.22), incaricando della valutazione dei rischi l’Agenzia nazionale per la biosicurezza (Anb). Ebbene, secondo i loro oppositori, le colture Ogm vengono contestate proprio perché i rischi sono incontrollabili (3)…
Se Monsanto ha scelto il Burkina Faso, è innanzitutto perché è il maggior produttore di cotone dell’Africa occidentale, davanti a Mali, Benin e Costa d’Avorio. Inoltre, la sua situazione geografica ne fa il cavallo di Troia delle biotecnologie nella regione. Le frontiere sono permeabili: è noto che gli stabilimenti di sgranatura favoriscono gli scambi involontari. La contaminazione «accidentale» delle piante da parte degli Ogm conviene alle imprese «conquistatrici», poiché una pianta contaminata non può tornare allo stato precedente e non si può distinguere ad occhio nudo una pianta geneticamente modificata da un’altra.
Inoltre, i controlli tecnici sono molto costosi, e non sono alla portata delle comunità rurali. Gradualmente, gli Ogm si stanno dunque diffondendo all’insaputa degli abitanti. Mentre il Benin ha rinnovato per cinque anni la moratoria sugli Ogm, il Mali ha appena ceduto alle pressioni ed ha autorizzato i test sul cotone Bt.
Il Burkina Faso era l’anello debole dell’area: il suo presidente Blaise Compaoré cercava di riconciliarsi con la «comunità internazionale» dopo aver sostenuto attivamente l’ex-presidente della Liberia, Charles Taylor (4), durante la sanguinosa guerra civile negli anni ’90. Su di lui, pesavano i sospetti di avere alimentato il traffico d’armi e di diamanti nella regione. In pochi anni, il suo paese è diventato un allievo-modello delle istituzioni finanziarie internazionali e dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). La collaborazione con Monsanto ha anche rappresentato un gesto politico verso gli Stati uniti, molto irritati dall’atteggiamento di Compaoré.
A partire dal 2003, il ministro dell’agricoltura Salif Diallo fece del cotone Ogm il suo cavallo di battaglia. L’Unione nazionale dei produttori di cotone del Burkina (Unpcb), diretta da François Traoré, dopo aver manifestato le sue preoccupazioni, modificò le sue posizioni in cambio del 30% delle azioni della Società di fibre tessili (Sofitex), la principale società del cotone burkinabé privatizzata su richiesta della Banca Mondiale. Alcuni contadini dissidenti crearono, nel 2003, il Sindacato nazionale dei lavoratori dell’agricoltura e dell’allevamento (Syntap), ferocemente contrario agli Ogm. E cìè la dichiarazione di un leader contadino, Ousmane Tiendrébéogo: «Da noi c’è solo l’agricoltura; non hanno il diritto di giocare alla roulette russa con il nostro futuro».
Di fronte all’Unpcb ci sono tre società produttrici di cotone: la Sofitex, nella regione occidentale, la Società cotoniera di Gourma (Socoma, ex-Dagris), nella regione orientale, e Faso Cotone, nella regione centrale. Esse fissano con l’Unpcb il prezzo annuale: 165 franchi Cfa (0,25 euro) al chilo per cotone di «prima scelta» nel 2008. Esse forniscono – a credito – i semi, gli insetticidi e gli erbicidi necessari e poi, quando il cotone è maturo, vengono a raccoglierlo nei campi per portarlo allo stabilimento di sgranatura.
Questo «incarico» ereditato dal sistema coloniale è a doppio taglio, perché non lascia affatto autonomia al produttore. Proprietario della sua parcella, egli può teoricamente abbandonare il cotone se ritiene il raccolto insignificante, e adottare un’altra coltura più redditizia, come il sesamo (5). Ma in realtà, il suo indebitamento, il suo basso livello d’istruzione e i prodotti forniti dalle società cotoniere lo rendono molto dipendente del sistema. Yezuma Do, produttore, racconta: «Sono venuti con le autorità e le guardie per dirci che l’anno prossimo noi faremo tutti del Bt, perché è meglio per noi. Ma non ci dicono il prezzo dei semi. E se noi rifiutiamo, l’Unpcb ci avverte che non potremo sgranare il nostro cotone convenzionale nella regione». Stanco di lottare, Do prevede, con molti suoi vicini, di rinunciare alla coltivazione del cotone.
L’Uncpb e le società cotoniere si sono costituite in Associazione interprofessionale del cotone in Burkina (Aicb). In accordo con i ricercatori dell’Inera e della Monsanto, l’Aicb dirige la formazione dei tecnici e dei produttori. È lei che fisserà il prezzo delle sementi Bt per il 2009, e il cerchio si chiude. Nel 2008, dodicimila ettari di cotone Bt, tipo Bollgard II, sono stati coltivati per procurare semi per trecentomila o quattrocentomila ettari, dopo che l’Anb ha autorizzato la produzione commerciale del cotone Bt per il 2009.
Che succederà realmente? Mentre il seme del cotone convenzionale prelevato sul raccolto costa solo 900 franchi Cfa (1,37 euro) l’ettaro, i diritti di proprietà intellettuale (Dpi) dovuti alla Monsanto rischiano invece di superare i 30.000 franchi Cfa (45 euro) all’ettaro (6).
Ci si accontenta di rassicurare i contadini promettendogli che il prezzo non supererà i loro mezzi.
Si è costituito un fronte anti-Ogm, che unisce diverse associazioni: è la Coalizione per la conservazione del patrimonio genetico africano (Copagen). Ne fanno parte anche gruppi appartenenti ai paesi vicini (Benin, Mali, Costa d’Avorio, Niger, Togo e Senegal). Benché le sue capacità finanziarie siano ridotte, la Copagen ha organizzato nel febbraio 2007 una carovana attraverso la regione per sensibilizzare e informare le popolazioni sul pericolo. La manifestazione si è conclusa con una marcia di protesta nelle strade di Ouagadougou. Sui cartelli dei manifestanti si leggeva: «No al diktat delle multinazionali»; «Coltivare bio significa proteggere davvero l’ambiente»; «Gli accordi di partenariato economico (7) e gli Ogm non sono soluzioni per l’Africa, essi sono contro di noi: fermati-pensa-resisti».
