di Marirì Martinengo
Il Convegno ha messo in moto energie: i racconti di storia vivente, presentati da alcune di noi appartenenti alla Comunità, organizzatrice della giornata di studio, hanno suscitato attenzione, accompagnata da vivissimo interesse.
La sala del Circolo della rosa era zeppa di amiche, conoscenti, estranee e estranei, venute da ogni parte dell’Italia e dalla Spagna, tanto che abbiamo dovuto chiedere a prestito delle sedie, l’atmosfera era calda, gioiosa, vibrante, corporea.
La prima considerazione che sono costretta a fare è che le due relazioni introduttive, molto ricche di spunti per una discussione, sono state un po’ trascurate: le storie erano più coinvolgenti! Nel dibattito successivo al primo giro di racconti non è mancata l’osservazione secondo cui noi corriamo il rischio di non fare storia e di scivolare nell’autocoscienza, vecchia cara autocoscienza!
Non c’è da stupirsi. Occorre fare uno sforzo e dimenticare i parametri storiografici maschili. La storia vivente propone una radicale rivoluzione: la storia a partire da sé: la storia della propria storia , segnata dal tempo, dal luogo geografico in cui si nasce e si vive, dalla classe sociale di appartenenza, dal livello culturale, dal credo religioso, che sono dati storici. La radice della nostra pratica è l’autocoscienza degli anni settanta, che aveva un suo progetto politico, la storia vivente ne ha un altro; il metodo, la pratica, è quello di andare a fondo dentro di sé fino ad individuare il nucleo, il nodo profondo che ha fatto di ciascuna di noi quello che è diventata: il narrarlo e lo scriverlo ne è la storiografia. L’esposizione, prima orale, poi scritta di quanto viene fuori, va contestualizzata e legata saldamente con i fatti di cui dicevo sopra. Occorre rifuggire dallo psicologizzare e mantenersi saldamente ancorate,i al terreno della politica.
La nostra cultura, nella quale siamo immersi, è così aliena dall’immaginare che le donne possano raccontare e scrivere la loro storia, che alcune chiamano con altri nomi, presi a prestito da movimenti politici del passato femminista, è così prigioniera del concetto e della definizione di storia e di storiografia maschili, che non riconosce – non sa vedere – i modi innovativi e inventati della storia e della storiografia femminili.
Forse nel dibattito, sia della mattina sia del pomeriggio, è rimasta implicita un’affermazione essenziale: estrarre dalla propria interiorità l’esperienza femminile e darle parola e poi scrittura, significa narrare la storia dei condizionamenti violenti imposti alla vita delle donne dall’organizzazione simbolica e sociale patriarcale, acquistarne consapevolezza e contemporaneamente studiare il modo di mettere al mondo le vie per sottrarvisi, avviando un movimento politico e storico in cui vi sia libertà e autorità femminili. Proponiamo una storia a partire da sé – valida per donne e uomini – da un sé profondo, che la filosofa Maria Zambrano e la storica Maria Milagros Rivera Garretas chiamano le viscere,“forse l’universale come mediazione”. Far parlare le viscere è anche un modo di canzonare l’“oggettività” della storia tradizionale; raccontare la propria storia a partire dal corpo, da sé, dal proprio inconfessato vissuto, è un modo di fare storia indubbiamente non oggettiva. Noi della Comunità di storia vivente commenteremo fra di noi a lungo i guadagni ottenuti, valuteremo e assaporeremo il rilancio ricevuto, terremo conto dei dubbi emersi l’11 marzo, pubblicheremo un resoconto ragionato con le relazioni introduttive e i nostri racconti scritti in questi dieci anni di attività, ma al momento mi piace notare e mettere in evidenza che la giornata è stata appassionante, rallegrata da un buffet straordinario, allestito nel fresco del giardino, che ha giustamente soddisfatto e ritemprato, ristorandole, le viscere di quante e quanti hanno partecipato al Convegno.
(www.libreriadelledonne.it, 6 aprile 2017)