Intervista a Mariangela Bastico, Vice Ministro della Pubblica Istruzione Deregistrazione a cura di D. Canciani
Domenico Canciani, insegnante, Mce di Venezia-Mestre (DC)
Per incominciare vorremmo che lei spiegasse ai nostri insegnanti, perché non si può abrogare la legge 53 che tanto ci ha disorientato in questi anni. Avete cambiato il nome del Ministero; ci ha fatto molto piacere essere ritornati al nome repubblicano… Ministero della Pubblica Istruzione… Crediamo che al cambio di governo si sia creata nella scuola l’attesa, legittima, che si potesse ripartire col nuovo anno scolastico dopo aver fatto piazza pulita della vecchia legge di riforma, ma non c’è stato finora un apposito provvedimento. Si risponde che è difficile, è impossibile… Ci dica qualche cosa di convincente.
Vice Ministro Mariangela Bastico (MB)
La scelta di rimettere il nome Pubblica Istruzione è stata una scelta importante.
Come tutti i simboli, il nome è carico di valore, e noi vogliamo riaffermare che il sistema pubblico dell’istruzione svolge un compito costituzionale, una funzione di grande rilevanza quale garantire il diritto allo studio d’ogni ragazzo.
Ci si chiede perché non abbiamo usato lo stesso metodo andando alla abrogazione totale della riforma Moratti… Prima di tutto per una scelta sostanziale e poi anche di procedura.
La scuola ha vissuto dieci anni, due legislature, attraversata da annunci di grandi riforme, tuttavia le leggi vengono scritte all’ultimo minuto della legislatura, e sono regolarmente messe in discussione dal governo successivo. Penso che la scuola ora non ne possa più, e soprattutto rischi di subire grandissimi danni dalla condizione d’incertezza, di annunci, di stop and go.
Per questo abbiamo fatto a monte la scelta di non operare più con questa modalità.
Non certo per dare una continuità valoriale alla riforma Moratti; al contrario, noi vogliamo affermare un principio di alternatività culturale e politica rispetto all’impianto di quella legge, ma intendiamo operare con la logica del “cacciavite”, mettendo in atto una discontinuità che si concretizza nello smontaggio di parti, e di rimontaggio, in modo sostitutivo, di norme, indirizzi, valori di stampo diverso, nonché più utili per l’autonomia scolastica. Questo è il senso concreto e valoriale di questa operazione.
Ci siamo chiesti che cosa sarebbe potuto accadere a questo governo, se avessimo imboccato la strada dell’abrogazione. Innanzi tutto ci sarebbe voluto un tempo lunghissimo per l’approvazione di una legge abrogativa. Inoltre pensiamo che al Senato, dove abbiamo una maggioranza strettissima, che peraltro non condivide in tutte le sue componenti un’abrogazione secca, una legge abrogativa non sarebbe stata per niente facile da realizzare.
Il risultato di questo lungo iter sarebbe stato il seguente: mentre discutiamo di abrogazione la legge Moratti continua a svolgere nella scuola tutti i suoi effetti. Non avendo la bacchetta magica saremmo stati costretti a lasciar andare avanti le cose così. Poi, una volta abrogato, avremmo dovuto costruire un nuovo impianto a partire dalla scuola dell’infanzia.
Credo che uno degli errori del passato sia stato quello di non essere partiti subito da un ragionamento capace di affrontare il nodo della scuola media e superiore. Tutte le volte che si decide di partire daccapo si mette il sistema in una fibrillazione terribile, e poi, quando si arriva al vero nodo della riforma, quello in cui c’è grande necessità di cambiamento, in altre parole la scuola superiore, non c’è più tempo, non ci sono più energie., Queste mi sembrano ragioni di sostanza politica e di attenzione al mondo della scuola.
Non vogliamo fare annunci, ma affermare una vera logica di cambiamento, senza far correre dei rischi alla scuola per non essere arrivati a tempo, per questo vogliamo partire dall’innalzamento dell’obbligo scolastico
Giancarlo Cavinato, dirigente scolastico, Mce di Venezia-Treviso (GC)
L’obbligo verrà anch’esso ripristinato com’era nella denominazione del vecchio Ministero?
MB La prima azione ri-costituente e quindi la priorità massima è per noi l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, che si deve chiamare obbligo, non diritto-dovere, né con altre formule ambigue.
