4 Marzo 2015

La riproduzione come paradigma. Elementi per una economia politica femminista

di Anna Simone e Federica Giardini
(pubblicato su www.globalproject 8/1/2015)

Questo non è un comunicato, ma un modo per significare i tempi di ingiustizia che sentiamo inscritti nei nostri corpi, nelle nostre esperienze, nelle nostre pratiche e nelle nostre relazioni. Da tempo coltiviamo la presa di parola sul funzionamento di questo capitalismo che si traduce nelle nostre vite quotidiane attraverso l’antropologia prodotta dal neoliberismo. Siamo convinte che il femminismo sia un pensiero per tutte e tutti, un pensiero di civiltà che apre nuove prospettive, sia partendo da noi, sia ragionando su grande scala. Non ci basta più un pensiero di donne sulle donne, vogliamo parlare del mondo collocandoci nella realtà delle nostre vite e delle nostre esperienze. Proponiamo, quindi, una scrittura scandita in alcune tesi per avviare un percorso comune, un percorso che articoli la materialità di questo presente, per ricollocare i nostri desideri e i nostri bisogni, per una nuova misura del mondo, una nuova economia politica.

 

Sulla riproduzione

Assumiamo le attività di riproduzione come il paradigma dei tempi in cui viviamo. Per riproduzione non intendiamo la sola rigenerazione biologica, eterosessuale, della specie, bensì tutto il ciclo di attività che mettono e rimettono al mondo, e sul mercato, l’umano. Consideriamo dunque conclusa la fase della contrapposizione tra femminismo marxista o materialista e femminismo del simbolico. Il paradigma riproduttivo può dunque interpellare tutti i soggetti che si collocano al di fuori del quadro eterosessuale o che non assumono la prospettiva di genere. Il soggetto queer, come tutte noi, abita, dipende dalle relazioni, necessita delle condizioni materiali e dei mezzi per dire una vita degna, quando voglia nominare materialmente la sua esperienza.

Il paradigma riproduttivo si afferma in un’epoca postpatriarcale, nella sovversione delle categorie che hanno regolato il vivere umano in epoca moderna: natura-cultura, attività domestiche-lavoro, privato-pubblico, etica-politica, economico-sociale, inclusione-esclusione. Per riproduzione intendiamo dunque la generazione e rigenerazione fisica e mentale dell’umano nella sua primaria dimensione relazionale, tra famiglia e società, tra condotte individuali e collettive, tra attività necessarie incomprimibili e attività relazionalmente libere. Dai comitati di bioetica al telelavoro, dal ritorno del volontariato, fino alla società dei servizi, tutto ci parla della fine di quei confini.

Il paradigma riproduttivo non è né in alternativa, né complementare alla produzione, ne registra le metamorfosi e ne è un polo ineliminabile. Consideriamo la riproduzione il punto cieco della tradizione economica e politica della modernità occidentale. E’ su questo impensato che si sta ricostituendo la presa del capitalismo, ovvero la sperequazione, lo sfruttamento e l’ingiustizia. Il pensiero femminista ha strumenti ben collaudati per collocarsi su questo terreno e sviluppare un conflitto all’altezza delle trasformazioni del presente. Il paradigma riproduttivo svela come, di epoca in epoca, il confine tra produzione di beni e riproduzione dell’umano si sposti e ridefinisca quali sono le attività non qualificate (lavoro semplice), quali le attività necessarie alla sopravvivenza (lavoro necessario), quali le attività qualificate e dunque valorizzate, ricollocando così le aree di esercizio dello sfruttamento e dell’oppressione. Com’è possibile che oggi un’ora di traduzione dall’inglese sia pagata meno di un’ora di pulizie in casa altrui?

