13 Aprile 2016
www.libreriadelledonne.it

Un anno fa la protesta e la proposta della scuola contro la riforma della buona scuola

di Natalia Milan

Appunti da Palermo per una lettura sessuata della riforma e del movimento.

Mi sarebbe piaciuto oggi titolare con un “Signore e signori, la scuola s’è desta!” una riflessione sull’ampio movimento di protesta che un anno fa si è opposto alla riforma della buona scuola voluta dal governo. Invece, in questi mesi si è registrata una diffusa afasia del mondo della scuola, pesantemente sconfitto, dopo essersi mosso unitariamente contro la riforma, e intorpidito in un anno scolastico in cui la maggior parte delle novità della legge non sono ancora in atto e, su quelle da attuare, ci si muove in scenari di grande confusione.

Eppure quel movimento ha avuto, almeno da aprile 2015 all’inizio del luglio successivo – nonostante il quasi completo silenzio dei media sulle proteste e sulle ragioni della protesta – caratteri straordinari, ulteriori rispetto alla partecipazione molto diffusa, con incontri e assemblee, e molto ampia, come ha dimostrato il più grande sciopero della scuola degli ultimi decenni.

Sono convinta che la riforma della scuola e il movimento che l’ha contestata mettano in scena questioni che richiedono una lettura con le chiavi della differenza sessuale, del simbolico(1), del genere.

Quanto è accaduto ci riguarda e ci tocca da vicino non solo perché questa riforma della scuola, a mio avviso, danneggia le bambine e le ragazze che frequentano le scuole, come argomenterò più avanti, non solo perché colpisce un settore occupazionale composto in maggioranza da donne, ma anche e soprattutto perché molte, moltissime donne sono state protagoniste di questa protesta/proposta in difesa della scuola pubblica, costituzionale, laica, plurale, oltre che della propria professionalità e dei propri diritti di lavoratrici. È stata la difesa di un modello di scuola non perché la scuola fosse perfetta così com’era, ma perché questo modello ha consentito una pluralità e libertà nelle esperienze di insegnamento e apprendimento che, invece, la riforma comprime.

Ho partecipato al movimento nella scuola a Palermo e avendo contatti diffusi per l’Italia anche tramite i social network(2). Osservando, ecco quello che mi è saltato agli occhi: donne protagoniste nei dibattiti, nell’elaborazione dei documenti, nella convocazione di assemblee pubbliche esterne e interne alle scuole, Rsu donne che hanno convocato assemblee dei lavoratori e delle lavoratrici che sono esitate negli scioperi, Rsu e sindacaliste che hanno spiegato, illustrato le questioni in ballo nella riforma, docenti donne che hanno parlato pubblicamente sulla riforma e spesso sui suoi rischi, che hanno speso la loro autorità per sostenere una protesta cui i media hanno dato poco spazio e che ha subito spesso un trattamento criminalizzante (vedi il blocco degli scrutini, che blocco non era ma un semplice sciopero con uno slittamento di qualche giorno).

Una lettura femminista e sessuata di quanto è avvenuto non può non mettere in luce il danno subito anche dai lavoratori uomini della scuola in quanto forza lavoro di un settore di impiego femminilizzato e che è stato, in conseguenza di ciò, fortemente penalizzato sul piano contrattuale e del prestigio sociale.

 

Una riforma sessista

Il disegno della buona scuola sin dalla prima versione mostrava un carattere sessista perché in essa non veniva neanche nominato il pensiero femminista, il suo contributo al sapere, né le ragazze o le bambine:

 

Ancora una volta non è una scuola per bambine, ragazze e donne la buona scuola del documento governativo. Rigorosamente maschile è, infatti, tutto il suo impianto: dalla lingua utilizzata, all’assenza di qualsiasi idea di formazione che preveda l’esistenza di due soggetti, alla logica di un modello fondato sulla competizione e differenziazione in senso gerarchico fra docenti e fra scuole(3).

 

Così scriveva la Biblioteca delle donne Udipalermo in Alcune considerazioni sulla “buona scuola”, uno dei primi documenti pubblicati sulla riforma e che già sintetizzava le ragioni di una completa e strenua opposizione a un disegno di legge scellerato che avrebbe dato la mazzata finale alla scuola pubblica, laica, fonte di libero pensiero ed educazione alla pluralità democratica. La legge è stata poi approvata con alcuni cambiamenti rispetto alla proposta iniziale, ma mantenendo un’impostazione che ha visto contraria la quasi totalità del mondo della scuola.

