9 Aprile 2007
DWF

WWW: il filo sottile ma inossidabile della passione politica

di Laura Colombo e Sara Gandini

 

Il sito della Libreria delle donne di Milano è una delle forme che ha preso la nostra passione politica. Per politica qui intendiamo qualcosa che sta sul filo della passione ma anche della precarietà, il sito essendo un progetto che regge non per volontarismo ma per il desiderio che ciascuna e tutte sono disposte a spendere. Se in un progetto politico il motore non è il dovere bensì la passione non c’è nessun meccanismo esterno che garantisca la tenuta della cosa: ci siamo rese conto che è necessario esserci in prima persona, con forti relazioni, altrimenti tutto si sgonfia, perde di senso e può anche finire. Ma questo significa anche esserci con le proprie fragilità umane e le proprie insicurezze.

La politica che ci piace ha un elemento di forte precarietà: il sito c’è da anni, ma potrebbe finire domani – la Libreria ormai fa parte della storia, ma è appesa allo stesso filo (potrebbe certamente continuare come semplice negozio, in un mercato travolgente, ma sarebbe svuotata della progettualità politica che le è propria).

La precarietà è data – come abbiamo detto – dall’assenza di meccanismi eteronomi che possano dare “garanzie” (un partito, in quanto istituzione, può anche cambiare nome, ma è una macchina oliata che continua a esistere, più o meno bene, indipendentemente dalle persone; un contratto di lavoro, anche se precario, ha comunque precise leggi che regolano le relazioni tra i contraenti). Questo senso che sempre deve essere ritrovato dentro di sé per dare vita alla politica, pone in primo piano la soggettività e le relazioni. La precarietà è data anche da conflitti che emergono nelle relazioni tra donne, di cui la storia della politica delle donne è costellata, conflitti che a volte restano irrisolvibili e ritornano in una ripetizione coatta. Quando – a partire dalla nostra esperienza al sito – ci siamo interrogate su questa sorta di ineluttabilità per cercare di spezzarla, abbiamo visto che i conflitti diventano irrisolvibili nel momento in cui c’è la pretesa che l’altra accetti incondizionatamente alcune parti di te, ovvero quando non ti senti in grado di “lasciar andare” delle parti di te. Quindi ci sono elementi che dipendono dalle relazioni e dall’aspetto emotivo che rendono precaria questa politica, non ci sono contratti o regole che ne assicurino lunga vita.

Il progetto del sito, fin dal suo inizio, è stato strettamente intrecciato alla Libreria delle donne, o meglio, alle domande che ci siamo poste su quello che la Libreria rappresenta per noi, sull’eredità di questa esperienza politica femminista, su quello che noi vogliamo assumere e portare nel mondo con la nostra voce. Dobbiamo tornare all’inizio di questo millennio, quando, insieme ad altre venute dopo la rivoluzione del femminismo, ci siamo ritrovate – a partire dal numero di Via Dogana Le ereditiere[1] – a discutere sull’eredità del femminismo e della politica delle donne. Il senso di questa eredità non è lo “scambio tra generazioni”, ma un movimento di continuità/discontinuità di esperienze tra noi e le donne che ci hanno precedute. Non si tratta solo di trasmissione culturale, perché per le donne è come se ci fosse un presente dilatato. Pensiamo per esempio a Le tre ghinee di Virginia Woolf: è un testo che esprime verità che anche oggi ci appartengono, non si tratta meramente di un’opera della storia del pensiero femminile che possiamo studiare. Ancora, ci sono alcune conquiste teoriche che le donne della Libreria hanno fatto partendo dalla loro esperienza (il partire da sé e la pratica di relazione, per esempio) che sono strumenti fondamentali anche per la nostra possibilità di comprendere noi stesse, gli altri e il mondo – ossia per fare politica. Tuttavia c’è anche un’esperienza nostra, che ci preme portare nella politica. Di più, vogliamo portare anche quello che non ci torna delle pratiche che altre hanno saputo trovare, perché condividiamo lo stesso presente insieme a quelle che ci hanno precedute, ma è uno spazio  allo stesso tempo differente, in quanto colto ed esperito da prospettive e punti di accesso diversi.

