La popolazione della Cisgiordania e gaza di fronte al ricatto del taglio degli aiuti internaionale, alla distruzione dei raccolti e al rischio del collasso dell’economia dell’ ANP.
Luisa Morgantini
“Al diavolo loro e i loro soldi, non siamo un paese di mendicanti, sappiamo lavorare, creare. Si mettono a posto la coscienza perchè ci aiutano a sopravvivere, ma perchè invece non fanno tutti gli sforzi per liberarci dall’occupazione militare, perchè lasciano fare al governo Israeliano cose immonde che non fanno bene neanche a loro. Sono anche loro che hanno fatto vincere Hamas e adesso ci ricattano, hanno voluto che votassimo e noi l’abbiamo fatto, non volevano Arafat e l’ hanno fatto morire, Mahmoud Abbas gli sembrava meglio, ha detto che vuole la pace e nessuna intifadah militare, noi l’abbiamo votato, ci aspettavamo qualcosa, invece l’ hanno lasciato solo, con gli israeliani che ogni giorno ci umiliano e ci chiudono sempre di più dentro prigioni a cielo aperto, ci portano via terra, vita, dignità. A Nablus i soldati entrano nelle case e terrorizzano donne, vecchi, bambini. Anche a Gaza, ci bombardano e cercano di farci impazzire con le bombe suono. Non ho votato per Hamas, ma quasi quasi mi dispiace, visto che ancora una volta ci vogliono imporre i loro punti di vista. Non ci vogliono dare più aiuti? Vedremo di cavarcela, non so come, ma siamo ancora qui dopo averne viste tante, e tanti sono passati, romani, crociati, turchi, ma noi siamo ancora qui, aggrappati a questa terra”.
Ayman , come la maggioranza dei palestinesi, di fronte al ricatto di non avere più aiuti internazionali perchè Hamas, inserito nella lista dei gruppi terroristici, ha vinto le elezioni e formerà il governo, inalbera la sua dignità.
Ayman, lo sento ogni tanto al telefono, l’ ho conosciuto all’inizio della seconda Intidafah, nell’ottobre del 2000, era tra i coltivatori che nei pressi del check point di Kyssufim a Gaza tentavano di impedire l’operazione denominata “Shave the land”: bulldozer israeliani che aiutati dai carri armati sradicavano chilometri di alberi e case per ripulire l’area e impedire possibili attacchi palestinesi ai coloni che transitavano per andare e tornare da Israele. Non è in nessun partito, ha un volto pacioccone e sorridente con baffoni, sa, come moltissimi palestinesi, scherzare e ironizzare sulle tragedie. Questa volta pero’ é arrabbiatissimo, sperava di riuscire a guadagnare qualcosa, invece è rimasto in fila per sette ore con un camion carico di cetrioli al passaggio di Karni nella striscia di Gaza. E’ dovuto tornare indietro, e i cetrioli sono rimasti a marcire sul camion.
E’ la sorte che tocca ai produttori e rivenditori di Gaza e di gran parte della West Bank. In questi mesi stanno marcendo tutti i prodotti agricoli di Gaza, compresi quelli delle famose serre, quelle lasciate dai coloni che erano stati evacuati da Gaza, lasciate non per generosità, ma perchè una donazione di privati, compreso quella dell’inviato internazionale Wolfhenson, di ben 14 milioni di dollari, li aveva ripagati lautamente. Naturalmente non hanno mantenuto i patti, avrebbero dovuto lasciarle intatte e consegnare i piani di irrigazione ai palestinesi. Hanno lasciato solo le strutture esterne, con i teloni di plastica che si devono cambiare ogni due anni, anche qualche palestinese ha contribuito allo sfacelo, portandosi via dei tubi . Ma altri fanno miracoli e sono riusciti a rimettere insieme il tutto, circa quattromila persone hanno ricominciato a lavorare nelle serre. Hanno fatto più in fretta possibile, i primi raccolti sono andati bene, ma i loro prodotti rimangono nelle serre.
Il Karni crossing è rimasto troppo a lungo chiuso e la perdita è stata calcolata in 57 milioni di dollari e i 4000 lavoratori temono di essere di nuovo disoccupati. Non è andata meglio ai fiori, in modo particolare ai garofani, a Gaza se ne producono di bellissimi, tempo fa li esportavano anche a Sanremo. La settimana scorsa in Israele era il giorno della mamma, chiamato in verità il giorno della famiglia e i palestinesi speravano di vendere un po’ della loro produzione, ma il perfido Ministro della Difesa, Mofaz, niente, non ha voluto riaprire il check point malgrado gli accordi che su pressioni internazionale aveva detto di accettare. Problemi di sicurezza, pare che qualche bomba fosse esplosa sotterraneamente nell’area. E Karni è solo il check point per le merci, le poche migliaia di lavoratori di Gaza che hanno il permesso di recarsi in Israele, comininciano ad affollare il check point di Erez anche dall’ una del mattino, ore e ore di attesa e di umiliazioni per poter guadagnare qualche shekel.
