31 Ottobre 2008

Raccontiamo…

Le iniziative sindacali e della società civile contro il decreto Gelmini si stanno diffondendo a macchia d’olio e le conseguenze culturali e politiche di tali proteste sono ancora imprevedibili. Sicuramente le riflessioni del mondo della scuola sui propri compiti e sul proprio valore hanno prodotto e continueranno a produrre energie ricche di vitalità, che inevitabilmente condizioneranno lo sguardo di molti nei confronti di un bene di tutti.
Non possiamo dimenticare però che il clima generale è di grande debolezza politica. Le forze di opposizione sembrano affascinate dal richiamo all’ ordine e alla disciplina e la loro voce si alza debole contro la devastazione della scuola di tutti e per tutti. L’opinione pubblica è pervasa da immagini stereotipate e superficiali. Questo governo sembra particolarmente capace di strumentalizzare la percezione del pensiero comune e di raccogliere i frutti di una campagna denigratoria che i media da tempo fomentano contro tutto ciò che è pubblico.
Ma credo che la scuola stia pagando anche un suo errore: per troppo tempo noi insegnanti abbiamo creduto che fosse sufficiente far vivere bene le bambine e i bambini, perché le famiglie capissero la qualità e l’investimento profuso. Durante le riunioni di classe i programmi venivano e vengono presentati in modo articolato, ma spesso non abbiamo ritenuto e non riteniamo importante soffermarci a spiegare cosa c’è dietro e dentro gli obiettivi. Ripensando alla mia personale relazione con i genitori, ricordo alcune esperienze particolarmente significative. La prima è riferita agli anni in cui ho lavorato alla scuola Montessori di Milano, dove ogni mese i genitori avevano l’opportunità di assistere ad un’ordinaria giornata scolastica dei loro figli. La scuola si apriva all’utenza dalle ore 9 alle ore 15 e 30. Le mamme e i papà potevano entrare in tutte le classi della scuola ed osservare le diverse attività. I piccoli gesti quotidiani, le sollecitazioni comuni, le stimolazioni dell’ambiente, le relazioni tra bimbi e con gli adulti che di loro si occupavano quotidianamente, aprivano uno scorcio efficace che a volte meravigliava. Il riconoscimento, l’apprezzamento, a volte anche la gratitudine erano effetti assicurati da un’iniziativa coraggiosa, ma anche molto semplice, della scuola montessoriana. Sono sicura che quei genitori avrebbero difeso la “loro” scuola con passione se qualcuno avesse osato minarne la qualità.
Ricordo anche una riunione di classe nella scuola dell’infanzia in cui ho lavorato. Stavo presentando ai genitori un percorso di psicolinguistica, sulla struttura della frase, rivolto ai bambini di tre anni. La mia presentazione suscitò la perplessità di una mamma che non credeva possibile un obiettivo tanto alto con bimbi tanto piccoli. Accolsi la sfida, invitai un genitore a filmare un’esperienza di psicolinguistica, presentai il filmato alla riunione di classe successiva e discutemmo insieme di quanto i loro figli avevano sperimentato. Il riconoscimento del valore della mia proposta didattica fu unanime. I genitori, ancora una volta entrando nella dimensione concreta dell’esperienza dei loro figli, avevano maturato una più profonda consapevolezza rispetto alle energie di pensiero che spesso guidano il nostro agire di insegnanti appassionate.
Ho ricordato due episodi in cui le famiglie sono state messe nella possibilità di osservare, ma anche le motivazioni teoriche possono avere la stessa forza. Ho raccontato in più di un’occasione ai genitori delle alunne e degli alunni incontrati, che cosa è il frame (mappa cognitiva di un modello di apprendimento cognitivista/costruttivista) e come l’ organizzazione di questo quadro concettuale proceda in sintonia con lo sviluppo cognitivo delle piccole e dei piccoli: prima si riconoscono le funzioni dell’oggetto di studio, perché l’ azione, quindi il movimento, il fare, sono il primo motore di apprendimento dell’infanzia. Poi si ricercano gli altri quadri concettuali sempre in un legame significativo con lo sviluppo cognitivo che sta maturando in ognuna, in ognuno. I visi illuminati delle mamme e dei papà, i loro sguardi accesi da una calda curiosità, mi hanno sempre dato un ritorno importante e valoriale di ciò che stavo facendo in classe.
Mi chiedo, però, quante volte la fretta, di tempi non sempre rispettosi di un bisogno di confronto, mi abbia impedito di comunicare con la stessa efficacia e mi tornano alla mente presentazioni timide, superficiali e inefficaci, anche da parte di colleghe che invece si spendevano con molta passione e consapevolezza nella attività con i bambini. Così oggi ci troviamo a dover spiegare il valore di un tempo scuola pieno di significati, di progettualità integrata tra le diverse discipline. Dobbiamo raccontare il legame tra attività motorie e scrittura, tra rapporti spazio /temporali e abilità matematiche, tra immagine, pensiero creativo e capacità linguistico-matematiche. Dobbiamo raccontare quanto sia ricco di conflitti cognitivi il tempo speso nella scuola e quanto sia funzionale alla crescita individuale l’occasione di dover e poter modulare il proprio punto di vista con quello altrui, anche quando si discute delle diverse strade per risolvere un problema di geometria. E allora mi chiedo: perché non siamo state capaci di spendere il tempo delle riunioni con i genitori per promuovere una maggiore conoscenza e consapevolezza dei significati del nostro lavoro e di quello dei bambini? Siamo consapevoli e capaci del valore dell’arte della comunicazione?
Questa credo sia la sfida più impegnativa che la lotta contro il decreto Gelmini ci richiederà. Gli studenti universitari organizzano la loro protesta con lezioni pubbliche nelle varie piazze di Italia. Imitiamoli, raccontiamo i nostri progetti e i loro significati nelle pubbliche piazze. Raccontiamo, raccontiamo, dando evidenza al senso più profondo di ciò che stiamo difendendo. Questo è ciò che tutte le insegnanti dovranno imparare a fare. Prendiamo ispirazione da quel meraviglioso film, “L’amore che non scordo”, che ormai è diventato il nostro film.
Manuela Gallina

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