20 Novembre 2003

Dal Forum sociale di Parigi

Sveva Haertter

A Parigi, anche fuori da seminari e plenarie si è parlato molto della legge che vieta l’esposizione visibile di qualsiasi segno di appartenenza religiosa nella scuola pubblica.
Martine, favorevole alle legge, racconta di essere molto arrabbiata per il fatto che nella piscina che frequenta, ora ci sono orari in cui l’ingresso è concesso solo alle donne: “Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo”. L’obiezione che questo è l’unico modo per darvi accesso a donne e ragazze di religioni che prevedono una stretta separazione tra uomini e donne, non la convince più di tanto. Viviane sostiene che è necessario un percorso più graduale, ma che certo, alcuni tipi di lavoro che prevedono un contatto con il pubblico, difficilmente possono essere svolti da donne che per osservanza religiosa per esempio non danno la mano agli uomini.
Durante e dopo la plenaria su “Razzismo, xenofobia e antisemitismo”, nella quale fin dall’introduzione è stato sottolineato che è un errore limitare le espressioni individuali, anche se di tipo religioso, ne parlo a lungo con Widad, una giovane donna di origine maghrebina che abita in un piccolo centro fuori Parigi. Casacca, jeans e scarponi, la testa coperta da un foulard. Widad ha 28 anni, tre figli piccoli e un master in economia.
Sei venuta solo per questo dibattito o hai partecipato ad altri lavori dell’FSE?
“No, solo per questo dibattito. Mi interessa molto. Soprattutto la questione dell’antisemitismo. È difficile sostenere la causa del popolo palestinese senza subire questo tipo di accuse. Ma sono qui anche per sentire la discussione sul razzismo, sulla situazione qui in Francia.”
Cosa pensi della legge che vieta il velo nelle scuole?
“Vedi, io vorrei fare l’insegnante, ma non posso perché porto il foulard. Voglio lavorare però e quindi penso che proverò a mettermi in proprio.”
Come ti regoli, quando per salutare un uomo ti porge la mano?
“Beh, in teoria non vorrei dargli la mano, ma se capita che un uomo mi porge la mano rispondo al gesto, altrimenti lo metterei in imbarazzo e questo mi dispiacerebbe. Non sarebbe educato. Certo, se non mi porgono la mano sono più contenta.”
Dalla platea è intervenuta una donna, dicendo che il velo è un simbolo di oppressione delle donne. Capisci le sue ragioni?
“Certo che le capisco. Ci sono tanti paesi dove le donne sono costrette loro malgrado a portare il velo e questo va senz’altro denunciato con forza.”
E tu, perché hai deciso di coprirti? È una tua scelta o è stata la tua famiglia a volerlo?
“Quando ero una teenager cercavo me stessa, sentivo bisogno di una maggiore spiritualità. Ho letto molto il corano ed ho deciso che mi sembrava giusto che una donna avesse un aspetto pudico. Così ho deciso di potare il foulard. Non so se riesci a capirmi. E in parte è anche un’esigenza di rimarcare la mia identità, l’appartenenza ad una minoranza.”
Anche le tue sorelle hanno il foulard. Hanno fatto lo stesso tipo di percorso? La tua famiglia è religiosa?
“Si, hanno fatto come me. La mia famiglia non è particolarmente religiosa. Anche in una famiglia religiosa troverei molto sbagliato imporre il velo ad una ragazza o ad una donna che non lo vuole portare. La costrizione non aiuta la ricerca spirituale e quindi nemmeno la religione. Se il velo è semplicemente imposto, è privo di significato.”
Cosa diresti alla donna che è intervenuta prima, a chi è favorevole alla legge e soprattutto a questo movimento?
“Vorrei dire che invece di sostenere quella legge, soprattutto noi donne dovremmo unirci in una grande battaglia comune perché in tutto il mondo, anche nei paesi arabi, le donne siano veramente libere, anche di scegliere se mettere o no il velo.”
Che nelle scuole pubbliche si imponga di appendere croci sulle pareti o si vieti di portare il velo, non cambia poi molto, sono due espressioni di una stessa intolleranza, reazioni scomposte di un’Europa spaventata dal fatto di essersi scoperta già più multietnica di quanto pensasse di essere. Sarebbe ben più importante ragionare su chi sono oggi i cittadini europei, sui loro diritti, le loro esigenze e modalità di espressione, sul significato del concetto stesso di cittadinanza in Europa

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