I “seminari motivazionali come strumenti per umiliare i i dipendenti
Robin Corey
Un buon punto di partenza per indagare l’uso intimidatorio della paura nell’America contemporanea è il posto di lavoro, perché è lì – nelle pratiche di assunzione e licenziamento, promozione e retrocessione scarsamente regolamentate; nell’intimità coartata e coercitiva tra datore di lavoro e dipendente, tra controllore e controllato – che la paura produce un effetto particolarmente tossico. Nonostante il fatto che gli americani adulti trascorrano al lavoro la stragrande maggioranza delle proprie ore di veglia e nonostante il fatto che la stampa economica ammetta apertamente che “dal luogo di lavoro la paura non è mai assente nè mai deve esserlo” e che “la paura può essere un potente strumento a disposizione del management”, il lavoro rimane un’enorme terra incognita, resa inaccessibile al pubblico scrutinio dalle alte mura della legge e dell’indifferenza politica. I datori di lavoro e i dirigenti non agitano minacce di licenziamento, declassamento e altre sanzioni perché siano crudeli, ma perché credono, come scrive il fondatore della Intel Andrei Grove nel libro Oniy the Paranoid Survive, che la paura alimenti il ritmo febbrile dell’industria contemporanea e che essa sia un elemento essenziale della nostra economia politica La paura sul posto di lavoro crea un ordine sociale interno che può essere senza esagerazione descritto come feudale, un mondo più premoderno che postmoderno, il cui vero teorico non è Karl Marx nè Adam Smith, ma Joseph de Maistre.
Si consideri l’esperienza di un gruppo di lavoratrici dello stabilimento della Nabisco a Oxford in California, dove viene prodotta la salsa per le bistecche A-1 e tutta l’offerta mondiale di senape Grey Poupon. In una causa intentata nel 1995, queste lavoratrici denunciavano il fatto che i capi impedissero loro continuamente di andare in bagno. Dovendo scegliere tra orinarsi addosso e la minaccia di tre giorni di sospensione per visite al bagno non autorizzate, le lavoratrici scelsero di indossare i pannoloni, ai quali però presto dovettero rinunciare a causa dei costi, passando agli assorbenti e alla carta igienica che, se intrisi di urina, pongono seri rischi sanitari. E infatti numerose lavoratrici finirono per contrarre infezioni alla vescica e alle vie urinarie. (Venuto a conoscenza della loro condizione, il commentatore conservatore R Emmell Tyrrell Jr. consigliò loro di indossare gli speciali pannoloni utilizzati a New York dai cavalli delle carrozze di Central Park). Fu solamente nell’aprile del 1998 che, su pressione dei sindacati, il Governo federale affermò con terminologia confusa che i datori di lavoro dovevano concedere ai dipendenti il “tempestivo accesso” al bagno. La legge è stata da allora elusa più volte.
Nel settore privato, l’intimidazione e lo spionaggio coesistono con finte celebrazioni dell’individualismo, quando in realtà i dipendenti, temendo di perdere il proprio lavoro, vengono costretti a minuziose recite collettive di falsa bonomia e lealtà nei confronti dell’azienda. Gli effetti sono spesso umilianti e avvilenti. La Nyntex, dopo aver tagliato il numero dei dipendenti a metà degli anni Novanta, obbligò i propri Mba e tecnici specializzati a partecipare a un ritiro di tre giorni, nel corso del quale vennero incoraggiati a scoprire la propria creatività, saltellando in vario modo per una stanza. Alcuni saltellarono su una gamba sola, altri su due, altri ancora alzando le mani, e un uomo coprendosi un occhio con la mano. Secondo uno dei partecipanti, “i capi dicevano cose del tipo “guardate come siete creativi, quanti modi di saltare per la stanza sapete inventare”. E non ci fu nessuno che si rifiutò di farlo… nessuno”.
Il dirigente del settore marketing di un network radiofonico, che aveva subito un’analoga ondata di licenziamenti, ricorda come, in occasione di un seminano motivazionale, un consulente del management consegnò ai dipendenti delle pistole ad acqua dicendo di spruzzarsi gli uni addosso agli altri – per aiutarli a entrare in contatto con la parte più giocosa del loro io. “C’erano tutti questi quadri chi correvano di qua e di là, schizzandosi acqua addosso”, dice. Dopo avere inizialmente pensato di non partecipare, ritornò sulla sua decisione, chiedendosi: “Se non mi metto a giocare con le pistole ad acqua, licenzieranno anche me?”. Inoltre, secondo quanto sostiene, questi giochi facevano sentire “estremamente a disagio professionisti seri, sia uomini sia donne. In molti ci sentimmo a disagio, imbarazzati, poco disposti a partecipare, eppure continuammo. Era come se tutto fosse pensato per spezzarti dentro. Penso fosse un modo per umiliarci. Dopo un’ondata di licenziamenti alla Bank of America, i vertici aziendali istituirono un programma volontario di “adozione” di un bancomat. Al programma aderirono 2.800 dipendenti, che pulivano fedelmente il bancomat e lo spazio circostante – fuori dall’orario di lavoro e senza ricevere straordinari – semplicemente per salvare il posto di lavoro.
Interpretando la paura come facciamo oggi, come reazione collettiva a minacce di carattere non politico, come strumento di rigenerazione morale e spirituale della società, oppure reagendo esclusivamente agli oggetti della paura di origine estrema, ignoriamo o minimizziamo queste forme quotidiane di paura che rafforzano un ordine morale repressivo, limitano la libertà e creano e perpetuano disuguaglianza.