Sui dibattiti in corso

Il paradigma riproduttivo evidenzia come i dibattiti nordoccidentali sulla cura, non affrontando gli effetti economici su grande scala prodotti dal neoliberismo, non si confrontano con i criteri della valorizzazione e svalorizzazione di queste attività. “Prendersi cura del mondo” va preso alla lettera. Significa assumersi la cruda materialità della manutenzione del vivere; posizionarsi sulla grande scala nella quale viviamo; riappropriarsi delle misure per non automercificarci e per non mercificare l’altra, “la colf e la badante”; significa dunque generare e orientare le pratiche conflittuali volte a riappropriarsi delle misure del valore del vivere. Mibasta l’apprezzamento, una eventuale gratitudine, il riconoscimento e la fantasia di una promessa per il futuro prossimo, in ritorno di quel che ho fatto, quando nessuno si preoccupa di come pago l’affitto?

Il paradigma riproduttivo non coincide con la diagnosi della femminilizzazione della società, del mercato, del lavoro. E’ un paradigma che – oltre a indicare l’estensione a tutti i soggetti del carico delle attività di generazione continua dei corpi relazionali che siamo e in cui consistiamo – intende individuare, tra produzione e riproduzione, lo spostamento della linea del valore che di volta in volta ridefinisce cosa è lavoro non qualificato, lavoro necessario e lavoro valorizzato. Le retoriche sulla femminilizzazione del lavoro e della società sono solo la forma “gestionale”, antropologica, del neoliberismo, che ha già stabilito in altre sedi – da chi costruisce gli indicatori statistici o da chi elabora i criteri di valutazione nei rating o nell’erogazione di fondi comunitari e nazionali… – il quadro generale di criteri, priorità e finalità. Per il desiderio di chi sto svolgendo lavoro gratuito o mal pagato?

Il paradigma riproduttivo aumenta la capacità descrittiva di quel che è stato messo sotto il titolo di “lavoro cognitivo” o “lavoro immateriale”. Accogliamo positivamente il terreno comune creato dalla diagnosi dell’”egemonia del lavoro immateriale” e dalla diffusione del paradigma biopolitico, ma vogliamo una maggiore presa sulla materialità delle vite. Oltre alla formula della “messa a valore delle capacità linguistiche, relazionali, affettive”, ci dotiamo di strumenti più affilati per descrivere le attività non viste eppure necessarie e dunque lasciate ad altre, ad altri.

Il paradigma riproduttivo, mantenendo la tensione con le attività di produzione di beni, permette di far cadere la distinzione tra lavoro materiale e lavoro immateriale e di ritrovarla come distinzione tra attività rinaturalizzate, rese cioè invisibili e indicibili, e attività valorizzate, salariate, svalorizzate. Accogliere – lavoro complesso ma rinaturalizzato – è lasciato all’invisibile al pari dell’ovvietà del respiro, è richiesto come sovrappiù nella prestazione professionale o è già politica?

Sul valore

Nel venire meno della partizione tra attività domestiche e attività produttive, il paradigma riproduttivo ridefinisce tutto quel che andava sotto il titolo “lavoro”. Misura, valore, salario, tempo di vita, tempo produttivo, bisogno e consumo, virtù pubbliche e private, si sono disposte in una precisa organizzazione sociale, che non esiste più. Consideriamo il paradigma critico della “mercificazione” – il valore inteso come valore monetario attribuito a uno scambio ed esteso a relazioni che prima monetarie non erano – insufficiente per descrivere le trasformazioni del contemporaneo. L’attribuzione di valore e disvalore non si limita alla sola misura monetaria, al prezzo o al salario, ma implica una vasta gamma di tecniche di comunicazione e del sé che plasmano la nostra stessa percezione di cosa vale. Dal tremore all’incredulità di fronte alle procedure di selezione (concorsi, contest, colloquio di lavoro, valutazione permanente).

Contro l’eccesso soggettivo nel concepire lo sfruttamento e l’eccesso oggettivo-scientista dell’economico, contro la sussunzione del monetario nel sociale o viceversa, il paradigma riproduttivo richiede una nuova teoria del valore, che sia in grado di descrivere sia gli effetti di dominio, che distribuiscono degni e indegni, meritevoli e immeritevoli, sia la traduzione delle attività sociali in prezzi e salari. I valori delle nostre attività non riguardano solo il senso di sé e di quel che si fa, sono individuati da una dinamica retroattiva tra domanda-offerta e il più ampio andamento discorsivo e virtuale che la ricostituisce. Differenza, nel paradigma riproduttivo, è il nome del campo su cui si esercita la messa a valore, come anche la sua riappropriazione. Il voto, il rating non sono solo numeri, ma sono più dei loro effetti sui soggetti.