C’è da chiedersi quale sarà l’impatto di genere della riforma della buona scuola nel suo insieme, a fronte della novità dell’articolo 1, comma 16, in cui la legge richiama le scuole all’attuazione, nella loro azione, dei principi di pari opportunità:

 

Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle  scuole  di  ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la  prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni,  al  fine  di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti  e  i  genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del  decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge  15 ottobre 2013, n. 119,  nel  rispetto  dei  limiti  di  spesa  di  cui all’articolo  5-bis,   comma   1,   primo   periodo,   del   predetto decreto-legge n. 93 del 2013.

 

Al di là del richiamo ai principi di pari opportunità, all’educazione alla parità tra i sessi, alla prevenzione della violenza di genere e delle discriminazioni, nella legge approvata continua a mancare un riferimento al contributo di sapere del movimento delle donne e del pensiero femminista.

Parecchie e più ampie preoccupazioni erano e sono legate al fatto che, se si cumula questa “riforma” a ciò che la scuola è diventata in questi anni, si aprono scenari di miseria simbolica e materiale.

C’è da chiedersi quale sarà l’effetto della riforma sulla libertà dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze che la scuola frequentano e degli uomini e delle donne che nella scuola lavorano. Proprio riguardo a chi nella scuola lavora, evidenzio di seguito due questioni.

Della legge approvata va sottolineato che i docenti e le docenti verranno assunti e assunte con contratti che hanno alcune caratteristiche del settore privato, quindi precarizzati e precarizzate contrattualmente e all’interno di un orizzonte lavoristico di estrazione aziendalistica. Il sistema selettivo finora in uso per l’accesso e l’esercizio della professione di insegnante, basato sui concorsi, sul valore dei titoli di studio, sui punteggi in graduatoria, criticabile ma imparziale, sarà integrato in modo significativo da una scelta operata dal dirigente scolastico, che sarà così chiamato a compiere, pur con le migliori intenzioni e personali qualità, delle scelte nell’ambito della didattica, configurando una limitazione della costituzionale libertà d’insegnamento.

Se, dal punto di vista del lavoro, questa riforma della scuola ha molto a che fare con la precarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici e con l’aziendalizzazione dei rapporti di lavoro, è noto come tutto questo colpisca particolarmente le donne e come la scuola sia un settore in cui la presenza delle lavoratrici sia altissima. Questo aspetto della riforma allora danneggia tutti e tutte, ma soprattutto le lavoratrici perché il sistema in uso finora ha consentito che le donne potessero guadagnare, al pari dei colleghi, il loro spazio, mentre quell’altro, di tipo privatistico, aperto al familismo e al clientelismo, le penalizza fortissimamente.

Temo che di questa riforma si piangeranno le conseguenze per gli anni a venire in termini di calo e peggioramento delle condizioni di occupazione delle donne ma anche di impoverimento generale del Paese. Pur criticando da un punto di vista femminista i criteri utilizzati in molti studi economici – per esempio, il Prodotto interno lordo come unico indicatore di ricchezza, la definizione di “attivi/e economicamente” esclusivamente riferita a chi ha un lavoro retribuito – c’è da notare che, anche all’interno di questi studi, si rileva il peso attuale del sessismo: recentemente Christine Lagarde, direttrice operativa del Fondo monetario internazionale, ha evidenziato come sia proprio sul piano della legislazione che si pongono le condizioni per impedire alle donne di essere “economicamente attive”; ha parlato a questo proposito di “cospirazione contro le donne”. L’occasione per questa osservazione è stata la pubblicazione della ricerca del Fmi sui danni del sessismo che afferma che “in più di 40 nazioni, tra cui molte ricche e avanzate, si perde più del 15% della ricchezza potenziale, per effetto delle discriminazioni contro le donne”(4); l’Italia perde il 15% del Pil potenziale. In questa prospettiva, i paesi che privano le donne di opportunità rinunciano a dinamismo e benessere.