Obbligo di frequenza scolastica per le famiglie dei ragazzi, ma soprattutto obbligo per la Repubblica di mettere in campo tutto il personale docente, gli strumenti e le risorse idonei a rendere effettivo l’obbligo, affinché tutti i ragazzi e le ragazze restino nella scuola almeno fino al biennio delle superiori.
Poi procederemo a riempire di contenuti il biennio unitario.
GC Restiamo un attimo su questa questione. Per cinque anni noi del Mce siamo andati nelle scuole a dire che la sig.ra Moratti non aveva la bacchetta magica per modificare ope legis il ciclo di vita dei soggetti, le loro fasi di sviluppo, costruendo anticipi, scelte precoci e così via. Lei non pensa che ci vorrebbe oggi una proposta che riguardi gli anni ponte fra ordini di scuola, ed in particolare il raccordo fra scuola media e biennio superiore?
MB Non credo che vadano criminalizzate le proposte di accelerazione dei tempi di percorrenza del ciclo formativo. Se ci sono state esperienze positive, pensate e realizzate da gruppi di docenti, esse vanno prese in esame, come vanno prese in considerazione le esperienze di sostegno al cammino degli studenti in difficoltà… Tuttavia io non ritengo questa la modalità giusta … Il Biennio non sarà un semplice prolungamento della scuola media. I ragazzi saranno chiamati a effettuare comunque una scelta in terza media, e in ciò si realizzerà uno stacco nel loro cammino formativo: se la scuola ha lavorato bene un certo processo di integrazione, di compensazione, di arricchimento culturale è avvenuto, ed essi possono scegliere. Il biennio è visto in continuità con la scuola dell’obbligo, come un tempo per maturare la scelta in maniera libera e autonoma, non condizionata dalle scelte familiari, né dagli insuccessi precedenti. Per questo il biennio sarà parte dell’obbligo, ma già orientativo: i ragazzi scelgono pensando ad un percorso di scolarizzazione superiore; il biennio avrà discipline trasversali comuni; potrà realizzare bene delle “passerelle” perciò i ragazzi potranno rivedere la scelta fatta senza esserne penalizzati.
Il biennio è in posizione strategica nel percorso formativo e costringerà anche a rivedere i programmi della media: si potrà rompere con la prassi di svolgere le discipline in tre anni e allungare i tempi rendendo l’apprendimento più efficace, ma anche più aderente ai tempi di crescita dei ragazzi.
Il rispetto dei tempi di crescita è l’asse sul quale dovremo rivedere anche le Indicazioni nazionali.
La Moratti ha messo in campo una visione assolutamente opposta, basata sul far presto, sul correre. Anticipare la lettura e la scrittura, è davvero un punto d’arrivo per tutti?
Ma per il bambino che non ce la fa arriva, precocemente, il primo insuccesso scolastico.
DC Questo mi sembra un segnale vero di discontinuità. Mi chiedo se all’inizio del prossimo anno scolastico darete degli altri segnali forti, capaci di superare l’attuale disorientamento della scuola. Penso alle indicazioni nazionali, ma soprattutto alle questioni relative alla valutazione (schede, registri, portfolio): su questi punti manderete alla scuola qualche messaggio?
GC In certe situazioni scolastiche alla scuola materna e alle elementari dirigenti zelanti hanno adottato dei registri da brivido, commisurati ad un vuoto della riforma che si voleva far passare per pieno, registri in cui le attività, come alle scuole medie e alle superiori, sono scandite in ore e le insegnanti dovrebbero segnare cosa fanno coi bambini d’ora in ora, dettagliando UDA e OSA.
MB Il primo ciclo è stato maggiormente coinvolto, ed ha visto dei cambiamenti reali a seguito della Moratti, anche se c’è stata una forte azione di resistenza da parte di molte scuole e di molti docenti e dirigenti. Quindi nell’elementare occorrono delle azioni di ripristino delle condizioni di partenza. Abbiamo iniziato da subito a lavorare sul portfolio, il Ministro ha già dato un’indicazione chiara nella quale afferma che è vigente l’autonomia scolastica, quindi gli insegnanti non sono obbligati a scrivere tutte quelle cose. E’ chiaro tuttavia che, avendo cominciato a lavorare a maggio, quando già una serie di scuole aveva ormai impostato le proprie scelte sulle nuove modalità, era oggettivamente difficile azzerare tutto. E’ stato scelto di dire con chiarezza agli insegnanti: utilizzate gli spazi dell’autonomia scolastica, fate quello che ritenete meglio, più conveniente per la valutazione.