Un partecipante riassumeva così il problema: «Se questi sono gli Ogm, non li vogliamo! I politici lavorano davvero per il nostro bene?
Bisogna diffondere subito e ovunque l’informazione e la sensibilizzazione sugli Ogm; non passeranno mai in Africa…» E anche preoccuparsi degli effetti della «propaganda» dei sostenitori del cotone transgenico.
La verità è che il fronte pro-Ogm non lesina spese grazie al sostegno del governo: conferenze stampa, viaggi-studio interamente pagati, eventi pubblici, film d’«informazione»… I depliant in carta patinata della Monsanto descrivono un mondo idilliaco con l’aiuto delle statistiche dell’Inera. Sostengono che i semi Ogm Bollgard II genereranno un aumento medio del rendimento del 45%, una riduzione dei pesticidi da sei a due passaggi, una riduzione dei costi del 62%, da cui deriverà un risparmio di 12.525 franchi Cfa per ettaro (cioè 20 euro) e, di conseguenza, un beneficio per la salute dei coltivatori e per l’ambiente.
Niente pare tanto aleatorio quanto il «rendimento medio», in un paese soggetto a una pluviometria capricciosa. Se non piove, capita che i contadini siano obbligati a fare due o tre semine successive. Finché il prezzo dei semi è trascurabile, si tratta «solo» di un sovraccarico di lavoro. Ma, se si devono acquistare i diritti di proprietà intellettuale, quanto costerà un ettaro di cotone? Inoltre, pare che il gene miracoloso rimanga vulnerabile alla siccità e che degeneri man mano che la pianta cresce. Ultimo inconveniente: durante un seminario organizzato dall’Unione europea a cui partecipava Traoré, è stato imposto ai produttori di cotone di tenere uno stock di sicurezza di pesticidi «nel caso in cui». Ciò significa che il ricorso ai prodotti chimici non necessariamente diminuisce.
Infatti, si possono verificare due fenomeni: la comparsa di insetti resistenti al gene (in quattro o cinque anni) e di infestanti secondari immuni dal gene. Gli Stati uniti e l’India hanno dovuti affrontare questo problema. Curiosamente, mentre il Comitato consultivo internazionale del cotone (Ccic) (8), riunito a Ouagadougou dal 17 al 21 novembre 2008, ha vantato i clamorosi successi del cotone Bt indiano (sei anni consecutivi di aumenti nel rendimento), non è stato fatto alcun cenno all’ondata di suicidi tra i piccoli produttori rovinati da una produzione ben inferiore a quella che era stata fatta intravedere loro.
Quanto alla riduzione dei costi, è difficile indicare una cifra, poiché Monsanto mantiene gelosamente il segreto sul prezzo dei Dpi, che si aggiungerà a quello dei fertilizzanti e degli erbicidi. Supponendo che i rendimenti siano migliorati (9), la differenza non permetterà altro che di annullare il sovrapprezzo dei Dpi.
L’argomento a cui i coltivatori sono più sensibili resta la diminuzione dei pesticidi sbandierata da Monsanto. In effetti, durante i giorni di spargimento dei pesticidi, capita che gli agricoltori dormano nei loro campi con tutta la famiglia, esponendosi così alla notevole tossicità di tali prodotti. Tuttavia, si può utilizzare un insetticida naturale estratto dal neem, un albero che cresce nell’Africa occidentale.
Basta un inquadramento tecnico, come dimostrano le esperienze fatte in Mali sul 10% delle superfici coltivate a cotone dalla Compagnia maliana per lo sviluppo dei tessili (Cmdt). Nel 2001, l’Organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha, da parte sua, lanciato un progetto di gestione integrata della produzione e degli infestanti (Gipd) con l’obiettivo di ridurre, fino ad eliminarlo, l’uso dei pesticidi. Tuttavia, nulla è stato fatto affinché questo programma del Gipd superi lo stadio di test-pilota. In più, «l’Unpcb si comporta con i contadini come una milizia, rafforzando la politica della Sofitex che ci impone fertilizzanti ed insetticidi, senza darci la possibilità di rifiutarli», protesta Do.
Fra le soluzioni di ricambio agli Ogm, esiste il cotone biologico ed equo che l’associazione Helvetas ha lanciato in Mali nel 2002 e in Burkina Faso nel 2004: nessun prodotto chimico, concimazione organica (gratuita), raccolto di prima qualità… Il suolo si rigenera invece di degradarsi. Il chilo di cotone è pagato 328 franchi Cfa (0,50 euro) al produttore, contro i 165 franchi Cfa (0,25 euro) per il cotone convenzionale. La filiera già riunisce cinquemila piccoli produttori su circa settemila ettari nelle tre regioni, (Ovest, Centro ed Est) del Burkina. Ma parecchi ostacoli sembrano frenare la sua espansione: oltre agli interventi rumorosi e scorretti di Monsanto, alleata delle istituzioni finanziarie internazionali, il trasporto del concime organico ha bisogno di un asino e di un carretto. Sono pochi i contadini che dispongono di tali mezzi.
Secondo Abdoulaye Ouédraogo, responsabile della filiera del cotone all’Helvetas Burkina, «qui non c’è futuro per gli Ogm. Innanzitutto per ragioni climatiche. Inoltre, perché i piccoli produttori non applicheranno mai le regole. Essi si preoccupano prima di riempire i granai per nutrire la famiglia: il cotone viene dopo. Non è come negli Stati uniti, dove si pratica la monocultura a perdita d’occhio…».
L’accanimento pro-Ogm si spiega quindi non solo con la volontà delle multinazionali, ma anche con l’arricchimento che ne trae una classe privilegiata ai danni dell’interesse del paese.