Ragionando su quello che rappresentava per noi questa eredità, abbiamo capito che ci interessava aprire un’ulteriore porta, uno spazio aperto all’altro, all’esterno, all’imprevisto, nel grande universo della rete. Volevamo darci la possibilità di sperimentare il presente in prima persona, per trovare una misura che fosse anche nostra. Così è nato il sito, la cui pratica costante ha portato a una differenziazione con la Libreria: questa è il luogo storico creato e pensato da alcune che hanno pratiche trentennali e una grande esperienza politica, il sito è invece qualcosa che ci appartiene più direttamente, pur essendo legato alla Libreria. Il collettivo del sito è composto anche da alcune donne che hanno fondato la Libreria, ma è indubbio che noi, in prima persona, abbiamo rilanciato il nostro sapere e il nostro desiderio in una sfida tutta nostra. Solo quando abbiamo dato inizio a qualcosa abbiamo guadagnato una competenza sulla nostra esperienza, abbiamo imparato a parlare, a raccontare i nostri bisogni, le nostre priorità, a tentare risposte originali, semplicemente abbiamo imparato a partire da noi. Per noi ha significato guadagnare in prima persona la consapevolezza che l’origine non è l’inizio: l’origine che le donne grandi rappresentano per noi, non è l’inizio della cosa che interpella solo noi, le nostre contraddizioni più intime, le nostre speranze e progettualità, il bisogno di creare a nostra volta. Non è facile entrare in un movimento che esiste già, in una riflessione già creata e strutturata. Il sito ha rappresentato la nostra sfida per la politica. E’ una sfida che riguarda – oltre al desiderio di far politica – anche le nostre relazioni con le donne venute prima, con le quali lavoriamo e ci confrontiamo costantemente nel portare avanti questa impresa. Oggi possiamo dire che, facendo leva principalmente sulla nostra relazione, la geografia dei rapporti in quel contesto si è modificata, e questo ci ha dato più forza e ha permesso maggiore libertà.

Noi siamo convinte che internet e la rete rappresentino una modalità di comunicazione che ha modificato la pratica e il linguaggio della politica, anche la politica delle donne. La rete ha il grande vantaggio che facilita la possibilità di fare politica in prima persona, pensiamo alla grande quantità di siti, mailing list, liste di discussione, blog, comunità di condivisione dei saperi (wiki). La modalità tradizionale dei volantini, riunioni, convegni è stata modificata profondamente da questi nuovi linguaggi, che permettono un’immediatezza e una velocità di scambio delle informazioni che per certi aspetti agevola la comunicazione, specialmente per le più giovani. Il linguaggio che si usa in internet è particolare: sta a mezza via tra il linguaggio parlato e quello scritto, i neologismi abbondano, l’interazione avviene attraverso la scrittura ma è come se si parlasse, perché c’è la percezione della medesima immediatezza. Pensiamo anche alla grafica, utilizzata normalmente nell’interazione in rete: la stessa frase può contenere colori e caratteri differenti, può essere caratterizzata da tratti emotivi con le “faccine” che esprimono gioia, tristezza, disappunto, divertimento. È anche possibile usare spaziature e punteggiatura lontano dalle regole di un testo scritto, dove le connessioni logico-grammaticali sono semplicemente intuite. La maggiore facilità nella comunicazione è data da un tempo di interazione più dilatato rispetto allo scambio di persona, dove si può riflettere maggiormente e ci sono modi differenti per gestire l’emotività, ma allo stesso tempo è uno scambio molto più veloce di quelli epistolari, precedenti l’avvento di Internet.

La possibilità di velocizzare la comunicazione, di trovare velocemente le informazioni più svariate su qualsiasi argomento, quasi senza fatica, può portare a un atteggiamento passivo nei confronti delle informazioni: c’è il rischio di pensare che è possibile far politica schiacciando qualche tasto, ma in questo modo ci si presta facilmente alle strumentalizzazioni. Quando c’è poco pensiero si reagisce meccanicamente rispetto all’ordine simbolico dominante. Proliferano le catene più insensate, come quella sui gatti chiusi in bottiglia, e quelle che fanno leva sui buoni sentimenti. Aderendovi, ci si libera velocemente di sensi di colpa e senso di responsabilità verso il mondo. Ma la scelta alla base di questi appelli è molto ambigua, segue criteri sensazionalistici, che puntano all’emozione immediata. Famose sono le bufale che girano da anni sulle donne in Afghanistan, in cui basta mettere una firma contro le violenze sulle donne mussulmane e ci si sente a posto, oppure quelle in cui si chiedono donazioni di organi per bambini con malattie rarissime. La cosa più preoccupante è la sventura che – diventata merce – circola in un mercato dove la vicenda umana non ha più valore e si pensa di poter saltare le necessarie mediazioni, scavalcando e minimizzando ciò che si fa in contesto.