Abbiamo inoltre ribadito che le sentenze del Tar del Lazio dovevano essere applicate e quindi la valutazione sulla Religione cattolica deve essere stralciata dal documento di valutazione.
Infine il Garante della Privacy dovrà dare indicazioni definitive anche sui termini di garanzia della sfera intima degli alunni; quindi abbiamo suggerito di non entrare troppo nel dettaglio di quegli elementi che attengono alla sfera privata di un ragazzo.
Questo è stato quello che finora abbiamo potuto fare.
Ora, non potendo più utilizzare la norma dei correttivi per il primo ciclo, perché sono passati tutti i 18 mesi previsti dalla legge, stiamo cercando di predisporre entro l’estate lo smontaggio, senza ricorrere alla legge, degli anticipi, del tutor e delle materie opzionali, di ripristinare il tempo scuola nelle forme del tempo pieno e del tempo prolungato che erano stati maldestramente intaccati.
Invece per i decreti attuativi della Moratti che non hanno visto la scadenza dei termini dei correttivi (secondo ciclo, scuola superiore, diritto-dovere, alternanza scuola-lavoro, formazione personale docente) con l’approvazione del decreto “milleproroghe”.
GC Sono un dirigente scolastico e devo affermare che alcuni miei colleghi, ammantandosi del rispetto della legalità, sono andati di là da quello che contrattualmente e normativamente sarebbe stato possibile attuare: hanno smontato teams consolidati nei moduli, coppie di docenti del tempo pieno, hanno assegnato forzosamente alle classi l’insegnante prevalente…. Questi interventi rendono difficile un ritorno indietro tout court. Diventa difficile anche il ripristino di condizioni “normali”, di quelle dinamiche collegiali che sono state il segno della battaglia per una scuola democratica dagli anni Settanta. Qualche ispettore ha stigmatizzato il ‘mito della collegialità. Occorrono dei forti segnali di chiarimento da parte Ministeriale anche nei confronti dei dirigenti scolastici.
MB Infatti, è così. Ad es. la vicenda del tutor (con il tentativo di diversificare un insegnante a 18 ore settimanali come addetto alle relazioni con la famiglia) è stata chiaramente lo strumento per scardinare l’organizzazione dell’insegnamento nella scuola elementare.
Così come aver parlato di 40 ore, computandole in 27 più 3 più 10 di mensa, è stato un chiaro tentativo, attraverso lo spezzettamento del tempo scolastico, di disarticolare la proposta educativo-didattica del tempo pieno. Ora è chiaro che dobbiamo ripercorrere quella strada all’indietro, con un’attenzione in più: il tempo pieno è stato abrogato per legge e quindi siamo costretti a dare delle indicazioni per ricomporlo. Avendo una norma che prevede le 40 ore, quelle necessarie per riattivarlo, daremo delle indicazioni ai dirigenti scolastici per ricostruirlo come un modello didattico, con la compresenza dei docenti. Tuttavia è evidente che prima o poi dovremo reinserire la norma che individua il tempo pieno alle elementari e il tempo prolungato alle medie come modelli didattici, non obbligatori, ma come opzioni possibili e valide.
DC Molti insegnanti, e tra essi anche il Mce, avendo investito sui processi di innovazione nella scuola, avevano salutato con speranza la nascita degli istituti comprensivi, perché stabilivano una continuità nel processo formativo dell’allievo. Tuttavia gli ultimi cinque anni sono stati caratterizzati da un silenzio totale sulla loro utilità, sul loro destino. In questo nuovo corso il Ministero si è posto il problema se siano ancora uno strumento valido, se siano o no da rilanciare?
MB Sono assolutamente favorevole agli istituti comprensivi. Non pensiamo di renderli obbligatori, perché non sempre si verificano le condizioni per realizzarli, ma credo vadano diffusi e sostenuti. Quando ero Assessore alla P.I. dell’Emilia Romagna, a esplicito sostegno degli I. C., è stata promulgata una legge regionale che indicava un cammino verso la loro generalizzazione. Siamo infatti contrari al tema dell’anticipo scolastico, e gli I.C., pur non essendo la soluzione di tutti i problemi, favoriscono elementi di continuità didattica ed educativa che sono, a mio avviso, la soluzione migliore al problema dei passaggi tra la scuola dell’infanzia e l’elementare, e tra questa e la media.
