Maria Marangelli, della formazione Fiom Lombardia
Dalla pratica del movimento delle donne e dalla nostra abbiamo imparato che riusciamo a trasmettere alle altre la libertà che siamo in grado di produrre per noi.
La nostra e una storia di presa di coscienza di sé, di presa di parola in prima persona per
produrre forza femminile, per produrre rapporti di forza a noi favorevoli nel conflitto tra i sessi.
E’ solo così ne riusciamo a risparmiare le energie che altrimenti ci assorbirebbe il permanere nei meccanismi imitativi o di adattamento alle regole degli uomini. E’ la nostra storia sindacale. In fabbrica la contrattazione dipende dalla forza che si riesce a mettere in campo, dalla coscienza di sé, del proprio lavoro, dei propri desideri. Sono queste le qualità che vengono riconosciute quando si eleggono le delegate e i delegati in fabbrica. La contrattazione esiste – spesso non la sappiamo vedere – anche in assenza delle strutture sindacali. Secondo le informazioni, le sensazioni personali il/la sindacalista può pensare che non esistono più margini di trattativa. Poi si va in assemblea e la gente rifiuta l’ipotesi di accordo; si pensa che siano matti e poi, guarda caso, tornando a trattare con la direzione aziendale, capita di riuscire a spostare a favore dei lavoratori la mediazione ultima.
Nel guardare alla crisi di rappresentanza, il vantaggio di cui disponiamo consiste proprio nella critica che le donne hanno prodotto della rappresentanza e nella accresciuta libertà femminile (nonostante la scarsa presenza di donne nei luoghi della rappresentanza politica e sindacale).
L’accordo del 31 luglio fra sindacati e governo, è stato criticato diffusamente da tutti nel merito e nel metodo. Eppure il Congresso della Cgil aveva iscritto nell’ambito dello Statuto regole che avrebbero dovuto metterci al riparo da quanto invece poi è avvenuto.
All’indomani del 31 luglio, un sindacalista disse: “Le regole ci sono, ci mancano solo i caschi blu a farle rispettare”. Lo stesso sindacalista, dopo qualche giorno, affermava: “Occorrono nuove regole democratiche che tutelino i rappresentati dai loro rappresentanti”. Un doppio paradosso, detto da lui che è un rappresentante. In realtà, non stava parlando di sé. Rivolgeva le proprie critiche alle segreterie nazionali, ma nel contempo sottolineava i rischi impliciti nel sistema della rappresentanza. Sono rischi legati all’esercizio del potere derivante dal “trattare in nome e per conto di”.
Le segreterie nazionali trattano e firmano accordi senza che lavoratori e lavoratrici ne conoscano, né quindi ne condividano, il merito.
Piú si opera la semplificazione di identificare il sindacato con il sistema della rappresentanza sindacale, piú aumentano i ri schi di allontanare dalla gente la possibilità di decidere di sé. La stessa confusione deriva dal ridurre la politica alla rappresentanza politica. E’ un’idea riduttiva se non distruttiva della politica.
Il rischio implicito nella rappresentanza è di sostituirsi ai soggetti titolari della contrattazione.
E’ quindi necessario non solo chiedersi come eventi tipo 31 luglio si possano evitare in futuro, ma anche soprattutto perché siamo diventati un’organizzazione in cui si fa capo a pochi che decidono sulle condizioni di vita di molti. A questo si trova risposta indagando la pratica, la propria pratica innanzitutto, piú che le regole. E’ nell’ambito della pratica che si produce anche la capacità e la forza di attivare certe regole (ricordo, per esempio, quelle dello Statuto della Cgil).
Richiedere al parlamento che faccia una legge sulla rappresentanza e sulla democrazia per restituire il voto a lavoratori e lavoratrici, forse è necessario ma sancisce la debolezza del movimento sindacale nel produrre mediazioni per sé e pratiche tese a limitare abusi nell’esercizio del potere insito nella politica rappresentativa. Questi problemi rimangono oltre la legge o l’abolizione dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori.
Il problema non è l’esclusione o l’inclusione dei soggetti nel sistema della rappresentanza, ma quale pratica sindacale favorisca uno sviluppo del fare sindacato in prima persona perché non siano pochi dirigenti sindacali a decidere sui molti. E’ qui che si gioca anche la produzione di forza simbolica della classe operaia e lavoratrice nella società.