25 Gennaio 2019
Viottoli

Storia Vivente in faccia al Monviso

Gruppo di pratica di Storia Vivente di Pinerolo

 

Rompere il silenzio

Rompere il silenzio. Trovare parole nostre per dire di noi, della nostra storia e dunque mettere al mondo il mondo senza tacitare il nostro essere donne.

Per Lia Cigarini lo scacco del silenzio va visto, sperimentato e attraversato per capire che circolano parole e pensieri che non sono nostri, che non ci corrispondono, ma il passo successivo è: anche balbettando, trovarne di nostre.

Sappiamo, però, che per arrivare a rompere il silenzio e prendere la parola partendo da sé, dando valore alle proprie esperienze, sono necessari dei passaggi interiori, dei cambiamenti profondi. Pensiamo che, se non si compie questo salto in avanti, il rischio è di restare sulla soglia di quel vuoto senza attraversarlo.

Clarice Lispector, ne La Passione secondo GH, quando parla del grande crollo di tutta una civiltà di cui lei ha fatto parte e del deserto che si è venuto a creare, descrive il suo risorgere come un cammino, barcollante ma liberatorio, in quel vuoto.

Stare immobili sulla soglia crea invece una condizione di inconsistenza paralizzante. Questo può accadere soprattutto quando non riconosciamo nell’altra un riferimento, un appiglio solido a cui aggrapparci mentre si fanno i primi passi sulle proprie gambe e non ci sono donne grandi, che spendono il loro di più in autorità circolante, che aiuti a crescere e acquisire autonomia.

Per creare nuova realtà condivisa non è sufficiente, quindi, condividere testi e parole di altre donne, ma è necessario attraversare quel vuoto da cui siamo partite e trovare soggettivamente il pensiero che sa decifrare ciò che sentiamo, in relazione con le parole e con i corpi (in carne e ossa) delle altre donne.

Riflettere sulla propria esperienza significa darle un senso, cioè creare simbolico: è nella narrazione che si scopre il senso di quello che si è fatto e che si sta continuando a fare. È un lavoro politico più impegnativo, certamente, che può generare anche conflitti e separazioni, ma può portare vita, espressione dei nostri desideri più profondi, immaginazione creativa, proposte per il futuro…

Abbiamo visto quante incomprensioni, quanti equivoci, quanto dolore e conflitto ha creato il libro di Mira, eppure non si può negare che esso rappresenta la rottura da parte di una donna di un silenzio di cinquant’anni, tanti ce ne sono voluti per trovare le parole non consumate, perché le “viscere” di cui parla la Zambrano si aprissero e generassero verità scomode.

Cosa che è accaduta anche con il me-too, del resto.

La donna e il prete di Mira Furlani è per noi un esempio di storia vivente,   che significa, secondo le parole di Marirì Martinengo, «estrarre dalla propria interiorità l’esperienza femminile e darle parola e poi scrittura, significa narrare la storia dei condizionamenti violenti imposti alla vita delle donne dall’organizzazione simbolica e sociale patriarcale, acquistarne consapevolezza e contemporaneamente studiare il modo di mettere al mondo le vie per sottrarvisi, avviando un movimento politico e storico in cui vi siano libertà e autorità femminili. Proponiamo una storia a partire da sé – valida per donne e uomini – da un sé profondo che la filosofa María Zambrano e la storica María Milagros Rivera Garretas chiamano le viscere

Ci piace concludere con le parole precise tratte dal documento di apertura del Convegno di Milano, del 28 gennaio 2018: «Anche noi, dunque, a partire da desideri, interrogativi, pensieri e a partire dalla relazione preziosa tra di noi, che ci ha dato forza in una ricerca che ha trasformato radicalmente la nostra spiritualità, sostenendo la nostra libertà, possiamo iniziare un lavoro di scrittura in cui emerga la nostra storia vivente».

Senza avere la pretesa della perfezione, come dice Paola Cavallari: «Il perfezionismo è infatti un meccanismo maligno, che blocca la creatività femminile, spesso un alibi – come Antonietta Potente non si stanca di ripetere – che ci inchioda nella ripetizione inesausta della sfiducia in noi, depotenziandoci. Dire le cose con parole che rispondono alla nostra esperienza è agire la vita a cominciare da quella narrazione della Storia che non possiamo demandare ad altri/e: è un destino cui siamo chiamate».

