31 Ottobre 2008

Non vogliamo ripetenti neanche in politica

Vita Cosentino

Oggi è il 30 ottobre, giorno dello sciopero generale della scuola e un fiume incontenibile, pieno di energia di maestre, mamme, papa, prof, ricercatori, studenti e studentesse si è riversato nelle strade e nelle piazze. Dappertutto, non solo a Roma, città della manifestazione nazionale indetta dai sindacati. Per dirne una, solo nella città di Bergamo ci sono stati tre cortei, con striscioni di scuole e cartelli fatti a mano, non con bandiere di partiti.
Anch’io condivido le ragioni di questa protesta e un sentimento profondo mi spinge ad agire perché penso che in una società e in una convivenza umana civile sia irrinunciabile che la scuola rimanga un bene a disposizione di tutte e di tutti, ricchi e poveri, italiani e stranieri, belle e brutte. E non ci sono ragioni economiche che tengano. Anzi, penso che proprio in tempi di crisi economica, di aumento della povertà, sia ancora più irrinunciabile che istruzione e salute rimangano disponibile. Pubbliche.
Concita de Gregorio, oggi nell’editoriale dell’Unità, a un certo punto racconta di essere andata a vedere una manifestazione. Dice: “Ieri mattina sono stata al Senato, in mezzo a chi manifestava. Claudia Di Cave, professoressa di latino e Greco al liceo Virgilio di Roma, mi ha detto ‘c’è una totale mancanza di ascolto, è per questo che anche noi siamo tornati in piazza dopo tanti anni. C’è una sordità che fa temere l’autoritarismo”… poi c’era una moltitudine di studenti senza insegne, quelli di Medicina venuti in camice bianco e in bicicletta: ‘Siamo contro la ricerca privata perché se è privata è controllata… C’erano quelli del ‘Norcia’ e quelli dello ‘Stendhal’. Moltissime ragazze, quasi tutte. Non può sfuggire a chi osserva che il movimento degli studenti è a prevalenza femminile.”
Sì, è vero. È a prevalenza femminile. In effetti a settembre le prime che si sono mosse sono state le maestre. La spinta non è stata la paura di perdere il posto, quanto non vedere distrutta la buona scuola che sanno fare. Poi tutto è seguito: genitori, scuole superiori, università, prof, studenti e studentesse che non vogliono farsi rappresentare dai partiti né di destra né di sinistra. Qui a Milano è capitato che nelle prime assemblee le maestre che lottavano, tacevano e i prof delle superiori invece avevano la parola e l’organizzazione. I precari predicavano il blocco della tangenziale, altri proponevano una super organizzazione, mentre le maestre tessevano parlando con i genitori, con gli abitanti del quartiere, con i negozianti, nei mercati, raccontavano e a forza di parole ottenevano condivisione e contagio.
Dei copioni fallimentari già visti, gli scontri di ieri a piazza Navona sono l’esempio emblematico: maschi che devono prendere la testa dei cortei, maschi che devono menare le mani, maschi che si militarizzano. Le botte tra fascisti e centri sociali ripropongono modi violenti e molto vecchi di intendere la politica e anticipano il quadro nefasto e devastante delineato da Cossiga. Ho visto in televisione il filmato su piazza Navona e per ultima parlava una studentessa che con semplicità diceva la cosa: occupano tutta la scena e fanno fuori le nostre ragioni.
La contraddizione che c’è tra i sessi nel modo di intendere la politica, nei desideri che vi si portano, nel modo di lottare va esplicitata. Qui a Milano abbiamo cominciato a farlo nelle assemblee e il fatto di metterlo in parola ha prodotto cambiamento, sta dando nei momenti pubblici un posto centrale alla voce delle maestre e alla narrazione di quello che fanno.
Quello che non possiamo permetterci è la ripetizione di copioni fallimentari e tragici.

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