23 Luglio 2011
Il Quotidiano della Calabria

Quanto conta la parola di una donna?

 

 

di Franca Fortunato

 

OGNI donna che denuncia per violenza sessuale un uomo, comune mortale o potente che sia, si è sempre trovata, e si trova tutt’ora, a dover fare i conti con la questione di essere creduta. Veniamo da una storia millenaria in cui gli uomini si sono impadroniti della “verità”, dell’autorità della parola, spacciandola per universale. La parola femminile per essere creduta ha sempre avuto bisogno di un supplemento di credibilità, ancor di più se a essere messa in questione era ed è la sessualità maschile. Perché di questo si tratta, quando parliamo di violenza maschile sulle donne. Alcuni uomini, pochi, lo hanno capito e, a partire da sé, hanno consapevolmente riconosciuto: «La violenza maschile sulle donne ci appartiene», perché se è vero che non tutti gli uomini sono stupratori è anche vero che tutti gli stupratori sono uomini, e nessuno di loro è un mostro. Tanti, la maggior parte, questo ancora non l’hanno capito, come dimostrano gli interventi su questo giornale, seguiti alla condanna a nove anni di padre Fedele per aver violentato una suora. Non è un caso che gli amici del frate, parlando di lui, non sanno dire niente della sua e loro sessualità, della cultura patriarcale, di cui la chiesa ne è stato un baluardo, che ha costruito una virilità violenta e prevaricatrice e una morale doppia, tripla della sessualità maschile. Oggi tutto questo è stato messo in discussione dalle donne che parlano e “sputtanano” gli uomini, abituati alla doppia morale, pubblico e privato. Questo è un fatto politico, è la fine del patriarcato, che molti uomini non riescono a registrare e da qui lo shock, lo sconcerto quando vengono a scoprire che le donne non tacciono più, non obbediscono, non si sottomettono né si rendono più loro complici. È così che io spiego il comportamento di padre Fedele, che mai si sarebbe aspettato che la suora lo denunciasse e meno che mai che un tribunale potesse credere alle parole di una donna. La chiesa non ha sempre insegnato alle donne che dovevano tacere, obbedire e che “i panni sporchi si lavano in famiglia”? La suora che ha subito violenza da padre Fedele, sostenuta dalle consorelle e dalla madre superiora generale, che il giorno della sentenza è voluta essere presente, venendo direttamente da New York, ha detto che tutto questo è finito, anche dentro la chiesa. Certo è che le donne sono cambiate e con loro è cambiata anche la società. Questo lo dico pensando al fatto che anche chi continua a difendere padre Fedele, mettendo in discussione la parola della suora di cui anche il tribunale ha riconosciuto la credibilità, considera lo stupro inaccettabile. Nessuno giustifica più lo stupratore, come avveniva nel passato, e, proprio perché se ne intuisce l’abominio, viene loro difficile credere che quell’uomo, conosciuto nelle sue vesti pubbliche, si sia potuto macchiare di un tale crimine. Ma chiedo a costoro, a quale stereotipo di violentatore dovrebbe corrispondere padre Fedele perché possiate credere alla parola della suora? A quale stereotipo di vittima dovrebbe corrispondere la suora perché consideriate credibili le sue accuse? Davvero pensate che chi violenta una donna è un mostro e come tale è riconoscibile? No, sono uomini comuni a esercitare violenza sulle donne, mariti, fidanzati, conoscenti, padri, amici, uomini di ogni ceto sociale e di ogni età, uomini di potere con una vita pubblica di successo e di rispettabilità. Le buone azioni di padre Fedele, di cui parlate, non solo non annullano il reato, di cui la suora lo ha accusato e per cui il tribunale lo ha condannato, anzi ne sono un’aggravante. Alla suora, della cui parola non ho mai dubitato, all’avvocata Marina Pasqua, alle consorelle e alla madre generale, voglio esprimere tutta la mia gratitudine per aver difeso il loro, e il mio, amore femminile per la libertà.

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