Mimmo de Cillis *
«Come io vi ho amato», recita il titolo del sussidio pastorale che da domani, «mercoledì delle ceneri», apre la Quaresima 2007. Ma ben poco amate si sentono le oltre 560 mila coppie conviventi nel bel paese, nella cattolicissima Italia. La chiesa di oggi, la chiesa di Ratzinger e Ruini, ben poco fa per comunicare l’amore di Cristo. O, almeno, si pone in un atteggiamento che risulta non proprio caritatevole e che non riesce a entrare nella vita delle persone. Va detto, poi, che i legami affettivi, dapprima temporanei, spesso si evolvono e, specialmente nei casi dei giovani, si trasformano in matrimoni. Nell’ottica pastorale, dunque, l’atteggiamento troppo rigido della chiesa risulta miope; e, in ogni caso, non sembra che si dedichi grande attenzione a queste dinamiche e a queste persone.
Tali argomenti e tali motivazioni – che facevano da sfondo all’incontro di ieri fra i vertici della chiesa e dello stato italiano – preannunciano oggi una «quaresima di passione» per la chiesa italiana. Perché, sotto alla cappa del «pensiero unico ruiniano», comincia a muoversi una fronda che passa per i circoli intellettuali, attraversa i movimenti ecclesiali, le diocesi, le parrocchie, i semplici fedeli.
L’appello degli intellettuali cattolici alla Cei («non si firmi una nota vincolante») ha dato la stura a una serie di riflessioni, dibattiti, forum, che nascono spontaneamente davanti alle chiese, nelle assemblee parrocchiali, sui blog cattolici. Certo, accanto a invettive e posizioni che trasudano integralismo e intolleranza. Ma l’anima del cattolicesimo progressista, quella più aperta, plurale e dialogante con la società, quella che sente il bisogno di testimoniare l’amore cristiano piuttosto che di giudicare e condannare, si può ben dire stia rialzando la testa. Anche perché si tratta di una parte importante del cattolicesimo italiano. Significativa dal punto di vista storico, culturale, sociale. Quella della tradizione di Dossetti, Lazzati, La Pira. Quella che ha ispirato tanti movimenti ecclesiali, soprattutto nel dopo Concilio. Quella che ha saputo predicare – con le grandi manifestazioni e con il lavoro silenzioso e quotidiano – scelte di «pace, giustizia, salvaguardia del creato». Quella che ha avuto autentici profeti contemporanei in vescovi come Tonino Bello e Carlo Maria Martini e che ancora oggi si ritrova in vescovi come Tettamanzi (Milano), Valentinetti (Pescara), Plotti (Pisa), Charrier (Alessandria), Miglio (Ivrea), e in altri prelati che molti sperano facciano sentire la loro voce in seno alla Cei. Quella che trova eco nei gesti e nelle parole di religiosi dehoniani, francescani, domenicani, gesuiti, paolini.
Insomma, una fetta della chiesa italiana (perché, come insegna il Concilio, la chiesa è il «popolo di dio», non la gerarchia) mal digerisce l’invadenza con cui Ruini e soci stanno rubando la scena e il ruolo al laicato cattolico. E, dopo l’appello promosso dal prof. Giuseppe Alberico (che continua a ricevere adesioni), iniziano a levarsi le voci dei cattolici di base. Che vengono allo scoperto anche con argomenti provocatori, come ha fatto don Giovanni Nicolini, parroco bolognese, ex direttore della Caritas diocesana: «E’ gravissimo – ha detto – dipingere la tutele dei diritti delle coppie conviventi come una legalizzazione delle coppie di fatto. Mi sembra povertà culturale. Esistono tante forme di convivenza, e per i motivi più diversi. Forme che hanno una loro dignità per poter essere riconosciute. Non vi trovo nulla di scandaloso. Se vogliamo, io convivo con altri cinque uomini, monaci che mi sono fratelli: anche questa è una convivenza». Don Nicolini aggiunge: «Da anni a Bologna cerco di convincere tanti anziani soli a convivere: significherebbe condividere una badante riducendo i costi, gestire più facilmente i servizi, ma anche meno malinconia. Insomma non ci sono solo unioni basate su legami affettivi. Il governo ha una funzione amministrativa, per cui è chiamato a occuparsi del bene di tutti». Il parroco segnala un pericolo da fuggire: «La politica non può dimenticare le situazioni reali o sacralizzare i problemi. Il rischio perenne allora è quello di uno stato etico e l’incapacità di essere laico. Noi credenti per primi dobbiamo scongiurarlo».
* Lettera22