Un altro rischio, infatti, è la mancanza di fisicità. La sfida – all’inizio della nostra impresa – ci è sembrata molto alta, perché ci stavamo avventurando in un mondo che pare caratterizzato da un linguaggio universale e neutro e da una comunicazione priva di corpo, elementi che avrebbero potuto annullare la differenza sessuale, il nostro essere donne. La riflessione cyberfemminista si è ampiamente interrogata sulle possibilità offerte dallo spazio virtuale e sui suoi tranelli. Le pensatrici cyborg hanno riflettuto sulla  rappresentazione dei sessi nella realtà virtuale e sull’esperienza di identità sessuali multiple, che spesso si realizza nelle comunità virtuali come strumento per mettere in discussione il legame fra sesso, genere e desiderio sessuale. Sono nati molti siti e mailing list di sole donne, una sorta di separatismo messo in atto nella rete per distanziarsi da una falsa universalità. Faith Wilding in Where is Feminism in Cyberfeminism?[2] afferma che è sicuramente un atto radicale far entrare il femminismo nel cyberspazio. Noi facciamo parte della redazione del sito della Libreria e lì giochiamo una scommessa forte, quella di fare politica in rete senza annullare la differenza sessuale, senza rinunciare al senso critico necessario di fronte alla velocità delle informazioni e senza rinunciare alla corporeità. La virtualità non basta. Dal movimento politico delle donne sappiamo che portare il proprio corpo e stare in presenza è fondamentale per la passione politica, e la pratica dei piccoli gruppi o della piazza è arricchita dalla presenza della rete.

La struttura a rete della comunicazione digitale è particolarmente confacente alla politica delle donne, perché non vi prevalgono ruoli istituzionali e di potere e dà la possibilità di entrare in relazione con donne di città diverse. E però, la tentazione della pluralità e dell’uguaglianza fa sì che la proposta politica si sfilacci e si arrivi a un pluralismo forzato, alla velleità di creare un contenitore asettico senza un senso politico laddove la posta in gioco dovrebbe essere la creazione di uno spazio di incontro/conflitto in cui ci si possa mettere in gioco. Riteniamo che la pluralità sia ricchezza, a patto che si presenti con un taglio. In altri termini, la potenziale ricchezza può manifestarsi solo se è possibile un netto confronto tra differenti soggetti politici, e se la posta in gioco è una sfida all’esistente. Nella costruzione del nostro spazio virtuale questa è una faccenda che cerchiamo di tenere all’attenzione, perché sappiamo bene che c’è una grande difficoltà a nominare la cosa che più preme e fare delle scelte radicali sul taglio da dare. Il mito della democrazia paritaria sembra incarnarsi nella rete. Seduce con la promessa che ogni cosa ha diritto di essere nominata, che per ogni diritto bisogna fare battaglia, e fa perdere la capacità di scegliere, cosa che inevitabilmente lascia fuori altro.

Abbiamo verificato negli anni che la scelta della radicalità in ciò che diciamo e mostriamo nel sito attira lettrici e lettori, che a volte si trasformano in ”scrittrici e scrittori”, nonostante il mercato di Internet offra un’infinità di informazioni, siti, blog e portali vari. Abbiamo sperimentato che è fondamentale che ci sia un taglio, il taglio della differenza sessuale: saper guardare il mondo, un mondo anche virtuale, in cui uomini e donne si muovono con le loro curiosità e ambizioni differenti.



[1] Via Dogana, Le ereditiere, n. 44-45, settembre 1999.

[2] F. Wilding, Where is Feminism in Cyberfeminism? http://www.andrew.cmu.edu/user/fwild/faithwilding/wherefem.html

 

Print Friendly, PDF & Email