4 Novembre 2008

Sintesi dell’intervento Riscattare e redimere il presente di María-Milagros Rivera y Garretas

di Luciana Tavernini


L’intervento è stato presentato da María-Milagros Rivera y Garretas al XII Simposio dell’Associazione internazionale della Filosofe (IAPh) tenutosi a Roma dal 31 agosto al 6 settembre 2006, che invitiamo a leggere per intero [in Annarosa Buttarelli e Federica Giardini (a cura di), Il pensiero dell’esperienza, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008, pp.343-357], perché ci ha fornito elementi di riflessione per mettere a fuoco la pratica della storia vivente.

L’autrice parte dalla costatazione che la storiografia femminista dell’uguaglianza o del genere non ha trovato un “nuovo inizio, un inizio che fosse la sua fonte di senso” per esprimersi con originalità e ha accettato di inserirsi nella genealogia paterna, basata sull’oggettività, a cui viene attribuita la capacità di stabilire la veridicità storica, in analogia con i metodi “oggettivi ed esterni” per stabilire la paternità, come l’ordalia del ferro rovente fino all’XI secolo e ora la prova del DNA, estranei alla relazione di fiducia nella madre.

La storiografia femminista si è “limitata a ripetere le interpretazioni del passato già esistenti, confrontando dialetticamente con esse l’esperienza umana femminile, senza aprire contraddizioni che possano arricchire e affinare il linguaggio della politica”. Così per le donne viene ratificata l’assenza, “assenza dalle metanarrazioni e dalla memoria, non dalla documentazione né dalla storia”. Addirittura la loro presenza diviene un ostacolo a far sì che l’essere donna sia fonte di senso in quanto siamo nella storia senza esserci veramente.

Quello che ha spinto a “dare per buona l’oggettività e la genealogia paterna” è stata “la speranza di imparare a significarci” con cui si è andate all’università. Vi fu conflitto intorno alle pratiche tra alcune studiose che volevano “che la scrittura della storia e la pratica politica camminassero separatamente” e altre, tra cui Milagros (e noi) che “volevamo che lo scrivere storia fosse una pratica di vita”. La speranza nell’università così com’era privò la storiografia femminista di originalità, facendola diventare una “storia domata, senza sorprese, senza la sorpresa della verità”. Rimanendo legata alla sua esperienza, l’autrice porta l’esempio delle interpretazioni della Guerra civile spagnola del 1936-1939 che restano legate allo “schema della contrapposizione”, della “guerra giusta e ingiusta”, dei “vincitori e vinte o vinti”, mentre il presente richiede “spiegazioni che «non riaprano ferite»” perché gli episodi traumatici del passato non diventino “fantasmi ricorrenti”, cioè pezzi di realtà che si ripresentano. Alla fine della dittatura franchista nel 1975 per scongiurare il fantasma della guerra civile, i partiti politici firmarono il «patto dell’oblio», così venne contenuto il fantasma della guerra civile ma venne generato quello della “mancanza di memoria storica” non potendo così “redimere, riscattare” quell’avvenimento traumatico.

Nel 2006 molti convegni e testi reclamano memoria storica ma, restando legati allo schema della contrapposizione, fanno sì che “dimenticare e ricordare” siano la “medesima operazione” in quanto “non c’ è interpretazione libera di sé”, ma ripetizione meccanica di uno schema (vincitori/vinti o «riconciliazione nazionale» per la Spagna e «legge del Punto finale» per l’Argentina). Occorre invece di un nuovo “inizio, che generi realtà, che faccia ordine e significhi la forza politica dell’esperienza nel luogo in cui l’esperienza è oggi”, un’interpretazione che dia senso e produca modificazione interiore che apra “a un altro ordine di rapporti” in cui “l’amore abbia un posto, per quanto piccolo, tra i sentimenti di colpa e i desideri di vendetta lasciati dietro di sé dagli episodi traumatici della storia”.

L’autrice cita alcuni traumi del passato come la Guerra civile spagnola, l’Olocausto, la scomparsa di donne e uomini nelle dittature, gli stupri commessi dai soldati, compresi quelli dell’ ONU che richiedono un’ interpretazione che ci redima e si chiede: “Come evitare la vendetta o la paralisi politica, conservando viva la memoria storica?”