Seconda questione: è materia per una valutazione dell’impatto di genere anche il piano assunzionale previsto nella legge; esso ha posto i docenti e le docenti dinanzi alla scelta tra produrre una domanda per l’assunzione a tempo indeterminato alla condizione di un trasferimento al buio in un’altra città d’Italia da un lato e, dall’altro, non produrla con il rischio di uscire dal mondo del lavoro vedendo svanire la possibilità dell’assunzione e assottigliarsi le possibilità di incarichi annuali. Sarebbe importante conoscere i numeri distinti per genere di chi ha prodotto quella domanda: capire se le donne abbiano rinunciato in proporzione maggiore degli uomini, innanzitutto. E sarebbe importante capire in un orizzonte di libertà se le donne, dinanzi all’alternativa tra radicamento, affetti e relazioni da un lato e lavoro dall’altro, si siano tirate indietro; e in che misura lo abbiano fatto tornando al “ruolo” tradizionale femminile; e sarebbe importante capire quanto il ruolo tradizionale maschile abbia pesato per gli uomini che hanno prodotto questa domanda, un ruolo latore di vantaggi formalizzati ma anche di sofferenze e costrizioni spesso ancora non dicibili.

 

Una protesta nuova

Non solo danneggiate le donne, però: molta dell’animazione di questa protesta è venuta da protagoniste del dibattito italiano, storiche e nuove; citando solo ciò che è capitato a tiro della mia lettura, segnalo i contributi della Biblioteca UdiPalermo, di Lea Melandri, Rosangela Pesenti, Lidia Menapace, del blog Narrazioni Differenti(5), oltre alla costante e preziosa attività pubblicistica di Marina Boscaino su Il fatto quotidiano e Micromega e alle attività di tantissime docenti in giro per l’Italia.

Al netto della questione dell’approvazione della legge che tristemente è dipesa dalla questione, più numerica che politica, dell’avere i voti in Parlamento, vediamo alcuni degli aspetti per cui questa protesta, osservata da Palermo, mi è sembrata nuova e inaspettata anche per chi l’ha fatta.

In questa protesta/proposta la scuola si è raccontata. Ha raccontato com’è, quello che fa; per questo non è mai stata solo protesta: ha raccontato problemi e vita, ben oltre la pur importante presenza di un disegno di legge d’iniziativa popolare precedente e alternativo alla riforma(6).

Pur nella scarsissima copertura mediatica, la protesta/proposta ha compiuto in modo capillare un lavoro che si può riassumere nel riconnettere i nomi alle cose: ha svelato molte semplificazioni e mistificazioni a partire dalla definizione di squadristi rivolta ai docenti e alle docenti che contestavano la ministra; ha dovuto rivoltare la versione governativa dell’ascolto del mondo della scuola mostrando come in tante situazioni vi fosse un monologo della ministra o di altri esponenti del governo, a volte perfino condito da manganellate o più semplicemente “blindature” dei dibattiti pubblici con l’esclusione delle posizioni critiche(7). Ancora ha dovuto svelare che la soluzione del problema dei precari proposta non era quella attesa, cioè l’assunzione, ma, in una prima fase, la più fantasiosa chiusura delle Graduatorie ad esaurimento.

La novità è stato un così ampio movimento che ha costruito consapevolezza e mobilitazione argomentando e raccontando come è la scuola. Grande novità perché la scuola – giustamente – non fa marketing di sé, però, di contro, poco si rappresenta e si racconta. E infatti molto del lavoro di sensibilizzazione è stato il contrasto di falsi miti e luoghi comuni sulla scuola parecchio invecchiati ma duri a morire: i docenti hanno tre mesi di vacanza, nessuno li può valutare, la scuola italiana è peggiore delle altre etc.

In questa opera di informazione e sensibilizzazione si sono impegnate e impegnati moltissime e moltissimi docenti: quest’opera capillare è stata una novità per la partecipazione politica che ha visto e anche come anticorpo a difesa della democrazia. E lo è stata perché il movimento è stato un antidoto alle verità preimpacchettate, a quell’erba che è sempre verde in certi racconti, come scriveva Luisa Muraro in Maglia o uncinetto(8). Così si sono coinvolti attivamente nel movimento di protesta donne e uomini, docenti e non, genitori, famiglie, studenti, cittadine e cittadini.

Altro inedito: dopo anni si è riusciti/e ad innescare un circolo virtuoso tra singoli lavoratori e lavoratrici della scuola, gruppi trasversali di docenti, sindacati di base e sindacati confederali. E questo circolo virtuoso ha sostenuto e alimentato la protesta/proposta.

