18 Maggio 2007
il manifesto

La “differenza” nel sindacato

Carla Casalini

Parole care, “partire da sè, dal proprio corpo, dalla propria vita”, che introducono la nascita di un’esperienza straordinaria degli anni ’70, che si chiamò “Intercategoriale donne Cgil, Cisl, Uil” di Torino: una vicenda di femminismo innestata dentro il sindacato di quegli anni, in un dire e fare comune con il movimento delle donne. Vicenda non isolata, allora, basti pensare non solo a esperienze simili in altri territori – per la verità non sempre e ovunque con analogo “partire” e intento progettuale – ma all’avventura del ‘femminismo sindacale’ dentro i metalmeccanici, categoria per definizione ‘maschile’, dove con i “coordinamenti Flm” le donne introdussero la pratica della separazione/separatezza per ripensarsi fra sè e sé.
Oggi l’esperienza dell'”Intercategoriale donne” torinese rivive in un libro, “Fare la differenza” (edizioni Angelo Manzoni), e a ripercorrerla è una delle protagoniste, Nicoletta Giorda, con un lavoro sagace e intelligente: dal recupero di quella storia – significata dal suo nascere, per poi distanziarsene, nella “stagione dei movimenti” -; all’interrogazione sul senso di un’esperienza vissuta, in interviste fatte oggi alle protagoniste, e ai protagonisti.
Una delle scelte interessanti del libro è infatti il contrappunto, il confronto serrato sia per il passato, che nel presente, ai “dirigenti sindacali maschi” su come “vissero” l’agire femminile. Da “quel 1° maggio 1977” in cui le donne occuparono, non ‘autorizzate’, il palco della manifestazione, parlando e insieme formando con le mani il simbolo femminista, fino alle iconografie ‘creative’ nei volantini, nei manifesti – disegnati da Laura Fiori – a partire dall’ormai celebre ridisegno provocatorio della tela di Pelizza da Volpedo: dove nella rappresentazione del popolo che avanza ‘verso l’avvenire’ il détournement femminile introdusse una mano dell’operaio in prima fila che palpa il sedere della donna che gli marcia accanto.
Furono infatti i “dirigenti maschi” a voler chiudere con violenza l’esperienza dell'”Intercategoriale” a metà anni ’80 – quando ci fu la rottura fra Cgil, Cisl e Uil e le donne furono stranamente accusate di pratica “anti-unitaria”. Paradossale, ma non tanto nella logica maschile: le donne di Cgil, Cisl, Uil, infatti, nel difendere la loro pratica comune, disdicevano la comune decisione di separarsi dei vertici sindacali.
La lettura più emozionante del libro “Fare la differenza” è forse però nelle testimonianze di allora di impiegate e operaie sulla propria ‘presa di coscienza’. Vivissima nei racconti sulle lotte per il collocamento del lavoro, per il diverso sguardo – e vertenze – sulla salute in fabbrica e nel territorio, sul corso di “150 ore” che vide 1300 iscritte discutere di salute e sessualità.
A promuovere la ricostruzione della vicenda torinese sono oggi ancora donne dirigenti sindacali di Cgil, Cisl, Uil, riunite nel “progetto Mnemosine” (la dea greca della memoria), che intendono riportare questa storia dentro il sindacato, nei corsi di formazione, con un occhio particolare alle “nuove generazioni” di ragazze e ragazzi: per “incuriosirli” su una storia che può testimoniare come “ogni diritto acquisito è frutto di un forte impegno intellettuale e di lotta, di coraggio nel rompere l’ordine costituito” – come scrivono nell’introduzione Vanna Lorenzoni, Adriana Celotto, Ivana Dessanay. Ma questa storia è anche un tassello di quell’evento rivoluzionario che irruppe negli anni ’70: il movimento femminista. Singolarmente tralasciato in troppe ricostruzioni dell’epoca – come insiste anche Nicoletta Giorda – che amano riassumerla negli “anni di piombo”.
Ma questa vicenda come interroga oggi le protagoniste di allora sullla loro esperienza ‘personale” e politica? Se ne è discusso, sulla scorta del libro, alla Casa internazionale delle donne a Roma. Ma non c’è stata una risposta a “partire da sé”. Solo molta emozione nel ritrovarsi insieme, e per il resto grande confusione – certo appropriata, e dunque forse fertile – nel leggere il presente.

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