Vito Teti
Cara professoressa Fortunato, ho letto anch’io con grande interesse il suo intervento (apparso giovedì su “Il Quotidiano”) sugli esami di maturità, nel quale interagisce con quanto avevo scritto su questo giornale il 25.06.2009 e di questo la ringrazio. Come altre volte, nel suo scritto pone questioni importanti e solleva problemi sui quali occorre riflettere pacatamente e a lungo. Sono d’accordo con lei: il problema è il “senso” che dobbiamo dare alla scuola, il “senso” che la scuola ha o dovrebbe avere. Penso che la salvezza di questa società senza punti di riferimento, devastata dalla televisione dei reality, oppressa dalle censure, dominata dalle disparità sociali, ingannata da un grande incantatore, consista proprio nel tornare a riporre speranze e risorse nella scuola. Penso che siano i docenti, i maestri, gli uomini di scuola quelli che hanno l’immane compito di fornire non solo istruzione, ma anche – come lei dice – amore, passione, ai ragazzi. La scuola dovrebbe farsi carico di alimentare nei giovani quella “coscienza critica” e “libera” che purtroppo né le famiglie (per mille ragioni) né la televisione riescono a creare. Il problema allora non è, come scrivevo, quello di brandire il merito come una “clava”, come una “minaccia”, ma di riconoscere nel merito un diritto, un’opportunità, un’occasione per i tanti che possono contare soltanto sulle proprie capacità e non sulle parentele, sulle eredità, sulle clientele. Odio i cinque in condotta, le punizioni, le bocciature. Una volta, tanti anni addietro, all’Università di Catanzaro, Facoltà di giurisprudenza, ho assistito all’esame di un docente, che ha bocciato tutti i 64 studenti che facevano l’esame. Si capisce che uno che boccia tutti i suoi allievi boccia sé stesso, rivela e manifesta le sue incapacità, l’odio per la scuola e per il sapere. Queste forme di rigore estremo poi in realtà coprono spesso compiacenti adesioni alle poche, ma influenti, raccomandazioni. Per questo, all’inizio dei miei corsi, invito gli studenti a non farsi raccomandare, a “raccomandarsi” da soli, a presentarsi con la loro sensibilità, i loro problemi, le loro passioni, le loro capacità e i loro limiti. Il merito non può essere separato dal “metodo”, dal modo di insegnare e di rapportarsi agli studenti, dalla capacità di vedere nello studente non qualcuno da “torturare”, da “fare cadere”, ma un interlocutore, un soggetto che ci può trasmettere e comunicare cose fondamentali. Apprendo, quotidianamente, molto dai miei studenti, nonostante il modello di università che si sta creando stia portando in direzione di rapporti sempre più fugaci, veloci, formali. Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno fatto una bella gara per sminuire il ruolo del docente. Dalla scuola materna all’università. Sono d’accordo con lei quando scrive che oggi si tratta di salvare la relazione docente e allievo e la competenza simbolica delle/i insegnanti fino a ieri tacitamente ammessa, per esempio con il sacro principio della libertà didattica. Chi può salvare tale relazione se non le docenti, i docenti, le famiglie, la scuola? Chi s’interroga, davvero, su questa relazione? Quali forze politiche si sono fatte carico di questi problemi? Il quadro resta davvero sconfortante. Le donne, le insegnanti, le maestre, come lei scrive, hanno portato un metodo che ha prodotto un taglio rispetto a quelli del passato. Tra aspirazione e realizzazioni però c’è una qualche contraddizione. C’è qualcosa che non va. Lei immagina che la società patriarcale sia finita: io purtroppo no. E anche a costo di dire cose poco gradevoli, o politicamente scorrette, mi chiedo – ovviamente senza sterili generalizzazioni – se per caso alcune donne invece di lavorare per la “femminilizzazione” di cui lei parla spesso non abbiano finito con l’interiorizzare e il perpetuare i peggiori comportamenti maschili. Conosco tantissime realtà dove le donne, come lei scrive, “sia come insegnanti sia come allieve, sanno creare l’amore, creazione spirituale come l’arte, come la scienza”. Conosco però insegnanti, donne e uomini, che vivono il loro ruolo nella scuola come una “punizione”, come un “passatempo”. Ho “frequentato”, di recente, per ragioni personali alcune scuole elementari e materne: ho visto insegnanti conflittuali, litigiose più dei loro pochi colleghi, del tutto lontane da quella pratica dell’amore in cui lei ed io crediamo. Il ministro che dovrebbe occuparsi della scuola è una donna i cui meriti scientifici e politici non sono tanto chiari. Da uomo, che pensa di avere una parte “femminile” non secondaria, sono molto deluso dal silenzio “femminile” sull’uso che delle donne, del loro corpo, della loro anima, sta facendo il potere, non il Potere con la p maiuscola, ma questo signore che ci governa qui ed ora. Abbiamo tanto faticato per metterci in discussione, per cercare di capire e di vivere in maniera diversa il “femminile”, ma qualcosa sta accadendo e ci disorienta. Non ultimo, il continuo insistere mediatico con immagini di escort bambine, proiettate verso livelli progressivi di mercificazione.
C’è una “mortificazione” delle donne nella scuola e nella società e non si capisce quanto invece sarebbe decisiva una lettura al “femminile”. Ne sono tanto convinto che nella mia cattedra, l’unica collaboratrice quasi stabile che mi accompagna nelle mie ricerche e nella didattica, Alfonsina Bellio, si occupa di femminile, di mistiche, sante e veggenti, di “donne che parlano con i defunti” e che indicano altre idee e immagini del corpo, della divinità, della morte, del femminile. Un femminile spesso nascosto nelle pieghe della storia, che, se ascoltato, sa proporre modelli di riferimento solidi. Mi sembra che siate sulla stessa lunghezza d’onda e con voi tante altre donne, in vari posti delle regione, che insegnano, realizzano, con amore e competenza, eccellenti progetti didattici e formativi e hanno cura degli allievi. Sarebbe bello (se lo ritenete opportuno posso fare da tramite) che vi incontraste, magari stabiliste dei contatti, e immaginaste un bel progetto su queste tematiche e su queste problematiche per le scuole della nostra regione. Un progetto regionale sul/col/per il femminile, trasversale e costruttivo, non “contro” ma “a favore di”, “verso”, che potrebbe coinvolgere tutti i saperi, quelli tradizionali femminili e quelli filosofico-scientifici al femminile, in un percorso letterario-artistico-antropologico-linguistico-scientifico, con attenzione mirata alle donne calabresi, che molto, nel tempo, hanno dato e stanno dando. Qualche scuola ha già lavorato in questa direzione, in maniera a volte isolata, sarebbe ora il caso di fare rete. In questo momento c’è un vicepresidente della giunta regionale, con la delega all’istruzione, che si sta spendendo molto per la scuola, per gli studenti, per la formazione, proviamo a sollecitarlo anche in questa direzione. Incontriamoci, donne e uomini animati da passione e volontà. Continuo, nonostante tutto, a pensare che il problema sia “politico” e che ci sia bisogno di buone pratiche politiche, di progetti e di programmi condivisi, di un “fare” secondo valori e con una finalità, con quella richiesta di “senso”, di cui lei parla con grande efficacia e sensibilità, e con la cura motivata, prima che dalla ragione, dalle emozioni.