La scuola ha attuato un ascolto e un riconoscimento produttivo di politica che da anni non c’erano. Per questo penso che questo movimento abbia riguardato l’Italia intera: per l’ampiezza dei numeri e dei temi vitali, per l’acquisizione diffusa di consapevolezza, la significativa organizzazione spontanea e in gruppi, il costante contrastare la sordità della politica e dei media. Per molte e molti docenti si è accresciuta la coscienza della propria professionalità, del proprio ruolo costituzionale riguardo alla libertà d’insegnamento e, insieme, della giustezza delle proprie rivendicazioni contrattuali, della propria forza e protagonismo.

Ci chiediamo come continuerà la vita nel mondo della scuola e che ne sarà dei lasciti di questo movimento: in che misura verranno ancora utilizzate le prerogative degli organi collegiali, la disobbedienza civile, i ricorsi, se si proverà a sollevare nuovamente un dibattito pubblico sulle deleghe in bianco previste nella legge(9). E adesso che è in corso la raccolta delle firme per i referendum – coi quesiti su chiamata diretta, bonus alle singole scuole, alternanza scuola-lavoro e valutazione del merito da parte del dirigente scolastico – ci chiediamo se la preparazione di questo referendum sarà un’occasione per riaprire un dibattito pubblico sulla scuola che vogliamo e se il movimento si ridesterà.

 

Palermo, 13 aprile 2016

 

 

1 Uso ordine simbolico nel senso che ci ha insegnato una lunga tradizione filosofica che considera il reale non come l’ambito dei fatti «nudi e crudi», ma come l’ordine simbolico che il pensiero (inteso come linguaggio, cultura e codice sociale) attribuisce al mondo (Cfr. Adriana Cavarero, Dire la nascita, in AA.VV., Diotima. Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 1990, p. 93).

2 Da quattro anni, avendone titoli ed abilitazioni, svolgo delle supplenze nella scuola pubblica, oltre all’attività che svolgo da oltre dieci anni e che mi appassiona nel terzo settore, precisamente nel centro antiviolenza della mia città. Un intreccio di esperienze professionali interessante.

3 Biblioteca delle donne Udipalermo, Alcune considerazioni sulla “buona scuola”, novembre 2014, https://www.sites.google.com/site/bibliotecadelledonne/project-updates/alcuneconsiderazionisullabuonascuola.

4 Cfr. Federico Rampini, Allarme di Lagarde. Sessismo sul lavoro. C’è un complotto contro le donne, 25 febbraio 2015, La Repubblica, http://www.senonoraquando-torino.it/2015/02/25/allarme-di-lagarde-sessismo-sul-lavoro-ce-un-complotto-contro-le-donne/.

5 Oltre a quelli già citati, cito a titolo di puro esempio:

Lea Melandri, https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1640656562836932&id=100006778116561

Rosangela Pesenti, https://www.facebook.com/rosangela.pesenti.9/posts/846052302098982

Lidia Menapace, http://comune-info.net/2015/05/a-me-la-ministra-giannini-fa-paura/

Narrazioni Differenti, http://narrazionidifferenti.altervista.org/contro-la-riforma-della-scuola-ci-riguarda-tutt/.

6 La LIP – Legge di Iniziativa Popolare per la scuola della Repubblica, http://adotta.lipscuola.it/.

7 Si veda, p.es., Palermo, Giannini contestata: la polizia carica gli studenti. Tafferugli davanti all’Istituto Regina Margherita di Palermo dove era atteso il ministro, Corriere Tv, 18/10/2014, http://video.corriere.it/palermo-giannini-contestata-polizia-carica-studenti/c3106b04-56c1-11e4-ad9c-57a7e1c5a779 e Claudia Brunetto, Giannini in un liceo a Palermo. Tafferugli studenti-polizia. Il ministro: “Noi ascoltiamo tutti”, La Repubblica Palermo, 18/10/2014, http://palermo.repubblica.it/cronaca/2014/10/18/news/tafferugli_al_liceo_regina_margherita_contro_il_minsitro_giannini-98407597/.

8 Luisa Muraro, Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia, Roma, manifestolibri, 1998.

9 Cfr. Marina Boscaino, “Manuale per una scuola ribelle”: per una formazione aperta e gratuita per tutti, 7 ottobre 2015, Il fatto quotidiano, http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/07/manuale-per-una-scuola-ribelle-per-una-formazione-aperta-e-gratuita-per-tutti/2103572/; l’articolo mantiene il suo interesse, nonostante alcuni auspici lì espressi siano stati disattesi.

Print Friendly, PDF & Email