Propone che le storiche cerchino un movimento personale, imprevisto e necessario, che ci permetta di “scoprire il senso dei conflitti che sfociarono in tragedia quando non fu più possibile praticare la parola, la relazione, il conflitto relazionale”.

Le vite «infinitamente oscure» non sono più quelle delle donne comuni o le molte figure e contesti femminili, recuperate “dal punto di vista della storia sociale e del pensiero della sinistra in generale” ma quelle delle stesse storiche. Riconosce di averlo scoperto leggendo il libro di Marirì Martinengo, La voce del silenzio. Memoria e storia di Maria Massone, donna «sottratta». Finora la storica “dava voce ad altre donne che prima non l’avevano.” Ora “è la storica a smettere di stare in silenzio, a parlare della propria storia e, partendo da lei, dalla sua esperienza, a interpellare e interpretare la Storia.” Riprendendo da Marirì Martinengo il concetto di storia vivente, l’autrice sostiene che tirar fuori la storia vivente della storica, “come si tiravano fuori e come si continuano a tirar fuori i demoni dal corpo con gli esorcismi”, “è una maniera interessante di scrivere storia partendo da sé”. Sa bene come questo apra ferite antiche, apra conflitti con la propria genealogia, la madre e il padre, ma pensa che da lì nasca “la storia, la storia vera, il simbolico nella scrittura della storia”.

Come dice María Zambrano, “la storia apocrifa – non per questo meno certa – (…) ricopre quella vera. E così, la storia apocrifa asfissia quasi costantemente quella vera, la storia che la ragione filosofica si affanna a rivelare e stabilire e la ragione poetica a riscattare”. Si tratta, come fa Marirì Martinengo nel suo libro, di riscattare non “per colmare un vuoto nella storia che c’è già”, né per giudicare ma per far sì “che l’amore entri nel vocabolario della storia e in questo modo entri nel vocabolario della politica”, dando ascolto al “richiamo delle viscere”, legame col primo amore, quello della madre che ci dato gratis corpo e parola. La proposta di Martinengo è di “partire dalla carenza, dalla trascuratezza e dalle lacune nell’interpretazione dell’esistente, senza prescindere dal silenzio del suo personaggio e dal silenzio intorno a lei, amalgamando tutto con il mercurio della propria relazione con Lei” .

Far emergere la storia vivente “con un metodo capace di combinare l’erudizione critica con il pensiero che sa decifrare ciò che si sente (María Zambrano)” può generare un simbolico che non perpetui l’odio e la vendetta.

Pensando alla storia annidata in lei, l’autrice sente che “è la necessità di mettere al mondo una pace che non abbia come riferimento la guerra né l’assenza di guerra”. Che la guerra diventi impensabile è stato l’impegno di tutta la sua vita perché le storie della Guerra civile spagnola, ascoltate in casa, hanno reso evidente che la guerra aveva troncato i progetti di vita di sua madre e suo padre, allora ventenni, pur essendo tra i vincitori. Io sento questa esperienza simile a quella che Doris Lessing narra in Alfred e Emily, sulla vita dei suoi genitori (divenuti coloni inglesi in Rhodesia, oggi Zimbabwe), quella che avrebbe potuto essere senza la Grande guerra e quella che fu.

Milagros divenne dapprima incapace di imparare e spiegare le guerre e poi provava angoscia e frustrazione nello spiegare l’Olocausto perché, pur suscitando grande interesse e partecipazione nelle classi, sentiva che al fondo “rimaneva sempre l’odio verso il popolo tedesco per il delitto commesso”. Se l’odio prevale la storia può ripetersi, ma nelle classi non riusciva a portare un’interpretazione della storia che lasciasse passare l’amore, mettendo in gioco proprio l’esperienza personale che aveva a portata di mano e che espressa può andare “oltre- non contro- lo schema vittime/carnefici, superando il pensiero dominante “che ha come orizzonte la guerra o la sua assenza”. Questa modificazione interiore, aprendo la propria coscienza all’altro, serve a rendere pensabile un mondo senza guerre e permette di trovare mediazioni per dirlo.

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