 

Storia vivente e donne in ricerca

Più volte è stata espressa dai gruppi donne delle Cdb in collaborazione con Donne in ricerca di Padova e Ravenna, Identità e Differenza, Graal-Italia, Thea teologia al femminile, l’esigenza di fare storia della nostra esperienza «uno degli esperimenti più duraturi e continuativi della chiesa delle donne in Italia»[1].

In un primo tempo l’obiettivo per noi era di acquisire la capacità di narrare, intrecciando i percorsi soggettivi alla storia e ai fatti e chiarirci come realizzare il progetto restando fedeli alla nostra esperienza. Non volevamo un’autocelebrazione del nostro percorso, come se fosse un’esperienza conclusa, bensì la testimonianza dell’intreccio di ricerche e pratiche avvenute in relazioni efficaci e trasformative, dentro le diverse realtà e negli specifici contesti. Tutto questo dando parola anche ai conflitti e ai cambiamenti, senza tacere delle diversità, delle difficoltà, dei nodi non risolti.

Dentro di noi si muovevano molte domande. È stato possibile fare una ricerca dentro le Cdb, parlare con verità? Quali conflitti ha aperto e quali sono state le conseguenze? Quali relazioni sono state necessarie per acquisire forza e autorità? Che senso ha avuto far nascere gruppi di donne delle Cdb? Quanta forza abbiamo saputo darci reciprocamente? Quanta autorità femminile circolante e quanto affidamento nelle nostre relazioni ci hanno sostenute nei momenti di difficoltà e che ricadute visibili ha avuto, nei contesti misti, la nostra pratica teologica? Ha modificato gli immaginari di dio, le celebrazioni? Questo percorso è visibile solo dove la riflessione è stata assunta anche dagli uomini attraverso l’autocoscienza maschile e i gruppi uomini?

Di fronte alla difficoltà di narrare un percorso trentennale originale e complesso, c’è stata anche la tentazione di dare i nostri materiali a un’esperta esterna, che sapesse, con sguardo distaccato e oggettivo, trarre da tanta ricchezza una storia ben narrata. Molto presto, tuttavia, è emersa l’incongruenza di questo metodo per donne come noi che, in tutti questi anni, si sono sforzate nelle loro pratiche di mettere in connessione ciò che il patriarcato ha scisso: mente e corpo, ragione e emozioni, pubblico e privato, personale e politico. In questo percorso noi ci siamo state tutte intere, con una modalità femminile che pertanto nessuna, meglio di chi l’ha sperimentata, può sapere e narrare. Questi trent’anni in fondo sono stati spesi proprio per trovare le parole per dirlo. Quelle parole che dagli anni ’70 del Novecento le donne non hanno smesso di cercare in ogni ambito, poiché in una civiltà che si fondava sulla loro esclusione a vantaggio degli uomini, alle donne mancavano parole in lingua materna per dire il mondo, la cultura, l’arte, la scienza, la politica e anche la spiritualità.

Questa ricerca di parole e di significati nuovi, che continua ancora oggi, è avvenuta, come dice Elena Lobina della Cdb di S. Paolo di Roma, «in 22 incontri nazionali nei quali si è dipanato un percorso fatto di ricerca teologica, laica, politica, riappropriazione di espressività liturgiche, coinvolgimento dei corpi, avendo come punto fermo la coscienza dell’essere sessuate al femminile e il partire da sé». E conclude: «Questa, per me, è la storia che vogliamo raccontare: intreccio tra la storia personale di ciascuna nel contesto del proprio ambito di vita e di attività e la eccezionale (a mio avviso) esperienza comune che da quelle singole storie nasce, ma che ha assunto nel suo realizzarsi una più vasta, globale significanza politica, sociale, religiosa, che le conferisce già per il suo stesso esistere una dimensione storica»[2].

Alcune di noi hanno sentito vicina alla propria ricerca di parole che dicano il senso libero della differenza femminile, in una relazione di affidamento tra donne, la pratica sperimentata dalla Comunità di storia vivente di Milano. Così, in seguito alla partecipazione di Doranna Lupi al Convegno sulla “Pratica della storia vivente” dell’11 marzo 2017 nella Libreria delle Donne di Milano (http://www.libreriadelledonne.it/convegno-sulla-pratica-della-storia-vivente-2/), è nata la proposta di costruire una giornata seminariale con la Comunità di storia vivente, il 28 gennaio 2018 presso la stessa Libreria delle donne – Circolo della Rosa.

