a cura di Laura Minguzzi
Ė accaduto non per caso. Un invito di Silvia Aonzo a partecipare a un Convegno, una tre giorni (8-9-10 dic.) nella scuola parentale di ispirazione montessoriana che lei sostiene, creata da Barbara Cerutti con altre mamme solo tre anni fa, dove entrambe insegnano come volontarie a un piccolo gruppo di bambini e bambine della Primaria. Titolo dell’incontro Archeosaperi femminili. Luogo dell’incontro, le sale di via San Dalmazio 24, del quartiere Lavagnola. Un progetto educativo CreAttiva in collaborazione con Comunità femminile di Cura ed Eredibibliotecadonne.
Venerdì pomeriggio, primo giorno dell’incontro è stato proiettato il film documentario Segni fuori dal tempo, sull’archeologa e linguista lituana, naturalizzata americana, Marija Gimbutas, che avvalendosi dell’innovativo metodo multidisciplinare ha ridisegnato il volto delle antiche civiltà matriarcali dell’antica Europa, poi invase tra il terzo e il quarto millennio a.C. dagli Indoeuropei. E fu l’inizio del patriarcato.
Io mi sono sentita profondamente in stretto legame con questa linea di ricerca fondata sull’origine della nostra storia, su una storia che fa leva e pone a suo fondamento l’orizzonte simbolico della madre. La storia è tempo e la memoria è madre della storia. È con l’invenzione linguistica e simbolica della pratica della storia vivente che noi della Comunità di storia vivente di Milano, con Marirì Martinengo, sua ideatrice (La voce del silenzio. Storia di Maria Massone, donna sottratta, 2005), abbiamo posto le basi di un nuovo inizio della narrazione storiografica. Un percorso di risignificazione o destoricizzazione, come si usa dire oggi, avvenuto rielaborando i nostri nodi irrisolti: le ferite reali o simboliche, che la storia patriarcale ci ha inferto per migliaia di anni. Fare di noi stesse documento storico è stata l’idea rivoluzionaria che ha permesso la svolta. Lo scavo in profondità dove il presente e il passato arcaico si collegano a partire da sé, dalla nostra esperienza svelata, nel contemporaneo, nel nostro tempo. Spezzando il tempo lineare incentrato sul maschile come valore dominante abbiamo posto al centro le nostre ferite obliate, rimosse, il rimosso della storia, nel mio caso, la tragedia della morte di mia madre quando avevo vent’anni. La mia orfanità è diventata nella Comunità di storia vivente da evento personale a evento storico universale, riletto in chiave politica tramite l’autocoscienza, come segno di una profonda trasformazione della storia italiana. La modernità violenta che negli anni sessanta ha trasformato l’economia italiana. Intendo la mutazione da paese agricolo a paese altamente industrializzato. Una società violentata. Questa risignificazione antropologica immessa nella narrazione storiografica è stata possibile grazie all’agire di un’autorità femminile che ha prodotto una modificazione dello sguardo interiore e un punto di vista differente. Dal 2006 al 2018, per tutti questi anni, ci siamo riunite in Libreria o a casa di qualcuna e insieme a partire dal racconto orale di ciascuna abbiamo portato alla luce il nodo irrisolto annidato nelle “viscere”, come scrive Marίa Zambrano, e con la pratica dell’autocoscienza, cui siamo debitrici, abbiamo rielaborato la nostra esperienza e abbiamo scritto e pubblicato i nostri racconti di Storia. Un debito di riconoscenza alle invenzioni del femminismo delle origini (alla pratica dell’autocoscienza, alla disparità, all’affidamento) e all’autorità di Marirì, che abbiamo riconosciuto perché ci ha permesso di crescere soggettivamente ed essere presenti nella vita pubblica. Figura di madre simbolica che ci ha portato a riscattare la madre reale. Per me la voce del silenzio è stata quella di Eva, mia madre. Abbiamo posto fine alla scissione cultura/natura, uno dei pilastri del patriarcato. Questi racconti di verità soggettiva, storie che fanno la Storia, testimoniano la fine del patriarcato nelle nostre menti. Esprimono la forza della parola, veritiera, indipendente perché fedele alla propria origine insieme alla gioia e al piacere della riappropriazione della propria storia, non in contrapposizione con l’altro, nel mio caso con mio fratello, negazionista climatico e anche incapace di fare i conti con la memoria. Anche lui è stato danneggiato dall’inconsapevolezza del ruolo che il patriarcato gli ha imposto e dalla legge patriarcale dell’oblio. Sono riuscita a fargli comprendere il valore della memoria e del pensare veramente a partire da sé. Anche nel piccolo gruppo esperienziale della domenica mattina ho sentito che veniva compresa dalle donne presenti la modalità innovativa della storia vivente e ognuna delle partecipanti ha individuato e raccontato un nodo della propria storia. Noi della Comunità di Milano dopo tredici anni di lavoro sulle parole, con le parole, in stretta relazione di fiducia, abbiamo pubblicato La Spirale del tempo. Storia vivente dentro di noi (2019). Nel titolo, suggerito da Marirì stessa, è sottesa la nostra pratica rivoluzionaria. La forma della spirale indica un percorso aperto, non dicotomico che, pur andando in profondità, essendo bidirezionale vola in alto e tocca la trascendenza e l’universale. Rappresenta la fine della storia sacrificale come scrive María Zambrano in Persona e democrazia. Fine della storia sacrificale, non è la fine della storia come predetto negli anni ottanta da alcuni storici e filosofi ma la fine della storia fatta e scritta da uomini, dal “cosiddetto” popolo eletto che fa la guerra per diffondere “la democrazia”, quella di impronta ateniese, che non prevede la libertà femminile. Libertà per le donne è libertà per tutti.
(puntodivista.libreriadelledonne.it, 9 aprile 2024)