Ma come realizzarli? Anche qui bisogna fare un passo indietro. Quando la Moratti non inserì nella riforma gli I.C., ci fu una sollevazione da parte di Comuni, Province e Regioni che imposero il loro reinserimento nella legge. Ora dunque abbiamo una normativa che prevede l’istituzione degli I.C. ; tuttavia abbiamo bisogno di un indirizzo di favore e di incentivazione da parte del Ministero affinché quella strada sia ripresa.
DC Credo che gli I.C., soprattutto quando accolgono un’area territoriale definita di utenza (un intero paese, un quartiere) contribuiscano a creare un forte legame di identificazione tra scuola e territorio. Sul piano interno essi contribuiscono a realizzare uno scambio verticale tra docenti di vari livelli di scuola, che possono mettere in comune le loro specifiche professionalità contribuendo a identificare una “funzione docente unica”. Che ne pensa?
MB Condivido questa sua valutazione. Gli I.C. sono particolarmente importanti in territori circoscritti, perchè è lì che maggiormente si crea uno stretto legame tra la scuola e il sistema educante. E’ uno dei terreni principali su cui intendiamo svolgere il nostro lavoro: valorizzare l’autonomia scolastica come comunità composta da ragazzi che imparano e docenti che insegnano; di genitori che si relazionano con il processo educativo in modo corretto, costruttivo . Questa comunità educante ha avuto il riconoscimento della propria autonomia, anche sul piano giuridico, dalla Costituzione e dalla legge. Oggi questa comunità autonoma si relaziona con la comunità territoriale, cioè con il Comune, che rappresenta la comunità sociale più vasta; e si relaziona con tutte le articolazioni presenti in quella medesima realtà. Penso ad es. alle parti sociali: infatti nella scuola superiore è fondante la relazione tra scuola e mondo del lavoro (sindacati, associazioni industriali). Penso anche al mondo associativo culturale e al volontariato che tengono stretti i legami tra soggetti, scuola e società circostante.
Ho visto delle esperienze importanti nei Patti territoriali per la scuola. Hanno arricchito l’offerta formativa, hanno dato risorse alla scuola, hanno portato dentro l’offerta formativa dei contenuti vivi…
DC Ma lei non teme che all’interno di questi Patti formativi relativi alla scuola superiore possa prendere il sopravvento un’idea aziendalistica, su un’idea formativa… insomma che possano diventare delle gabbie all’interno delle quali si sviluppano forme di apprendistato e di lavoro minorile mascherato?
MB Il rischio ci può essere sempre. Tuttavia proprio sentendo questa preoccupazione, faremo in modo che questo non debba avvenire. E’ necessario che la scuola tenga nelle proprie mani le redini del processo formativo. Come abbiamo già fatto sul piano regionale, anche su quello nazionale intendiamo affermare il tema dell’alternanza scuola-lavoro come una metodologia didattica, la cui responsabilità deve rimanere esclusivamente nelle mani di coloro che hanno costruito il progetto, ovvero Consigli di classe e Collegi dei docenti. Nell’Emilia Romagna abbiamo dato anche degli standard per evitare la prevalenza degli aspetti lavorativi sugli aspetti educativi-didattici: è evidente che diviene in questo quadro importante quantificare il numero massimo di ore da svolgere al di fuori della scuola stessa in attività di stage o di tirocinio. Ora è compito del Ministero dare delle indicazioni sui livelli essenziali, sugli standard che identificano l’alternanza come metodologia di insegnamento-apprendimento.
