Gli fece scrivere cento volte: sono deficiente. Il giudice: voleva rieducarlo
Alessandra Ziniti
In una scuola, come quella italiana, «inadeguata» a far fronte ai tanti episodi di violenza tra i banchi, anche far scrivere cento volte “Sono deficiente” al bullo di turno è un modo legittimo per intervenire a tutela del più debole e dell´intera classe e con finalità esclusivamente educative nei confronti dei ragazzi che ritengono, con la prevaricazione, di guadagnarsi la leadership del gruppo.
«Un´azione a fin di bene». Con questa motivazione, il giudice Piergiorgio Morosini ha assolto perché il fatto non sussiste l´insegnante di lettere di una scuola media della città per la quale il pm Ambrogio Cartosio aveva chiesto la condanna a due mesi di carcere per abuso di mezzi di correzione, dopo la denuncia del padre del ragazzino punito per aver impedito ad un compagno di entrare nel bagno dei maschi apostrofandolo così davanti ad altri ragazzi: «Qui tu non puoi entrare, sei una femminuccia, sei un gay». Tre e ore e mezza di camera di consiglio per emettere una sentenza che il giudice ha voluto contestualmente spiegare leggendo in aula le 13 pagine di motivazione redatte dopo aver consultato anche i più moderni e condivisi studi di psicopedagogia. In aula, assente la prof imputata e il padre dell´alunno punito che le aveva chiesto un risarcimento danni di 25 mila euro, una variopinta delegazione di omosessuali, arrivati a sostegno dell´insegnante.
«Uno stile comunicativo superato» è stata l´unica critica che il giudice si è sentito di rivolgere all´operato della professoressa finita sul banco degli imputati. Per il resto il gup Morosini ha ritenuto che l´iniziativa dell´insegnante sia stata «improntata all´esigenza di rieducare il giovane alunno stigmatizzando la sua condotta lesiva della sensibilità del compagno onde evitare che la convinzione di agire impunemente in quel modo lo portasse, nell´evoluzione della sua personalità, ad una progressiva assunzione di comportamenti antisociali». E dunque lo scrivere cento volte sul quaderno “Sono deficiente” al giudice è apparso uno «strumento né improprio né sproporzionato». Anche perché, da tutelare, c´era innanzitutto la vittima di quell´atto di bullismo, un altro ragazzino che da tempo subiva le angherie di un gruppetto di compagni. «Le conseguenze per la vittima di certi atti consumati in contesti scolastici in età adolescenziale – scrive il giudice – sono la tendenza a chiudersi in atteggiamenti ansiosi ed insicuri. Poiché la vita in classe viene resa loro molto difficile, possono provare il desiderio di non andare più a scuola. Addirittura subire comportamenti prepotenti e intimidatori può mettere in serio pericolo di vita portando a gesti gravi di autolesionismo e anche a tentativi di suicidio».
Un passaggio salutato con un applauso dei gay presenti in aula che il giudice ha immediatamente stoppato così come, con queste motivazioni, ha voluto stoppare sul nascere ogni polemica. La necessità dell´intervento dell´insegnante innanzitutto perché «la prepotenza, se non tempestivamente stigmatizzata e contrastata, può arrivare sino al punto di pervadere le relazioni tra compagni di classe e di essere accettata come condizione normale dei rapporti interpersonali e sociali». Soprattutto in un contesto difficile come quello della scuola media in questione che «non ha elaborato un programma di prevenzione e repressione degli atti di bullismo e non ha mai coinvolto i genitori». Ma è tutto il sistema scuola a finire sotto accusa in una sentenza destinata a fare giurisprudenza: «Non esiste una regola generale per i docenti che si trovano davanti ad atti di bullismo – scrive il gup Morosini – e certamente appaiono inadeguati e ormai desueti gli strumenti di correzione indicati tassativamente dai regolamenti». Ovvero ammonimenti, censure, sospensioni, espulsione. E allora, conclude il giudice, «l´unico avamposto per la tutela delle vittime è rappresentato proprio dai singoli docenti». Ognuno con i metodi che ritiene tenendo salva la finalità educativa e la proporzione con l´obiettivo. Dunque anche cento volte “sono deficiente”.