note:
* Giornalista, Ouagadougou.

 

(1) Il cotone Bt è una varietà locale a cui si è aggiunto un gene estratto da un batterio del suolo, Bacillus thuringiensis, mortale per alcuni agenti infestanti del cotone.
(2) Soprannome dato all’erbicida – estremamente tossico per l’essere umano – più usato dall’esercito degli Stati uniti in Vietnam per distruggere i raccolti e defogliare le foreste. Si legga Francis Gendreau, «Vietnam, l’agente arancio uccide ancora», Le monde diplomatique/il manifesto, gennaio 2006.
(3) Si legga Aurélien Bernier, «L’avanzata degli Ogm oltre l’ingannevole controllo», Le monde diplomatique/il manifesto, novembre 2006.
(4) Taylor è attualmente giudicato dal Tribunale speciale per la Sierra Leone, per aver sostenuto in questo paese, il Fronte rivoluzionario unito (Ruf), il movimento ribelle responsabile dei crimini contro l’umanità.
(5) Un’associazione italiana aveva lanciato un programma per l’esportazione molto vantaggiosa per i produttori. Temendo la concorrenza per il cotone, le autorità l’hanno fatta fallire.
(6) Si veda il sito dell’associazione Grain, che dispone di una documentazione molto completa: www.grain.org
(7) Gli accordi di partenariato economico (Ape) sono accordi commerciali con i quali l’Unione europea tenta di sviluppare il libero scambio con i paesi del Sud. Tenuto conto dell’opposizione manifestata dalla popolazione e da numerose associazioni, le negoziazioni, iniziate nel 2000, non hanno potuto concludersi con tutti i paesi. Cfr. La pagina «Stop Ape» sul sito dell’Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto ai cittadini (Attac): www.france.attac.org/spip.
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(8) Il Ccic riunisce tutti gli anni i più grandi produttori del mondo e i loro partner. Le sue previsioni per il 2009 sono pessimiste.

(9) Diallo, il ministro dell’agricoltura, prometteva dei rendimenti di tre tonnellate, tre tonnellate e mezzo per ettaro… I migliori test con gli Ogm hanno dato una media di solo 1,3 tonnellate per ettaro. (Traduzione di A. D’A.)

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