Questa è la liberazione di Gaza, i coloni hanno lasciato dietro di sé cumuli di macerie, naturalmente è bene che non ci siano più, solo che la libertà è lontana tutto è ancora nelle mani del governo israeliano che fa il bello e cattivo tempo sui movimenti delle persone e delle merci.
James Wolfhenson, nei giorni scorsi, ha lanciato un grido d’allarme per il pericolo di collasso dell’economia e dell’ Autorità Palestinese, cosi come ha fatto David Shearer dell’Ocha, perchè la chiusura impedisce il passaggio delle derrate alimentari per i profughi che solo a Gaza sono circa settecentomila. Si, perchè il cibo della Fao e dell’ Unrwa sta andando a male nel porto israeliano di Ashdod, e, beffa totale, le organizzazioni internazionali dovranno pagare salatissimo agli israeliani la merce giacente nei magazzini del porto.
L’ex direttore della Banca mondiale ha avvertito il Quartetto dei mediatori internazionali (Russia, Usa, Onu e Ue) che entro due settimane le finanze dell’ANP rischiano il collasso: nel mese di febbraio per le casse palestinesi si e’ aperto un buco di 100 milioni di dollari a causa della decisione di Israele di sospendere il trasferimento all’ANP dei fondi provenienti dai dazi doganali, riscossi dalle autorità israeliane per conto dell’amministrazione palestinese, con l’impegno di riversare il denaro all’ANP il primo di ogni mese.
Per Wolfensohn l’ANP avra’ bisogno di una cifra tra i 60 e gli 80 milioni di dollari gia’ dalla prossima settimana per poter pagare gli stipendi di febbraio dei circa 150.000 mila dipendenti pubblici e qualora non dovesse riuscirvi potrebbe salire ulteriormente la tensione nella popolazione.
L’Unione Europea si è parzialmente sganciata dal ricatto israeliano e statunitense e pur con i suoi limiti (il governo palestinese non si è formato per cui l’autorità palestinese è rappresentata da Mahmoud Abbas) ha disposto lo stanziamento di un pacchetto di 143 milioni di euro per venire incontro alle esigenze primarie dei Palestinesi. Un gesto considerato positivo da Hamas.
Ma anche il governo israeliano non si lamenterà troppo perchè avrà la sua parte, infatti, di questa cifra ben 48 milioni di euro andrà nelle sue casse per il pagamento delle bollette dell’elettricità usata dai palestinesi. I rimanenti fondi andranno all’istruzione e alla sanità principalmente all’Unrwa, e 21 milioni, una piccola fetta del budget dell’autorità palestinese che ammonta a 165 milioni al mese, in grande parte usato per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, compresi il personale della sicurezza e della polizia.
Riprendo l’appello di Wolfhenson: “la Palestina è sull’orlo di un collasso finanziario”, ma noi non possiamo far finta di non vedere le responsabilità di Israele e della Comunità Internazionale e sopratutto noi europei, come ci ricorda Ayman, non possiamo metterci a posto la coscienza perchè diamo aiuti umanitari ai palestinesi. Certo dobbiamo darli, ma dobbiamo generare le condizioni perchè i palestinesi non siano più alla mercè dell’occupazione militare israeliana.
E’ una soluzione politica che è indispensabile.
Mi si accuserà di non parlare delle responsabilità palestinesi, dalla corruzione alla mancata sicurezza interna, ai gruppi che ancora minacciano azioni armate o attacchi omicidi e suicidi (Hamas dall’accordo del Cairo rispetta il “cessate il fuoco”). Per una volta non voglio parlarne, i palestinesi ne parlano e ne discutono e troppo ne parlano i dirigenti Israeliani. E” la loro tattica, attaccare i palestinesi, fare le vittime per nascondere la loro politica di stampo marcatamente coloniale e di apartheid con il muro (definito illegale dalla Corte di Giustizia delle Nazioni Unite) che cresce e si prende sempre più terra della West Bank Wolfhenson, e lo ha ribadito anche la commissaria Europea, Benita Ferraro Waldner, ha chiesto al governo israeliano di trasferire i fondi dei dazi doganali all’ANP. Mentre tutti i media parlano di “blocco” dei fondi da parte di Israele nei confronti dell’ANP, nessuno dice che di vero e proprio furto si tratta, per la verità in Israele, su un giornale autorevole come Haaretz, Amira Hass, lo dice, si’, sempre lei, giornalista molto premiata in campo internazionale ma molto osteggiata in patria. Furto perchè i fondi che il governo israeliano ha bloccato come ritorsione per la vittoria di Hamas alle ultime elezioni -tra l’altro tenutesi in un clima democratico e di legalità attestato dagli osservatori internazionali ed europei- rappresentano le rimesse fiscali mensili che di diritto e secondo gli Accordi di Oslo e il Protocollo economico di Parigi (1994), spettano legittimamente all’ANP. Quei soldi appartengono di diritto all’Autorità Nazionale Palestinese e il fatto che vengano raccolti ai transiti di frontiera da Israele, che per di più ne trattiene una percentuale per finanziare i costi delle operazioni, rappresenta la prova evidente dello stato di occupazione in cui si trova la Palestina.
