Anna Biffoli, Firenze
Cara Alessandra Bocchetti cercherò di spiegare perché non mi sono sentita tirata in causa sulla questione dell’andare in pensione (“troppe donne hanno fretta di tirarsi fuori dalla mischia, fa impressione Via Dogana n. 19).
Ho amato il mio lavoro fin dal primo momento che l’ho incontrato riconoscendogli una possibilità per me di essere “dentro la vita” che lo stare in famiglia o il frequentare la scuola d’avviamento non mi aveva dato. Il violento impatto con il mondo duro della fabbrica frantumò i sogni adolescenziali. Cosí io con tutta la forza e l’entusiasmo dei miei sedici anni e anche con la forza della disperazione mi gettai a capofitto dentro quel luogo facendo quello che in quel tempo consideravo indispensabile: capire la fabbrica nella sua complessa organizzazione, allearmi con il sindacato, fare sciopero ecc. fino a pagare con il licenziamento agli albori del movimento sessantottino. Una lotta dura iniziata dagli/Ile operaie a mio sostegno impose il mio rientro non prima però di aver scontato due mesi a casa senza stipendio (mediazione del sindacato!) per punizione. Salto molti anni e mi ritrovo a lavorare nella Sanità pubblica. Nel frattempo ho sperimentato il movimento delle donne, fino al presente che dice la politica è la politica delle donne. Questo ha voluto dire un. grosso cambiamento per me: mi sono trovata a lavorare con grandi progetti, con la consapevolezza di avere radici profonde. Ma il mio lavoro non è diventato misura, non è diventato lingua: dunque ho fatto sí un buon lavoro, ma monco. A grandi riconoscimenti personali non ha fatto seguito uno spostamento sensibile della politica sanitaria nel mio distretto. Eppure io so che ho agito pensando di poterne migliorare la qualità e ho sempre pensato che insieme alle e agli altri ci sarei riuscita. Invece la politica sanitaria ha fatto un notevole cambiamento, ma nel senso opposto a quello da me attivato praticamente. Nonostante questo ‘scacco’ io mi sento profondamente tranquilla nell’aver scelto di andare in pensione: trentotto anni di vita lavorativa sono per me (non per il governo!) sufficienti come esperienza da tramandare alle nuove generazioni.
Anna Biffoli, Firenze