17 Gennaio 2004
l'Unità

Touraine: “L’opposizione vincente? I movimenti culturali”

Bruno Gravagnuolo

“In Europa è iniziata una fase nuova: la riscossa delle identità e dei soggetti. Non più in chiave liberale o redistributiva. Piuttosto come movimento collettivo dell’intimità”. Sì avete letto bene: intimità Alain Touraine , sociologo dell'”azione” e dei movimenti, indagatore del sociale e del “post-industriale”, ritorna sulle motivazioni dell’agire collettivo. E distilla una “categoria” a prima vista psicologica, che sembra non aver nulla di sociologico o di “ideal-tipico”. Categoria “post-politica” e “post-sociale”, che serve allo studioso francese per descrivere quella che a suo avviso è la ribellione che cova sottotraccia nelle metropoli del consumo, dei media e dei lavori flessibili. Per capirne di più siamo andati alla fonte, da Touraine medesimo, che ieri era a Roma per una conferenza all’Università di Roma III, alla presenza di cinquecento studenti, invitato da Giacomo Marramao e dal rettore Guido Fabiani.

 

Professor Touraine il titolo della sua conferenza è “Fine del sociale?”. Non si sarà mica fatto convincere da Barman e da Baudrillard, ovvero: sociale “liquido”, inafferrabile, fatto di simulacri e senza soggetti?

 

No. Se dico “fine del sociale” mi riferisco a una certa idea del sociale. Prima del XIX il sociale veniva espresso in termini politici: stati, istituzioni, monarchie. Così ne parlavano Bodin, Machiavelli, Rousseau, Hobbes: il sociale come fatto politico. Ebbene, così come nel XIX secolo, con Marx, s’è avuta l’emersione del sociale contro il politico, allo stesso modo oggi entra in crisi la maniera tradizionale – e tutta sociale – di parlare del sociale. Non penso a una realtà invertebrata e inafferrabile, come accade nei post-moderni. Ma a un mondo fatto di identità e soggettività culturali, definibile in chiave culturale. E dunque, a mondo post-sociale, né liquido né informe. In ogni cm è stata la società di massa e globale ad aver distrutto la “società sociale”: mercato mondiale, finanza, televisione. Tutte realtà autoreferenziali e anti-sociali, disaggreganti. Che prescindono dalla comunità, dalla famiglia e dalle individualità concrete. Insomma la “società” viene distrutta da forze anonime e incontrollate: guerra, spettacolo, mercato, e persino inconscio collettivo.

 

Ma il mercato non è una forza molto materiale?

 

Non è solo materiale, ma è anche potere immateriale. Desocializzante, e incontrollabile. Così come lo sono la tecnologia e l’alta finanza. Ciò che c’è di più individuale viene distrutto. Tuttavia esistono dei nuclei di resistenza. E stanno in quel che io definisco “l’intimità”. Organizzata attorno alla sessualità, alle relazioni interpersonali, al “sé”. Non più dunque la conquista utopica del mondo, bensì l’affermazione pubblica dell’interiorità Siamo passati da un mondo maschile, ad una dimensione femminile, rivolta verso l’interno.

 

Non è una barriera un po’ troppo flebile e romantica, contro forze tanto potenti?

 

Nulla di romantico in tutto questo, perché la ricaduta vera consiste nell’espansione e nel rilancio della lotta per i diritti, civili, socia li, culturali ed economici. Ma “culturali” prima di tutto, in un mondo globale che tende a cancellare le identità particolari.

 

Non c’entra per caso la difesa del formaggio Roquefort, professore?

 

I difensori del capitalismo globale tenteranno di mettere in ridicolo certe istanzelocalistiche, così come veniva fatto contro il protezionismo e il corporativismo dal capitalismo nascente. C’è il localismo certo, ma c’è anche molto di più. Mi riferisco al conflitto tra mercato globale e autoaffermazione delle identità culturali. E parlo di volontà che sono modi di relazione e stili di vita.

 

Le chiedo: le lotte attuali per il salario, contro le diseguaglianze e la difesa del Welfare sono altro, rigetto allo scenario che lei descrive?