Il congelamento dei fondi dei dazi doganali sono un prolungamento delle politiche di punizione collettiva praticate nei confronti della popolazione palestinese dei territori occupati dal 1967 dal Governo israeliano, e se ne possono citare infinità, dal coprifuoco imposto per settimane a intere città e villaggi, i bombardamenti e i rastrellamenti, la demolizione di case, le detenzioni amministrative, lo sradicamento di alberi, per non dire degli assassini mirati che ammazzano civili e bambini, ma si sa siamo in tempi di “effetti collaterali”.
Ora sarebbe non solo ”importante politicamente” che la comunità Internazionale imponesse ad Israele di sbloccare il trasferimento dei proventi doganali nei confronti dei palestinesi, sarebbe un piccolo doveroso passo verso il rispetto della legalità internazionale.
L’Unione europea, la Comunità Internazionale non può sottostare ai ricatti del governo Israeliano anche se è appoggiato dagli Usa. Spinga per il negoziato, faccia pressione su Israele perchè non continui nella politica unilaterale.
Ma si dice che ora non bisogna forzare, perchè si attende l’esito delle elezioni israeliane del 28 Marzo. Le dichiarazioni del facente la funzione di Primo Ministro, Olmert o della Ministra degli esteri israeliana Livni, che hanno definito, con l’accelerazione delle costruzione del Muro e la chiusura della Valle del Giordano, le annessioni territoriali, vengono prese come necessarie per non scontentare gli elettori oltranzisti e i coloni, per fare in modo che il partito voluto da Sharon e al quale si è aggregato Simon Peres, Kadima esca vincente nelle prossime elezioni. Anche le incursioni continue nei territori occupati, anche le uccisioni dei civili e la politica del pugno di ferro che viene ribadita e fatta in continuazione è accettata in nome delle prossime elezioni. Siamo al cinismo e alla follia.
Intanto tra i palestinesi regna molta confusione e incertezza. Ma non sono immobili. In qualche modo la nuova situazione ha dato una scossa che ha risvegliato molti dal torpore e dalla routine. Molte associazioni di donne si stanno riorganizzando per non perdere i loro diritti. Hamas ha finora dimostrato di voler restare nel gioco democratico e di non compiere attentati, e sta cercando di formare un governo di unità nazionale, non dirà formalmente ri riconoscere Israele, ma nei fatti si se accetta di formare un governo che riconosce gli accordi sottoscritti dall’Autorità Nazionale Palestinesi e la Costituzione votata nel 2003 che dice che lo Stato Palestinese è sui territori occupati del 1967.
Fatah è alla ricerca di una strada, divisi se entrare o meno nel governo di unità nazionale, cercando di ridare spazio al Consiglio Nazionale Palestinese e all’Olp. Tra i partiti della sinistra o laici e democratici che hanno avuto 9 seggi non si è ancora riusciti a trovare momenti unitari, anzi il Fronte Popolare pare deciso ad entrare nel governo di Hamas. Intanto, gruppetti di palestinesi armati che, come dichiarato dal Presidente Abbas, non hanno niente a che fare con il movimento di liberazione nazionale continuano a fare sentire insicura la popolazione di diverse città palestinesi, molti di loro sono delinquenti comuni che con le armi si mettono al soldo di chi li paga per compiere vendette o furti o per fare pagare tangenti o per fare sequestri. “E’ la nostra mafia” mi dicono due giovani di Nablus, in Italia per raccontare l’odissea dei giovani palestinesi che rifiutano la morse dell’occupazione e degli attentati suicidi e che vogliono semplicemente “vivere e avere un futuro senza paura”. Hanno paura, anche del buio, abitano a casa mia da più di tre mesi, ogni notte lasciano la luce accesa nel corridoio e la porta della camera socchiusa, ed io che ho sempre dormito con la porta della mia camera aperta devo chiuderla perchè la luce mi infastidisce.
Mahmoud Darwish un grande poeta, dice che i palestinesi sono costretti ad essere “malati di speranza”. Forse lo sono anch’io.
Sarebbe davvero grande se l’Unione Europea con una sola voce non pensasse di lenire qualche pena con aiuti umanitari ma decidesse di non avere due pesi e due misure ed imponesse il rispetto della legalità internazionale. Uniamo le nostre ragioni, la sinistra italiana (non considero sinistra chi inneggia all’uccisione di civili) nella sua varietà e differenze ha fatto molti errori, quello più grave, ovviamente a mio parere, è quello di non avere usato tutte le sue potenzialità ed energie per porre fine all’occupazione militare israeliana e portare in essere uno stato palestinese in coesistenza con lo stato israeliano e finalmente un po’ la pace e giustizia in Palestina e Israele.