18 Novembre 2003
l'Unità

Parigi. Tanti successi, un solo limite

Pubblichiamo solo la seconda puntata del 18 Novembre di Sansonetti, che ha seguito molto bene il Forum di Pagi del movimento di movimenti, perché nella prima (17 Novembre) c’è una confusione grave per quello che riguarda la politica delle donne. Precisiamo che su questa confusione fatta dal movimento di movimenti Sansonetti non è riuscito a fare chiarezza.
La redazione del sito

Leggete il commento di Lia Cigarini


Piero Sansonetti

I giornali francesi hanno parlato molto e molto approfonditamente del Forum sociale europeo che si è concluso domenica a Parigi. Quelli di sinistra, quelli di centro, quelli di destra. Anche i politici francesi si sono occupati del forum. Laurent Fabius, ex premier socialista, è stato a colazione con José Bove, molti capi conservatori hanno partecipato a varie riunioni sul tema della globalizzazione e del ruolo del movimento, e si sono mostrati tutt’altro che aggressivi col forum (il governo di centrodestra lo ha finanziato con più di un miliardo di vecchie lire). I giornali francesi non parlano di argomenti tipo “sono violenti o no?”, “sono divisi?”, “chi sono i leader?”. Parlano delle analisi e delle proposte dei no-global. Le approvano, le discutono o le contestano. Talvolta anche nettamente le contestano (specie giornali di destra come Figarò) ma nel merito. Dicono: non è vero che la mondializzazione ha portato a un aumento della povertà, perché i dati sono questi e questi. Oppure: è vero che ha aumentato le disparità ma tutto lascia credere che sia un ciclo naturale e che le disparità torneranno a ridursi. Alcuni sostengono che le proposte antiprotezioniste dei no-global (per l’agricoltura) sono giuste, altri dicono che sono pericolosissime. E spiegano queste proposte, e spiegano le analisi che ci sono dietro, e perché funzionano o perché non vanno bene. Colore quasi niente, pettegolezzi pochissimi.
Sono cose per il giornalismo italiano neppure concepibili. Fanno quasi paura: complicherebbero maledettamente la vita ai giornalisti e ai lettori. Le Monde ha aperto il giornale due volte sul Forum. Il quotidiano economico “Echos”, che è un po’ come il nostro “Sole 24 ore”, gli ha dedicato un inserto di dodici pagine, tutte sui contenuti. E un editoriale nel quale dice: “È impossibile oggi fare politica o occuparsi di economia senza tener conto del movimento altromondista, che è la più importante novità politica di occidente dell’ultimo quindicennio”.

 

ALAIN JUPPE. L’ex primo ministro conservatore, Alain Juppé, ha rilasciato un’intervista lunga e seria a “Echos”, nella quale esprime molte critiche alla strategia no-global ma anche molto rispetto. E persino consenso verso la parte ambientalista del movimento. Juppé dice che il problema di quale e quanto mondo vivibile lasceremo ai nostri figli e nipoti è un problema generale e gravissimo, che supera le distinzioni tra destra e sinistra. E prende sul serio anche la domanda di uguaglianza che viene dal forum: però critica le strategie marxiste e quelle “arcaico-contadine?” che secondo lui non sono il modo per rispondere a quella domanda.
TONI NEGRI. Il vecchio professore che negli anni settanta fu il leader dell’autonomia operaia, e si beccò condanne per svariati anni di galera, e prima riparò in Francia e poi tornò in Italia per scontarle (e qualche mese fa ha finito la pena), cioè Toni Negri, è stata una delle star di Parigi. Era prevista la sua presenza a due seminari. Però i seminari si tenevano in sale piccole, da trecento posti, come tutti i seminari. E a sentire Negri venivano in duemila. Non c’entravano. Così Negri è dovuto uscire dalla sala, rinunciare a amplificazioni e traduzioni simultanee, e parlare all’aperto, alla Villette, su una spianata di cemento, con un microfono gracchiante e una gran folla seduta per terra ad ascoltarlo. Era una scena curiosa. Negri parlava in italiano, in francese e poi un ragazzo traduceva in inglese, parlava con molta foga, gesticolava, da lontano sembrava la scena di un comizio un po’ rozzo, e invece era una complicatissima e sofisticata lezione di dottrina politica sul seguente concetto: non c’è più la classe operaia, c’è la moltitudine. Cioè l’idea (e la pratica) di sfruttamento non si applica più alla produzione di plusvalore, ma a tutta la produzione,visibile e invisibile, intellettuale e materiale, d’officina, d’ufficio, domestica o casalinga. la produzione non è solo quella di beni concreti ma è anche produzione di relazioni, conoscenze, servizi, saperi. Chiunque lavori è moltitudine: sfruttato dal capitale in quanto lavoratore e in quanto singolo. La moltitudine è plurale ma è anche singola e individuale. Questo cambio del soggetto produttivo, del soggetto sociale e del soggetto politico, cambia tutta la strategia e la teoria del movimento operaio. E cancella l’idea di popolo, idea vecchia legata agli stati nazionali.
L’AGRICOLTURA. Il forum si è occupato molto di Europa e anche molto di agricoltura. L’agricoltura è un problema decisivo, perché da come lo si risolve dipende molto dellerelazioni tra sud del mondo e Occi- dente nei prossimi anni. Il movimento no-global a Cancun ha avuto un buon risultato in questo campo: alleandosi con Brasile, Cina, India e altri 17 paesi, ha sconfitto gli Stati Uniti e l’Europa stabilendo il principio che finché l’Occidente non rinuncia al suo protezionismo agricolo, i paesi poveri o in via di sviluppo bloccano il funzionamento del Wto e dunque danneggiano le strategie di mercato dell’occidente. I paesi che seguono questa linea sono abitati da più della metà dell’umanità (quasi quattro milioni di persone) e quindi da più della metà dei possibili mercati del futuro. Cosa c’entra tutto questo con l’Europa? C’entra, perché l’Europa è chiamata a una scelta: continuerà a schierarsi a corpo morto con gli Usa, come ha fatto a Cancun, o sceglierà una via politica, offrendo una sponda ai paesi del cosiddetto G20 e rinunciando ai suoi privilegi protezionisti? I privilegi sono molto semplici: l’agricoltura europea e americana è finanziata dallo Stato (due dollari al giorno per una mucca), e quindi mette fuori mercato e uccide l’agricoltura del terzo mondo che questi finanziamenti non li ha. Rinunciare al protezionismo colpisce i piccoli contadini europei? No, perché più del 95 per cento delle sovvenzioni vanno alle multinazionali impegnate in agricoltura. Cioè servono solo a rimpinguare i profitti, a danno del Sud del mondo.

