27 Aprile 2013
la Repubblica

“Noi, maestre per passione in una scuola di frontiera”

di Benedetta Guerriero

«In una scuola come questa non puoi permetterti di proporre sempre gli stessi argomenti, qui la situazione è in divenire: bisogna continuamente ricercare e aggiornarsi, altrimenti prevale la frustrazione». Sono passati quasi trent’anni da quando Tiziana Franziani ha cominciato a lavorare alle elementari di via Sardegna a Cinisello Balsamo, hinterland milanese, in un piccolo edificio del quartiere Crocetta che accoglie soprattutto famiglie straniere. In questa struttura, incuneata tra viale Fulvio Testi e l’ingresso dell’autostrada A4, separata anche geograficamente dal resto della città, Tiziana è arrivata agli inizi degli anni Ottanta, dopo aver insegnato a Buccinasco, Baggio e nelle scuole serali di Londra.
«Quando sono rientrata dall’Inghilterra, c’era posto alle elementari di via Sardegna, cercavano una maestra di inglese e mi sono fermata», spiega. Dopo l’ondata migratoria dal Sud Italia, a Cinisello giungono albanesi, sudamericani, arabi, romeni, ucraini, senegalesi. Nel quartiere Crocetta i bimbi extracomunitari sono sempre più numerosi e Tiziana diventa un punto di riferimento per i loro genitori. «La nostra scuola è stata una delle prime a inserire la figura del facilitatore di apprendimento per gli alunni », dice con fierezza, mentre ricorda col sorriso la proposta dell’ex ministro Mariastella Gelmini di limitare al 30% la presenza straniera nelle aule, costringendo la preside a chiedere una deroga per l’istituto di via Sardegna, in cui la soglia era nettamente superiore. «Allora i bambini extracomunitari raggiungevano il 43%, ora sono il 90%, ma le tensioni restano sconosciute», spiega Paola Vaia, maestra di matematica. A soli 18 anni, terminate le magistrali, vince il concorso, a 19 diventa di ruolo e a 21 anni comincia l’avventura nella struttura di Cinisello.
L’intesa tra la maestra di inglese e quella di matematica è immediata, entrambe decidono di rimanere in quella scuola che, soprattutto negli anni passati, ha messo in fuga diversi insegnanti, spaventati dalla sfida dell’intercultura. Una sfida difficile che richiede dedizione, autorevolezza e spirito di adattamento. Nel corso dell’anno i bambini partono e arrivano da un momento all’altro e bisogna essere pronti a inserirli, creando occasioni di scambio e accettazione. Non è dunque un caso che prima di iniziare le lezioni gli alunni si dispongano in cerchio. «È il cerchio dell’accoglienza — dice Paola — . I bambini attendono che arrivi nelle loro mani la palla per poter prendere la parola». Quello che accade nel mondo e le loro vite sono gli argomenti principali di discussione. «Il nostro compito è destrutturare le chiusure di partenza per favorire il dialogo », afferma Silvia Galli, che in via Sardegna è approdata dopo l’esordio, a 19 anni, in una struttura privata. La complicità con le colleghe, il desiderio di scoprire nuovi metodi capaci di facilitare l’apprendimento dei bambini, l’ha fatta fermare. Insegna italiano e non nasconde gli sforzi che quotidianamente si affrontano per aiutare gli alunni non solo a trovare nella scuola un contesto dove potersi esprimere, ma anche un luogo in cui apprendere. La didattica, inutile nasconderlo, ne risente, i tagli hanno polverizzato le risorse destinate all’istruzione pubblica e anche le elementari, fiore all’occhiello del sistema scolastico italiano, ne pagano le conseguenze. «Quest’anno non sono partiti i laboratori di italiano — racconta Tiziana — . Almeno c’è ancora la figura del mediatore culturale, fondamentale quando si presentano problemi con i nuclei di origine dei nostri studenti». Famiglie complesse che la crisi ha messo a dura prova. Molti bimbi hanno madri che lavorano come badanti o sono impiegate in imprese di pulizia che le impegnano anche la sera, costringendoli a diventare grandi in fretta. «Siamo orgogliose del rapporto che abbiamo coi genitori — dichiarano — . È scattata quell’empatia che ha permesso loro di fidarsi, hanno rispetto per il nostro ruolo, diversamente da quanto ormai accade altrove». E qualche alunno che ha mosso i primi passi nelle elementari del quartiere Crocetta è arrivato lontano, si è iscritto all’università, diventando, per la soddisfazione delle maestre, proprio mediatore culturale. Paola, Silvia e Tiziana non hanno dubbi: dalla scuola di via Sardegna escono bambini portati all’accoglienza e capaci di interpretare con maggiore naturalezza la società multietnica.

Print Friendly, PDF & Email