Credo che il tema del Sapere e Saper fare realizzato in questo modo dalla scuola contribuisca a dare ai ragazzi il senso del lavoro, dei suoi valori di riferimento; ma anche la conoscenza dei diritti, dei doveri, e delle norme sulla sicurezza; che li aiuti a orientarsi in un’organizzazione complessa qual è il mondo del lavoro. E’ un indirizzo totalmente diverso dall’addestramento professionale: il nostro punto di arrivo è creare la consapevolezza nello studente che al termine del percorso di studi ci sarà l’inserimento in un mondo che ha le sue norme , le sue relazioni, le sue gerarchie, regole reciproche da rispettare…. Mi sembra un aspetto importante…
Voglio aggiungere ancora che oggi molti ragazzi rivelano modalità di apprendimento estranee alla lezione teorica d’aula. Per essi ci vogliono laboratori, stage, simulazioni (non ne sono appassionatissima, ma credo che possano essere uno strumento): attraverso queste diverse modalità anch’essi possono completare proficuamente il loro percorso formativo. Credo che questa sia la nostra linea culturale, che non ha nulla a che fare con la sudditanza della scuola al mondo del lavoro. Ci rendiamo conto che oggi i ragazzi sono diversi, e la nostra vuole essere una linea di innovazione didattica che punta a far realizzare a tutti l’iter formativo, non solo a coloro che sono stati abituati fin da piccoli a leggere, e per i quali è naturale continuare ad imparare sui libri.
GC Qui, nel ricco Nordest, ci sono infatti molte famiglie con un livello culturale basso, che non sempre investono sull’emancipazione dei figli attraverso gli studi, ma puntano sul lavoro precoce, a scapito della formazione, per raggiungere uno status sociale più elevato.
MB Vanno quindi aiutate a ritrovare fiducia nella scuola, a non sentirla come un tempo sottratto al lavoro
DC Il Mce lavora molto sul campo della formazione degli insegnanti. Quella iniziale è principalmente svolta dall’Università; ma la Formazione e l’aggiornamento in servizio vedono spesso la nostra associazione protagonista, chiamata da Enti e scuole, intervenire con proposte sull’educazione interculturale, sulla gestione dei conflitti, sulle didattiche delle aree disciplinari…. Spesso è il Mce che propone delle iniziative formative anche a distanza, anche al di fuori del tempo scolastico (scuole estive, week end formativi, convegni). Fare gli insegnanti, concorderà con noi, significa un po’ trovarsi in una situazione che necessita di una formazione permanente. Tuttavia l ‘istituzione scolastica tende a trattenere gli insegnanti al suo interno, impegnandoli continuamente, e non consentendo facilmente uscite formative. Ci sembra che non ci sia alcun riconoscimento per coloro che, a spese proprie e utilizzando il proprio tempo, frequentano quelle iniziative, che pure migliorano la qualità della scuola. Le chiedo se il suo Ministero non ritenga di dover incoraggiare la partecipazione, o almeno dare un riconoscimento ai corsi , così come già succede in altri settori, come il socio-sanitario..
MB Ci sono due aspetti che vanno distinti. La formazione in ingresso e la formazione in servizio.
Sulla prima esprimo una valutazione negativa dell’art. 5 della legge Moratti e del conseguente decreto attuativo. Intendiamo rivedere il capitolo della formazione iniziale così come era stata prevista dal precedente governo perché lo riteniamo in sistema macchinoso e rigido . La nostra riflessione parte dalle realtà esistenti, le SSIS: vorremmo provare a valutare il loro impatto, analizzare ciò che hanno svolto… La definizione di laurea quinquennale più un percorso di SSIS delinea poi un percorso troppo lungo… a mio avviso occorre inserire nel tratto di formazione con la SSIS un tempo maggiore di tirocinio nella scuole. Non possiamo continuare a pensare che si diventa insegnanti sentendo solo delle lezioni teoriche (si finisce per diventare insegnanti teorici). Abbiamo perciò costituto un gruppo misto tra Ministeri P.I. e Università per trovare rapidamente delle soluzioni. I nostri impegni per superare con un piano di medio periodo il precariato devono essere accompagnati strettamente dall’individuazione di nuove modalità di formazione e reclutamento del personale docente. Dobbiamo cominciare questo lavoro oggi, perché nell’immediato futuro ci consegni un nuovo sistema.
La formazione in servizio presenta aspetti diversi. Essa è indispensabile, direi quasi obbligatoria (fra virgolette) per la qualità della scuola , e va quindi sostenuta, sono d’accordo con lei. Tuttavia dobbiamo fare attenzione a non porre in essere un sistema di formazione teorico, che sommi all’attività scolastica degli altri corsi. Alcuni limiti dei percorsi da lei citati sono proprio da evitare: l’aggiornamento rischia di diventare occasione formale, che si fa solo per dovere, oppure per vedersi assegnare dei punteggi (è accaduto anche nelle graduatorie per l’immissione in ruolo dei precari).
