13 Maggio 2006
l'Unità

Noi, schiave del mondo

Valeria Viganò

Avrei voluto scrivere un racconto. È il mio mestiere e mi viene facile. Ma stavolta no, proprio non ci riesco. Sebbene di storie infami come queste abbondi la letteratura più recente, furbescamente costretta da un successo certo a inseguire i fantasmi più cupi, le situazioni più incresciose grondanti sangue e male. È vero, le cose accadono, stupri, morti, violenze in guerra e in pace minano profondamente i sentimenti umani migliori, il rispetto della dignità a cui avrebbe diritto ogni donna e uomo che vive su questa terra. Immagino che si scriva per narrare la realtà, ma spesso non vedo alcuna posizione autorale verso questa realtà e invece vedo l’attrazione che il pubblico manifesta per l’efferatezza. Tutto ciò rimarrebbe sulla carta, dunque sarebbe esente da colpa. Francamente non saprei narrare di uno stupro, di una tortura, di una morte femminile dovuta a violenze. Almeno non esplicitamente. Opterei per uno scarto, cercherei un punto di vista che mi eviti la trascrizione semplice dei fatti che altrimenti mi riempirebbe di desolazione.
Ci sono tante donne vittime di qualcosa che apparirebbe insensato, cioè vuoto di senso umano. Lo scenario odierno manifesta ondate che si abbattono sulla riva femminile del mondo e che frantumano ciò che trovano. Se dovessi pensare a una parola per descrivere ciò che è appena accaduto di spaventosamente disumano da parte di uomini verso donne, mi viene proprio frantumazione. Non il gesto singolo e disperato di qualcuno fuori di senno, un raptus, un impulso dell’istante ma la sistematica distruzione di una specie differente, portatrice di valori, modi, linguaggi diversi. Prima di arrendersi all’evidenza di aver perso definitivamente un potere ingiusto e secolare gli uomini giocano il tutto per tutto di chi non ha altre armi, argomenti, possibilità se non la cieca aggressione. Aggressione accompagnata dal bisogno di annientamento del corpo femminile, perché è il corpo il colpevole, nel corpo è inscritta la prima fondamentale differenza. È bastato delineare la semplice differenza prima ancora di determinare una equivoca (nella sua definizione) superiorità a far crollare il sistema maschile. È bastato dire esisto anch’io. È bastato dirlo a un uomo, aspettando un bambino da quello stesso uomo per far emergere in lui una rabbia che non tollera discussioni, una violenza primitiva, da cavernicoli, una furia incontenibile che ha tratto dall’atrocità la linfa di cui necessitava per rinvigorire un impotente. Perché oggi la violenza degli uomini sulle donne nasce dall’impotenza, dalla frustrazione, dall’umiliazione di chi ha perso il comando. Quando il potere che si ha su un’altra persona si sgretola, quando si deve accettare un dialogo alla pari di cui non si sanno nemmeno le regole, o accettare civilmente decisioni di un’altra da te, è certo che in sequenza appaiono l’incredulità, lo sbigottimento, la non accettazione, la rivolta. Ma si devono gestire, una legge morale superiore dovrebbe indurci a farlo.
Ci sono alcuni uomini che hanno saputo capire il mutamento dei ruoli e hanno accettato di condividere il nuovo percorso femminile attenti a viverlo come una bella opportunità di crescita personale ( e sono i più giovani, educati da padri e madri sensibili). Ci sono uomini che hanno balbettato inadeguati nella confusione e nel rimescolamento sociale e sessuale, entrando in uno stato di incertezza e tentativi che solo talvolta riescono positivi (e sono i più). E poi ci sono quelli che arrivano a vedere nelle donne il nemico che li insidia, satana che li punisce. Allora, come in estemporanee messe nere cercano purificazione e significato dall’omicidio, dalla eliminazione dell’elemento a loro malefico. Accade e accade spesso, e non c’è fine al sangue che come vampiri abbisognano per esistere. Perché in ciò che è accaduto nella cronaca recente un particolare balza alla luce: l’oltraggio. Che è un passo in più del dileggio della mercificazione del corpo delle donne, così comune nel mondo maschile.
L’oltraggio non è una pugnalata ma la scarnificazione del corpo. Infierire su donne da vive e da morte, considerarle putridume e quindi farcele diventare. L’orrore è infinito, supera l’orizzonte che pone il limite, è al di là dell’immaginabile. Mi sento, come credo molte, annichilita davanti a questi fatti, e per recuperarmi devo guardarmi allo specchio e poi osservare altre donne: sulla retina dei miei occhi si stampa allora la preziosità della vita umana, la maternità, il proprio piacere, l’armoniosità delle forme. La sua incoercibile sacralità.

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