14 Agosto 2013
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Noi maschi dovremmo occuparci di più del femmicidio

di Beppe Severgnini

Ero a Madonna di Campiglio e li ho incrociati. Professionisti di mezza età con redditi da adulti e vezzi da giovani: un’auto veloce, un’attenta trasandatezza nei vestiti, le salite in bici come nuova sfida, il calcio o il tennis praticati con agonistica serietà, i risultati esibiti come prove di gioventù residua. Chiacchiere notturne di amori e viaggi. L’estate come stagione speciale, un catalogo di possibilità tra città vuote e spiagge piene; e la montagna dell’infanzia, dove tornare da vincitori.

Non ho incontrato Vittorio Ciccolini con Lucia Bellucci, ma avrei potuto. A Campiglio come in tante località turistiche italiane, belle e borghesi.

Una coppia italiana in rotta verso un ristorante: lei, estetista, sorridente sotto tanti capelli; lui, avvocato, concentrato come il protagonista di un telefilm. Finito male, purtroppo: Vittorio, veronese di 45 anni, ha ucciso Lucia, pesarese di 31 anni. L’ha strangolata, l’ha accoltellata, ha cercato di metterne il corpo nel bagagliaio della Bmw cabrio, non c’è riuscito e ha guidato col cadavere a fianco fino a Verona. Poi ha chiuso macchina e vittima nel garage della madre. Arrestato, ha confessato: «Ho fatto una cavolata». Chiamala cavolata.

La sociologia dell’orrore è rovesciata: i mostri non sono semplificazioni lombrosiane, personaggi abbruttiti e abitualmente violenti. Molti studiano, lavorano, guadagnano, si vestono bene. Tra di noi ci sono uomini tragici e pericolosi mascherati da persone prevedibili; e li riconosciamo quando è tardi.

Noi maschi dovremmo occuparci di più del femmicidio: parlarne, scriverne, domandare, provare a capire. Anche a costo di dire e scrivere leggerezze. È invece un dramma confinato in un universo femminile: ne parlano le donne, ne scrivono le donne, le fotografie sono quasi sempre delle vittime e non dei carnefici. È come se noi uomini volessimo prendere le distanze da qualcosa che non capiamo e di cui abbiamo paura.

Ha ragione Giulia Bongiorno, che suggerisce di evitare “l’ultimo incontro” che spesso il maschio ossessivo pretende: perché potrebbe diventare l’ultimo per davvero. Intervistata da Giulia Dedionigi su Corriere.it, l’avvocato penalista annuncia che assisterà i famigliari della ragazza uccisa a Campiglio. E consiglia alle donne di non minimizzare, di interpretare i segnali in modo razionale:

«un approccio pressante non è più corteggiamento, ma un’indicazione che qualcosa comincia a non andare».

L’avvocato Bongiorno ha ragione: ma non è facile.

Sul sito dello Studio Legale Corcioni di Verona, dove l’omicida lavorava, una biografia esemplare nella sua normalità. «Vittorio Ciccolini – Nato a Verona il 20 luglio 1968, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Modena il 4 marzo 1997 con la votazione di 110/110, titolo della tesi Problemi in tema di colpevolezza. Ha superato l’esame di Stato presso la Corte d’Appello di Venezia. È iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona e alla Camera Penale Veronese. Si occupa di affari penali, anche in qualità di difensore d’ufficio, ed è costantemente impegnato in vari approfondimenti della materia. Sue passioni, oltre il diritto, sono la lettura di testi filosofici del Maestro di Königsberg (der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir), la pratica del tennis a buon livello, dello sci e la ricerca di funghi (stagione permettendo, Boletus edulis e Cantharellus cibarius)».

Filosofia e micologia. Kant e funghi. Sci e tennis. Codici e processi. E poi, una sera d’agosto del 2013, un giro in Val Rendena, simile a tanti altri. Raccontano i camerieri della locanda “Mezzosoldo” di Pinzolo al cronista dell’Adige: «Hanno mangiato tagliata con verdure e bevuto due bottiglie di Marzemino, lui assecondava in tutto le richieste di lei e poi andava continuamente in bagno». Sono usciti dal locale e hanno parlato a lungo nel parcheggio. Poi sono partiti. Il finale, purtroppo, lo sappiamo.

È in questa normalità che noi maschi dobbiamo scavare. 762 donne uccise dal 2009: una ogni tre giorni. Non chiamiamoli “omicidi passionali”: la passione non c’entra. Non chiamiamoli raptus: sono atti spesso prevedibili e talvolta preparati. Sono azioni covate tra ossessione, orgoglio ed egoismo, che sfociano in un epilogo orrendamente semplice. «Ogni delinquente va soggetto, nel momento del delitto, a una specie di prostrazione della volontà e della ragione, alle quali subentra invece una puerile, fenomenale leggerezza…».

Vi sembra eccessivo ricorrere a Fedor Dostoevskij per cercare di capire un avvocato di Verona che in una notte d’estate uccide e si distrugge? Non lo è. I démoni purtroppo sono tra noi, e dentro di noi.

twitter @beppesevergnini

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