Dobbiamo pensare ad una formazione in servizio che abbia anche un’utilità, una ricaduta sulle attività con i ragazzi, ma soprattutto che parta da esperienze vissute: gli insegnanti debbono potersi formare sulle esperienze di innovazione che hanno attuato loro stessi, oppure altri colleghi. E’ una idea di formazione-azione, è la formazione-verifica delle attività svolte, legata a dei progetti educativi. Noi non valorizziamo abbastanza l’azione di vera ricerca pedagogica e didattica che fanno i docenti nelle scuole. Se le loro esperienze diventassero oggetto di riflessione sarebbe una gran passo avanti. Nelle Università , ad es., ogni ricerca che viene attivata dai docenti , alla fine è documentata e valutata . Anche la scuola deve adottare quel costume.
GC Mi sembra un’ipotesi che ricalca da vicino quella dei Centri Territoriali a sostegno dell’autonomia (CSI), che la Moratti ha azzerato. Potevano diventare i luoghi della ricerca-azione pedagogica.
MB I CSI devono essere il luogo della documentazione e della formazione, della ri-discussione delle esperienze. Chi meglio del gruppo docente che ha di fronte ad esempio il problema della integrazione dei ragazzi stranieri può intervenire con dei nuovi progetti nella scuola?
È utile scambiarsi le esperienze realizzate, porsi quesiti teorico-culturali, a rispondere ai quali può essere chiamato anche il grande esperto internazionale, si può inoltre decidere di andare a vedere le esperienze che hanno fatto altrove (in Francia o in Inghilterra ad es.), dove ci sono condizioni socio-culturali diverse dalle nostre. Non per avere dei sistemi da imitare, ma per integrare, migliorare l’attività scolastica quotidiana.
È un tema assai difficile quello dell’integrazione dei ragazzi stranieri, che coinvolge in modo rilevante molte scuole, senza che ci siano stati sostegni reali da parte del Ministero.
DC Tuttavia una gran parte della categoria appare un po’ demotivata alla formazione in servizio; penso che ciò dipenda anche dal fatto che molti insegnanti sono invecchiati, e guardando in avanti vedono il tempo della pensione, non quello dell’investimento nel rinnovamento della scuola.
MB Ma entreranno anche dei giovani.
DC Mi fa piacere sentire che entreranno dei giovani. Leggo tuttavia delle preoccupazioni opposte in molti colleghi. Provengono dalle notizie economiche che minacciano blocco del turn over, dei contratti… Si crea un malumore e si rischia di reagire negativamente ad ogni progetto innovativo.
MB C’è sempre amarezza quando si sente dare via dei numeri in modo un po’ improvvisato. Vede, possono esserci anche delle classi con 12 o 13 ragazzi, ma andiamo a verificare dove si trovano e quali siano le condizioni reali. Oggi abbiamo un sistema informativo che ci mette in grado di controllare uno per uno gli alunni e ci delinea una per una le classi in cui essi si trovano. Il M. P. I. si è detto disponibile a mettere tutti i dati sul tavolo: laddove si trovano degli abusi li andremo a riprendere. E’ ingiusto sprecare docenti da una parte, quando da un’altra ce n’è invece un bisogno socio-educativo estremo: ad es. nel sostegno all’handicap, nel tempo pieno che viene richiesto, nelle scuole dell’infanzia che ancora non riescono a dare una copertura completa alla domanda. Se saranno trovati sprechi siamo disposti a incidere, a tagliare su quelli; e se invece troviamo una classe che ha 12 bambini, ma che vive in una condizione ambientale priva di alternative, allora non indichiamola come scandalo, ma diamola come numero oggettivo di necessità , motivata da ragioni sociali serie e provate. Credo che nella scuola si debba smettere di agire sulla base di generalizzazioni, solo facendo un’attenta valutazione dei costi (economici e sociali) possiamo uscirne. Anche quando facciamo le leggi finanziarie bisogna che i problemi vengano affrontati con un’ ottica mirata sulle specificità, e oggi abbiamo dei dati che ci consentono di fare tutte le valutazioni necessarie al caso.