 

Non dico che la lotta per i diritti sociali è finita, anzi. Affermo che oggi il grande problema è quello di legare i diritti culturali ai diritti sociali, così come in passato il movimento operaio ha legato questi ultimi ai diritti politici. C’è bisogno di tutte le forze per resistere contro forze immense e globali A partire dall’uso del diritto contro lo Stato e a favore dell’individuo. E a cominciare dalla famiglia, non più veicolo di valori tradizionali come in passato, ma condizione di base per potenziare e sviluppare l’individualità critica, autonoma, responsabile. E lo stesso vale per la scuola, terreno laico di formazione della personalità. Contro le potenze anonime e desocializzanti, e contro l’integralismo comunitario.

 

Che relazione intravede tra il movimento new-global e “l’intimità libera” che tanto le sta a cuore?

 

I new-global sono fondamentali. Come critica della globalizzazione e dei suoi squilibri. E a difesa delle realtà umane concrete, nell’ingranaggio del mercato mondiale. Tuttavia la capacità dì mobilitazione sociale e la progettualità sono ancora scarse. Il movimento ha valore di denuncia, e per di più è mondiale. Ma non è ancora una realtà radicata sull’autonomia delle soggettività e dei diritti a livello planetario. La denuncia è solo contro la cattiva redistribuzione. Oggi invece occorre passare dal tema della redistribuzione del reddito, a quello del riconoscimento dell’altro.

 

Quel che lei descrive, come diagnosi e auspicio, non investe anche le forme produttive? Ovvero resta il capitalismo così com’è, il confine dei movimenti?

 

Il capitalismo è l’economia liberata da ogni controllo, che giunge perciò a dominare ogni ambito sociale. Una dinamica latente e ineliminabile. Ma ineliminabile è anche il movimento opposto: la ripresa di controllo delle forze spontanee da parte della politica. Ed è proprio quello di cui discutiamo oggi, quando denunciamo l’egemonia dei paesi ricchi, la delocalizzazione o l’aumento delle diseguaglianze. Nondimeno il controllo politico, ecco il punto, deve essere culturale. Incentrato sui diritti dei singoli e delle comunità, a partire dal nuovo sociale.

 

E favorevole a un nuovo “universalismo dei diritti”, oppure sì tratta di uno slogan troppo neutro e illuministico?

 

Non amo questo lessico universalista, benché non sottovaluti affatto il ruolo delle istanze universalistiche come l’Onu, il tribunale penale o, Amnesty International. Ma la forza principale contro questa globalizzazione restano le individualità concrete, le lotte contro l’umiliazione e contro il disconoscimento dell’identità dell’altro.

 

Dunque, Onu ed Europa non hanno alcuna chance di intercettare i temi e i movimenti sociali che lei descrive?

 

Direi di sì, e sono il primo ad augurarmelo. Ma l’Onu è troppo debole, e l’Europa è un vuoto morale…

 

Euroscettico, professore?

 

No, eurodisperato! Certo che sono per l’Europa, ma solo a condizione che sappia svolgere un ruolo politico mondiale. Verso il mondo islamico ad esempio, e in modo del tutto opposto a quello americano. Quanto al resto – la tecnocrazia, le banche e i bilanci passano sopra la testa dei soggetti. E poi l’economia e le banche sono un fatto mondiale, e non europeo…

 

Per concludere, professor Touraine che idea si è fatta dell’Italia di oggi, l’Italia del centro-destra e dì Berlusconi?

 

E’ una vergogna (in italiano, n. d. r). Probabilmente è tutta una conseguenza della modernizzazione e del liberismo degli anni ottanta, che da voi alla fine ha assunto un aspetto peculiare: la confusione estrema tra interessi pubblici e privati. Populismo è categoria troppo nobile per Berlusconi. Piuttosto è una forma di patrimonialismo, di puro dominio del denaro. Avete una grande capacità di mobilitazione collettiva e di iniziativa sociale. Prima o poi il centrosinistra riuscirà a trovare un accordo politico, ne sono sicuro.

 

Eppure la destra in Italia è votata da metà degli italiani e oltre. Come lo spiega?

 

Credo dipenda dal contesto internazionale. Dal peso dell’americanizzazione. In questo quadro di interdipendenza, ci sono spinte e controspinte in Europa. Da voi ha prevalso l’allineamento agli Usa, contro i veri interessi europei Berlusconi? Rappresenta l’allinea-, mento filo-Usa ai livelli più bassi. L’assenza italiana dalla politica europea è un grave danno. E il vostro premier, venditore e uomo del denaro, è una catastrofe in tal senso. Un incubo. Ma ce la farete, mi creda. L’Italia è cosa troppo seria, e gli italiani non la lasceranno ancora a lungo a Berlusconi.

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