All’incontro hanno partecipato, oltre a Luciana Tavernini con cui c’è stato un continuo contatto, Marirì Martinengo, Laura Minguzzi, Laura Modini e Marina Santini della Comunità di Storia Vivente, un gruppo consistente di donne appartenenti ai Gruppi donne delle Comunità di Base cristiane italiane, il Graal-Italia, la Sororità di Mantova e Thea-Teologia al femminile di Trento[3].

È stato in questa occasione che noi che scriviamo abbiamo capito che la pratica di storia vivente ci indicava una modalità per andare oltre e l’abbiamo fatta nostra; cosa che, ovviamente, non esclude affatto che altre donne ne ricerchino e ne pratichino altre.

Marirì Martinengo scrive:

«La radice della nostra pratica è l’autocoscienza degli anni settanta, che aveva un suo progetto politico; la storia vivente ne ha un altro; il metodo, la pratica, è quello di andare a fondo dentro di sé fino ad individuare il nucleo, il nodo profondo che ha fatto di ciascuna di noi quello che è diventata: il narrarlo e lo scriverlo ne è la storiografia. L’esposizione, prima orale poi scritta, di quanto viene fuori, va contestualizzata (questo è il punto chiave!) e legata saldamente con i fatti di cui dicevo sopra. Occorre rifuggire dallo psicologizzare e mantenersi ancorate/i al terreno della politica»[4].

La storia vivente è, dunque, una pratica di donne in relazione, che si autorizzano a narrare la storia partendo da ciò che sentono, vivono, desiderano profondamente. Si procede partendo da nodi soggettivi, indagando la propria vita, il proprio percorso con le altre e connettendolo agli eventi, ai fatti storici che l’hanno attraversato. Questo esce dai canoni della storia oggettiva, dal modo maschile di far memoria esclusivamente attraverso fatti pubblici e documenti, e dà vita a una storia incarnata che si propone di dare senso al vissuto, mantenendo la passione per la storiografia, lasciando aperte le questioni, acquistando uno sguardo diverso sulla storia. In questo senso sono state illuminanti le parole che Luciana Tavernini, del gruppo di Milano, ci ha scritto in una delle sue mail:

«Fare pratica di storia vivente significa scrivere una storia dove si rivela innanzi tutto a se stesse qualcosa che ci è accaduto e ci ha fatto essere quello che siamo, qualcosa che spesso ha fatto ostacolo alla nostra libertà perché ci ha imprigionate in un’interpretazione di quanto accaduto che percepiamo non vera, ma non siamo ancora in grado di proporne un’altra. Il racconto di storia vivente, proponendo una nuova interpretazione, libera prima di tutto la singola facendola portatrice di una verità soggettiva che, diventando pubblica, può essere condivisa da altre e altri e così diventare universale. Penso che, portando alla luce il non detto, parlerete anche dell’esperienza delle Cdb, perché ha avuto grande spazio nelle vostre vite, come è accaduto a molte di noi col femminismo nei racconti di storia vivente.»

Siamo consapevoli, dice Paola Zanchi del gruppo donne in ricerca di Verona, che la via da seguire è quella del partire da sé e che richiede «responsabilità di presenza e di sostanza, imparare a rompere il silenzio interiore, trovare parole nuove e diventare autrici di storia della propria storia. Questo richiede dei cambiamenti, vuol dire mettersi in discussione, per sbrogliare il proprio groviglio interiore e far emergere la propria soggettività».[5]

Convinte della bontà di questa pratica e rafforzate anche da queste e altre affermazioni, a Pinerolo abbiamo dato vita a un gruppo di storia vivente del quale fanno parte Luisa Bruno, Carla Galetto e Doranna Lupi del gruppo donne Cdb Viottoli di Pinerolo, Pinuccia Corrias, nostra iniziatrice al pensiero della differenza, Mariarosa Filippone del gruppo donne della Comunità di Oregina di Genova e Anna Turri del Gruppo di ricerca femminile di Verona.