 

IL PACIFISMO. Sicuramente la scelta pacifista ormai è un punto fermo. Il movimento ha fatto enormi passi avanti in questi anni. Il rischio che corre è solo quello di adagiarsi in un pacifismo generico, mentre invece il problema è quello di collegare il pacifismo a tutta l’analisi sul neo-liberismo che costituisce la forza vera del movimento. Per esempio, su Iraq e Medioriente ci sono stati molti dibattiti al forum e, sono stati interessanti. Hanno partecipato palestinesi, israeliani, afgani, rappresentanti dei partiti di opposizione (non armata) irachena. La linea è chiara: no alla guerra, no alla violenza, no alla forza come elemento di regolazione delle relazioni tra gli uomini e gli Stati. Però ci sono delle domande alle quali il movimento non sa ancora rispondere. Per esempio questa: come si affronta il successo economico – cioè la ricaduta positiva sul piano economico – che la guerra sta avendo negli Stati Uniti? La recessione è invertita grazie all’industria bellica e alle speranze di petrolio iracheno a prezzo basso. Le Corporation sono dispostissime in cambio di questi risultati a sopportare un migliaio di soldati morti all’anno. Neanche Bush e il potere. politico hanno la forza per fronteggiare queste potenze. Il movimento non può attestarsi sulla sua “grandiosità” etica: deve entrare nel merito. Se no resta fuori dalla partita.

 

COME SI CONCLUDE. Con l’apertura di una nuova fase di impegno e di lotta politica, nella quale ai temi tradizionali (pace, agricoltura, lotta alle privatizzazioni) si aggiunge il grande filone dell’Europa. Questo è un segno di straordinaria maturità e di crescita del movimento. Si conclude anche con la presa d’atto dei successi dell’ultimo anno. Fondamentalmente due: l’accordo di Ginevra sulle medicine “fuori brevetto” nei paesi poveri, e il fallimento della linea Usa-Europa a Cancun su privatizzazioni e agricoltura. Sono grandi successi. Dov’è il limite che esce da Parigi? La mancanza di una linea che possa imporre ai partiti tradizionali il dialogo. La distanza tra partiti tradizionali e movimenti non si è ridotta, in questi mesi. Si è allargata: specie sulla Costituzione europea e sulla funzione che viene assegnata al mercato nella regolazione della vita pubblica. Queste distanze si possono stringere solo se i movimenti impongono ai partiti di pronunciare dei sì e dei no su grandi questioni, al tempo stesso concrete e ideali. Per esempio: il disarmo e la rinuncia all’ esercito europeo; l’abolizione delle frontiere; il salario sociale o un’ altra forma concreta di abolizione della povertà; la fine del protezionismo agricolo; la Tobin tax e la tassazione delle rendite finanziarie. Se ci riescono vuol dire che sono entrati nella loro fase decisiva: quella che si misura sulle possibilità di governare le società moderne. Se no arrancano.

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