7 Novembre 2008

Storie di casa nostra, l’amore che non scordo. Storia di comuni maestre

Sensi e significati, rilancio di incontri e di visioni e qualche disvelazione. Da Cagliari

M. Pia Brancadori

Nei giorni scorsi (lunedì 27 ottobre) a Cagliari abbiamo condiviso la visione del film L’amore che non scordo. Storia di comuni maestre, con ragazze/i e docenti dei licei socio-psico-pedagogici e di pomeriggio con insegnanti dei vari ordini di scuola, mamme e qualche nonna. Con noi c’era Vita Cosentino venuta ad accompagnarne la visione e a raccogliere colloqui e riflessioni.
L’elemento che mi/ci è apparso evidente nella visione comune di questo film sta nel suo passaggio comunicativo: la valorizzazione simbolica che porta alla luce agisce come attivazione di desiderio e di parola. Lo hanno riconosciuto Zoretta e Bruna nel loro intervento di maestre subito dopo la visione. Mi è sembrato di averlo anche ritrovato in un agire di ragazze.

 

Ragazze
Il giorno 29 a scuola, vado alla Assemblea straordinaria organizzata in vista della manifestazione. Come altre volte ma diversamente dalle altre volte: al tavolo ci sono 4 ragazze ed un ragazzo.
Siamo abituate, anche nelle nostre scuole a prevalenza di ragazze, di vedere accadere piuttosto il contrario nelle assemblee.
Prendono la parola con sicurezza, sono decise e chiare negli intenti e nei discorsi, richiamano gli articoli del decreto che si sta contrastando e che non condividono. Ne discutono con verità e passione in un crescendo di ascolto. Passano a discutere dell’organizzazione della manifestazione dell’indomani e dei possibili modi di continuare la mobilitazione. Sono determinate e chiare.
Volgo lo sguardo a esplorare l’intorno, incontro quello di altre ragazze e ragazzi e colleghe, ne intercetto il senso di considerazione. Non è frequente, non capita spesso, sale il discorso dell’ultima “Noi siamo una scuola di ragazze, prevalentemente. Vogliamo farlo valere e vedere. Non vogliamo fare le seconde. Ci dobbiamo far sentire, non dobbiamo metterci in coda a seguire modalità che non ci corrispondono: no violenza che non ci piace, no muri imbrattati, no machismi. La scuola ci serve e ce la difendiamo. Le nostre nonne non ce l’hanno avuta…”
E poi passa a discutere di chi ha presentato le candidature nelle rappresentanze d’Istituto e della Consulta. Invita a non votare per noia “quello che è bono” o “quello che non si capisce perché si candida se della scuola non gliene frega niente”. Non si offende nè il “bono” né “quello che non gliene frega niente”; vengono ragazze a presentarsi e dire il loro cosa e il loro come…
È la prima volta nella mia esperienza di insegnante, in pubblica assemblea, dichiarata ad alta voce dalle ragazze la loro differenza e la piena coscienza di farne valore condiviso.
“Ma hai visto?” è l’esclamazione del collega Mauro Maxia…

 

Maestre insegnanti
Zoretta e Bruna, due maestre venute con altre da S. Antioco e dalla regione del Sulcis iglesiente, hanno detto subito il guadagno di senso trovato nel film, come occasione che invita a tornare al proprio lavoro quotidiano con una nuova attenzione e una più avveduta capacità di osservazione e rivisitazione di quello che si fa nello scambio di tutti i giorni, nel lavoro con le bambine e i bambini della scuola elementare e il mondo circostante. Hanno intenzione di fare lavoro di autoaggiornamento e riflessione comune, intorno a questo film documentario che aiuta a vedere e dice con i gesti, le posture, gli sguardi e le parole, l’ascolto scambiato, il senso di quello che si fa nella scuola così com’è. Scuola elementare e maestra.
Molti interventi e riflessioni calde e appassionate, molta preoccupazione per le distruzioni in corso proprio a partire dalla migliore delle nostra scuole, quella elementare.
Appuntamenti ravvicinati di incontri e di collegamenti.
Il giorno dopo, ricevo telefonate di mamme e insegnanti per organizzare altri incontri con gruppi di genitori interessati e attivi, ad iniziare da Monserrato e Selargius.
E siamo in corso di fare.

 

Cattiva tv
L’assessora alla PPII della Regione Sardegna Maria Antonietta Mongiu, nell’intervenire al nostro incontro nella scuola elementare di via Basilicata, ha sottolineato il suo impegno a difendere il bene della scuola pubblica e sostenere il lavoro delle/gli insegnanti. Lo ha fatto con atti e delibere, ricorda, già dallo scorso anno ad inizio del suo mandato e lo ha ribadito con un pubblico comunicato subito dopo l’annuncio dei decreti da parte del governo e della ministra Gelmini. Né ha tralasciato peraltro di richiamare, per completezza di senso, la storia appena dietro le nostre spalle, qui in Sardegna, a partire da sé, della conquista della istruzione pubblica e delle annesse vicende di bene e di male che l’hanno accompagnata.
L’ho rivista la sera dopo, ospite in una tv locale (Videolina) in un dibattito sulla scuola, umiliante e manipolatorio, con sindacalisti di varia organizzazione (dalla Cisl, CGIL, ai Cobas), amministratori di vario schieramento – bipartisan destra/sinistra – e una maestra.
Molto annunciata e sempre rimandata, alla fine la parola della maestra arriva: lei è per il maestro unico, vuole tornare a quello che è stata prima di essere costretta ai moduli dove tutti litigano, chiede la disciplina e la necessità per i bambini di avere un riferimento per crescere bene…
Fine della trasmissione. Mandateci i vostri sms. Titoli di coda.
Offesa del reale e manipolazione di cattiva tv versus Storie di comuni maestre.

 

P.S. “Prof, cento anni fa la Montessori apriva la sua casa dei bambini, ora, cento anni dopo ci chiudono il tempo pieno e tagliano le scuole elementari”, commenta il presente un’alunna neodiplomata venuta a salutarmi qualche giorno fa a scuola.

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