Ci siamo già incontrate tre volte e negli interventi che seguono proviamo a darvi qualche assaggio di questa breve ma fruttuosa esperienza che, pur mantenendo come orizzonte l’esigenza che ci ha mosse, non si pone obiettivi immediati. Pensiamo, infatti, sia importante individuare i nodi da dipanare con pazienza e cura, prendendoci il tempo necessario, ponendoci domande e confrontandoci ciascuna a partire da sé. Eppure già adesso qualcosa è accaduto e molte sono le chiarezze e i doni che abbiamo ricevuto da questo nostro stare insieme.

 

Indicazioni bibliografiche sulla pratica della Storia Vivente

– Comunità di Storia Vivente di Milano (a cura), La spirale del tempo. Storia vivente dentro di noi (Testi di: Marirì Martinengo, Marie-Thérèse Giraud, Laura Modini, Giovanna Palmeto, Laura Minguzzi, Luciana Tavernini, Marina Santini, María-Milagros Rivera Garretas, Rosy Daniello, Adele Longo, Anna Potito, Katia Ricci), Moretti &Vitali, Bergamo, 2018.

– Il documento fondante della Storia Vivente è il libro La voce del silenzio. Storia di Maria Massone donna sottratta di Marirì Martinengo (ECIG, 2005).

– Documenti e testimonianze di questi dieci anni di ricerca sono pubblicati sul sito della Libreria delle donne di Milano in Approfondimenti / Storia Vivente: http://www.libreriadelledonne.it/category/approfondimenti/storia_vivente/

– Su DWF-Edizioni Utopia-La pratica della storia vivente, n. 3 2012, si possono conoscere gli scritti di alcune di noi: Laura Minguzzi, «La storia respinta, storia come vita significante», pp. 23-29; Marina Santini, «Il volto ambiguo della preferenza. Un percorso storico», pp. 30-34; Luciana Tavernini, «Gli oscuri grumi del disordine simbolico», pp. 35-45 (acquistabile alla Libreria delle donne di Milano) http://www.dwf.it/dwf-la-pratica-della-storia-vivente-2012-n-3-95/

– In spagnolo si trovano sul n. 40/2011 di Duoda, leggibile in internet: http://www.raco.cat/index.php/DUODA/issue/view/17988

– Marirì Martinengo, Laura Minguzzi, Fare Storia Vivente, ed. Libera Università dell’economia sociale e degli scambi, Mag, Verona, 2012

– Marirì Martinengo, «Me llama desde siempre: la respuesta a la llamada», in Duoda, Estudis de la Diferencia Sexual. Estudios de la Diferencia Sexual, Universitat de Barcelona, 49, 2015, pp. 68-94, leggibile anche in internet: http://www.raco.cat/index.php/DUODA/article/view/299359;

in video: http://duodaub.blogspot.it/

– La pratica della storia vivente – Atti dell’incontro del 26 settembre 2014, a cura delle Vicine di casa di Mestre, (2015) In cartaceo c/o Libreria delle donne di Milano e ora pubblicati nella Biblioteca Virtuale Duoda (BViD) con il prologo di María Milagros Rivera Garretas. Leggibili anche in internet:

in italiano: http://www.ub.edu/duoda/bvid/text.php?doc=Duoda:text:2016.12.0010

in spagnolo: http://www.ub.edu/duoda/bvid/text.php?doc=Duoda:text:2016.12.0009

[1] Elizabeth Green, La chiesa delle donne, in: XXIII Colloquio Istituto Costanza Scelfo. Le donne e la riforma della Chiesa, a cura di Cettina Militello e Serena Noceti, EDB, Bologna 2017

[2] http://www.Cdbitalia.it/gruppidonne/2018/04/15/storia-vivente-22-febbraio-2018-2/

[3] http://www.Cdbitalia.it/gruppidonne/2018/04/09/incontro-sulla-pratica-della-storia-vivente-milano-28-01-2018/

[4] http://www.libreriadelledonne.it/sul-convegno-di-storia-vivente-dell11-marzo-2017-una-giornata-di-festa/

[5] http://www.Cdbitalia.it/gruppidonne/2018/04/15/storia-vivente-3-marzo-2018/


(Viottoli, 2/2018)

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