29 Maggio 2007

Non siamo l’america e non vogliamo diventarlo

Vita Cosentino

Cani antidroga sguinzagliati davanti alle scuole, umilianti controlli di zainetti e di corpi di studenti e studentesse: questa la proposta della ministra Turco, a seguito della morte di un ragazzo in una scuola di Paderno Dugnano. Senza neppure aspettare i risultati dell’autopsia, senza nessuna cautela, un certo tipo di giornalismo sensazionalista ha trovato fin dal primo momento la risposta: si era fatto uno spinello.
Se la morte di una persona anziana ci addolora, ma sentiamo che fa parte dell’andamento naturale delle cose, quella di un ragazzo no. Interrompe quel corso naturale, ci sconvolge e ci interroga. Sempre e comunque. Proprio per questo penso che la risposta istituzionale sia misera e sbagliata: sembrano provvedimenti ispirati più a non lasciare alla destra il tema della sicurezza che a una effettiva politica scolastica. Sappiamo bene che da tempo nelle scuole americane hanno inserito metal detector e armamentari simili e questo non ha fermato la periodica esplosione di violenza.
Invece proprio in quella scuola di Paderno si è pensata una risposta diversa: con coraggio l’intero istituto ha scelto di fare una riflessione pubblica e aperta. Sabato 26 maggio a ragionare assieme c’erano studenti e studentesse, insegnanti, personale ATA, esponenti del comune e alcuni, donne e uomini, che in vario modo di problemi della scuola e del disagio si occupano. Anch’io ho scelto di rispondere alla loro chiamata. Volevo essere lì con loro. Vicino alla scuola che i giornali non raccontano.
Temevo di trovarmi in un clima di accuse reciproche o di pesanti silenzi. Invece ho visto un’intera comunità scolastica, che davvero ha cercato di parlarsi e di affrontare insieme i problemi che ci sono in quella scuola – una buona scuola che lavora con impegno – che sta in questo mondo e in questo tempo di cambiamento e di contraddizioni spesso laceranti.
L’istituto Gadda non ha voluto chiudersi in una difesa amara. Anche se non erano accertate le cause della morte di Dario, non ha voluto glissare sul problema che quella morte ha sollevato. Come qualcuno ha detto in assemblea: si sa da anni che nelle scuole e negli oratori circolano gli spinelli. E forse anche altro. Negli interventi che si sono susseguiti numerosissimi c’era la consapevolezza che si era a un bivio: imboccare la strada di più controlli richiesti alle istituzioni, oppure coinvolgersi di persona e riferire a sé le cose. Questa seconda strada è stata quella più percorsa. Una ragazza per esempio diceva “non parliamo di ‘uso della droga’, siamo noi che la compriamo”. Ancora, un padre richiamava il fatto che se le cose non vengono dall’interno non risolvono nulla e che ognuno ha delle responsabilità. Con franchezza sono state sollevate questioni spinose come il clima di omertà che esiste tra gli studenti o l’eccessiva difesa che i genitori fanno dei figli, assieme a tanto altro su cui cominciare a riflettere.
Ho avuto l’impressione di una comunità che non voleva stare nel solito gioco della ricerca di un capro espiatorio, che individuava anche responsabilità precise, ma non per fermarsi lì. Per andare avanti. E nella conclusione la vicepreside proprio questa indicazione ha raccolto. Un genitore alla fine ha commentato: “E’ stato entusiasmante. Di questo dovrebbero parlare i giornali.”
Uno degli interventi più apprezzati (era continuamente interrotto da applausi) è stato quello di una bidella che ha raccontato che era lì da molti anni, come una mamma che li aiuta a crescere. Ha colpito anche me, perché quella donna ha tirato fuori la sua umanità. Dalle sue parole si sentiva che voleva bene a questi ragazzi e ragazze che affrontano la loro adolescenza spesso difficile. Ho sentito che ha orientato anche altri e altre a parlare con una maggiore verità soggettiva.
Tanti giovani hanno preso la parola ed erano quasi tutte ragazze. Una di queste ha ricordato Dario come un ragazzo che non riusciva a esprimere a parole i suoi sentimenti, le sue emozioni. Solo il suo sguardo parlava per lui. Anche i giovani maschi presenti non hanno trovato parole, tranne uno. In quella assemblea si sono viste ragazze davvero protagoniste e giovani maschi più in difficoltà. Se pensiamo anche all’uso di sostanze, sono i maschi che vi ricorrono più frequentemente.
Essere donne e essere uomini in un tempo così cambiato, con tutti i nuovi problemi che pone, sono dati di base che offrono al pensiero la materia prima da cui partire per ritrovare un senso vivo alla cultura. Rimettendo in moto la lettura della realtà e di quello che ci capita, la cultura – che spesso resta insegnamento inerte – ci dà invece parole per esprimere il rapporto tra sé e sé e tra sé e le trasformazioni del mondo. E questo ci aiuta a vivere.

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