DC Vorrei in conclusione porle una questione di fondo. Si è parlato più volte dell’integrazione dei minori stranieri: essi sono accolti nelle nostre scuole, a volte creando conflittualità. Ci sono stati, nel corso di questi anni, dei momenti in cui ci si è divisi tra più idee di scuola. Da un lato i sostenitori di una scuola aperta, laica, disposta a modificare i propri compiti, tempi e spazi modulando la propria offerta sulla base delle richieste e dei bisogni dei nuovi soggetti; dall’altra i sostenitori di una scuola distinta, che attiva un’offerta formativa omogenea alle richieste dei propri utenti. L’esempio forse più clamoroso è l’idea di una scuola islamica per gli islamici e cattolica per i cattolici, insomma una scuola regolare, unica, e di fronte una scuola speciale . Lei come vede il futuro della scuola italiana?
MB E’ un grande dibattito culturale che l’Italia non ha ancora affrontato, e quindi la prima cosa che mi sento di dire è che dobbiamo aprire questo dibattito e andare fino in fondo. E lo dobbiamo aprire nell’ottica della piena integrazione di tutti nella scuola pubblica. La scuola pubblica ha infatti un valore fondante: l’accoglienza della pluralità dei soggetti, delle culture, delle tradizioni religiose, delle diverse provenienze sociali. L’attuazione di questo valore fa di essa uno straordinario luogo formativo, dove si apprende a confrontarsi con le diversità, ma anche un’occasione straordinaria per creare pari opportunità per tutti e tutte. Nutro una forte convinzione che questo sia possibile in un sistema pubblico aperto. Ora mi occupo non solo di dichiarare queste cose, ma di renderle possibili.
Nel dibattito culturale da aprire occorre porre il problema di come rendere attuabili i processi di integrazione: con quale modalità di rispetto delle diversità, con quale valorizzazione delle specificità, ma anche con quali modalità si aprono pari opportunità. Ad es. un ragazzo straniero inserito in una classe, se non conosce l’italiano, è oggetto di una integrazione fasulla: o lo mettiamo nella condizione di capire bene la nostra lingua oppure non si realizza nessuna opportunità né integrazione.
Secondo me all’arrivo di un alunno straniero, andrebbe avviato un processo di insegnamento intensivo della lingua italiana , anche se in parte ciò debba avvenire fuori dalla classe. L’apprendimento della lingua diventa il primo veicolo dell’integrazione. Senza questo si rischia di considerare i ragazzi stranieri che poco conoscono l’italiano come problematici, mentre spesso essi sono svelti, motivati, dotati, ma non riescono a superare bene l’handicap comunicativo.
Ecco, l’avvio del dibattito sull’integrazione deve parallelamente attivare una riflessione seria su come si insegna intensivamente la lingua a un ragazzo che non la conosce.
Tuttavia un percorso integrativo si svolge in due direzioni, è reciproco, e impegna a pensare anche ai ragazzi di seconda generazione: come la scuola può aiutarli a mantenere la loro lingua d’origine?
Sarà necessario aprire il dibattito in termini culturali ampi, di valorizzazione delle esperienze effettuate, nonché di indirizzo per le esperienze future di scuola pluralista.
Non ritengo fondate le preoccupazioni espresse da alcuni su una scuola di tutti che finirebbe per appiattire, abbassando i livelli generali di istruzione. Penso che nascondano posizioni favorevoli alla privatizzazione della scuola, con risultati di volerne una biforcazione: da un lato una scuola alta, di qualità e a pagamento; dall’altro una scuola bassa, pubblica, per tutti.
Una scuola con alto valore sociale, che non lascia indietro nessuno, una scuola del non uno/a di meno, che ha la capacità di insegnare a delle persone in difficoltà, è una scuola di eccellenza, perchè significa che è in grado di individualizzare la didattica adattandosi a ciascuno, dando una vera chance anche a coloro che non hanno altre possibilità di emancipazione. Essi non vanno ingannati, ad essi va offerta una scuola di qualità, capace di non escludere, di usare modalità di accompagnamento che non li lascino indietro.
Faccio l’es. delle scuole dette della seconda opportunità. Ce ne sono in Trentino e in Emilia; famose sono quelle collegate al progetto Chance a Napoli. Esse hanno messo in campo delle prassi educative e didattiche che andrebbero importate anche nelle scuole della prima opportunità. Per evitare la dispersione scolastica, che è ancora uno dei buchi neri in cui si perdono i nostri ragazzi.