Che differenza corre tra una donna che cucina e uno chef? In questa differenza il paradigma riproduttivo individua le attività naturalizzate e dunque senza valore e le attività messe a mercato, anche simbolico e comunicativo, e dunque dotate di valore. Che differenza c’è tra una donna che cucina e una donna che va a servizio in casa altrui? In questa differenza, il paradigma riproduttivo individua l’intreccio tra valorizzazione e svalorizzazione, discorsiva e monetaria, dunque simbolica. Donna che cucina sta a precario come chef sta a opinionista, oppure donna di servizio sta a ricercatore a contratto o a dirigente di pubblica amministrazione come chef sta a procuratore finanziario.

Al salario e alla gratitudine preferiamo la restituzione. Il reddito garantito prevede un provvedimento monetario che è condizione necessaria ma non sufficiente. La restituzione – reddere – è un circuito simbolico-materiale, un circuito di riproduzione della vita degna, che non può esaurirsi nella possibilità di pagarsi quel che serve per sopravvivere. Essere parte di un circuito di reddito significa accedere, utilizzare e moltiplicare le condizioni del vivere. Voglio un salario o tutto quel che serveper un’esistenza gioiosa?

“La casalinga somiglia all’artigiano e quindi è meno suscettibile di rivoltarsi alla sua condizione”. Assumere il paradigma riproduttivo permette di portare a parola i soggetti che fanno corpo con le loro attività e dunque più suscettibili di aderire a criteri di valorizzazione eterodiretti; permette di individuare il crinale tra valorizzazione per il profitto altrui e pratiche e istituzioni di autovalorizzazione. Dalla finanza “etica” al reddito incondizionato, la posta in gioco è riappropriarsi non del valore, bensì dei criteri, e delle misure, di attribuzione del valore. Chi decide in cosa consiste sentirsi bene?

Sulle relazioni e le loro forme

Il paradigma riproduttivo rimette in questione la stessa libertà. Il neoliberismo si serve ma nasconde la dimensione necessaria e ineliminabile della interdipendenza, del legame, della cooperazione. Rende visibili solo le libertà che generano e rigenerano “individui” indipendenti, dotati di libero arbitrio, di libertà di scelta. L’occultamento avviene su almeno due piani: la libera scelta si esercita entro un quadro di opzioni stabilite altrove, che a loro volta non sono materia di scelta; la libertà di competere si esercita nella dipendenza estrema dal mercato, dalla sola dinamica domanda-offerta. Individui consumatori del segmento finale di produzione e individui competitivi ricattati dalla paura di cadere fuori, nello status abissale del bisognoso. Il paradigma riproduttivo punta alla riappropriazione della dipendenza, della interdipendenza e della relazione quale condizione della libertà. Dal mutualismo alla solidarietà autodeterminata.

Consideriamo l’estendersi degli “espulsi” e dei “bisognosi” come l’effetto della dinamica di valorizzazione-svalorizzazione di attività umane fondamentali. Gli effetti di questo respingimento nella sfera del quasi-politico, nella naturalità muta del bisogno, possono essere contenuti e/o governati solo con la violenza. Nel paradigma riproduttivo, che non separa fisico e mentale, violenza epistemologica e violenza poliziesca sono due aspetti di uno stesso processo di ridefinizione e ri(de)legittimazione di quel che si può considerare umano, dotato di diritti, politico. L’ottantenne sfrattata per fine locazione, è un soggetto abbietto, pericoloso, o soggetto di una nuova economia politica?

Se le attività riproduttive delle relazioni sono l’atmosfera che respiriamo e che ci viene sottratta, perché si discute della “fine della società”? Le attività riproduttive, quando portate a coincidenza con le attività monetizzate e sottoposte al valore di scambio, riformulano il legame sociale in rapporti individuali contrattualizzati e i diritti in contratti assicurativi sul rischio. Consideriamo una conferma la rilevanza strategica attribuita alla liberalizzazione dei servizi prevista dal TTIP (Transatlantic Trade Investment Partnership) e dal TISA (Trade in Services Agreement). Domani, curarsi corrisponderebbe a questa sequenza di atti:ricognizione dei centri sanitari aperti o chiusi a seguito di valutazione della loro virtuosità di bilancio, calcolo costi-benefici, valutazione rapporto qualità-prezzo.

Il paradigma riproduttivo interroga la cittadinanza e i suoi istituti, oggi che non è più fondata sul patto costituzionale e sulla divisione sessuale e nazionale del lavoro. In questo senso leggiamo le teorie della governamentalità: generazione e rigenerazione delle relazioni e delle risorse necessarie alle relazioni, in un quadro di finalità che non è nelle mani degli agenti delle attività riproduttive. Il passaggio dal cittadino-lavoratore al cittadino-consumatore-cliente indica il passaggio da un regime di Welfare, di esigibilità dei diritti sociali e fondamentali, a politiche sociali quale sistema di “gestione” del disagio sociale in cui, quali “clienti” subalterni e/o “bisognosi”, siamo privati della piena soggettività e autodeterminazione. Non le relazioni che prevedono la bellezza e l’uso del luogo in cui si vive insieme, ma il criterio della sicurezza e la stipula di un contratto assicurativo in caso di incidente.

Nel venire meno della partizione tra pubblico e privato, il paradigma riproduttivo si manifesta nell’estendersi della dimensione amministrativa in cui si inscrivono e a cui sono sottoposte le nostre vite. Le progressive riforme della Pubblica amministrazione vanno intese come estensione delle attività riproduttive a tutti e ciascuno. Nel paradigma riproduttivo-amministrativo i diritti sociali si trasformano in servizi, in prestazioni, in prodotto di attività che devono essere costantemente ripetute, individualmente e ben oltre le istituzioni pubblico-statuali: dalla previdenza e assistenza, all’istruzione, alle risorse sociali primarie. La scelta delle tariffedi acqua, luce, gas, comunicazione,come anchela ricerca, valutazione e accesso a casa, scuola…

Tra le principali attività della riproduzione includiamo il sistema dell’istruzione, della formazione e dell’educazione, quale ambito nuovamente strategico nella costruzione e orientamento del “capitale umano”. Troviamo conferma di questo nella priorità ed effettualità della riforma a livello europeo e nazionale dei diversi cicli di istruzione, che si nutrono di nuovi apparati di valutazione e selettività e che investono il “mercato” del lavoro tanto quanto la formazione. Ritorno al Giudizio universale e per giunta senza giustizia.

Tra i sintomi dell’instaurarsi di un regime amministrativo-gestionale-riproduttivo registriamo le espressioni “capitale umano”, “risorse umane”, “capitale sociale”, “knowledge economy”, “knowledge society”, ma anche “smart city” e “green economy”. Nell’epoca della “rigenerazione urbana”, il paradigma riproduttivo individua l’umano nel suo ciclo di attività vitali, tutte già politiche ma, diversamente dalla nozione di “biopolitica”, permette di cogliere le dinamiche di valorizzazione della dimensione non umana, evitando l’ipostatizzazione della natura o dell’ambiente in materia inerte offerta alla produzione, materiale o immateriale che sia. Abbiamo visto una politica capace di dare significato all’espressione “democrazia dell’acqua”.

Prendere parola femminista in questo quadro significa dunque ripensare tutto: l’economico, il culturale, il materiale-naturale, il sociale, il giuridico, il politico. Non si tratta di ambiti separati, bensì intrecciati all’interno di un processo di valorizzazione complessivo e complesso di cui occorre farsi carico. Non ci basta pensare le forme di liberazione dalle misure che instaurano lo sfruttamento, riteniamo dirimente individuare nuove misure, nuove forme regolative in grado di ridare valore alle nostre vite, qui e ora.

Parte delle questioni formulate sono oggetto di un lavoro condiviso con Eleonora De Majo, Gea Piccardi e Alessia Dro (fg).

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