5 Novembre 2007
il manifesto

Quando la libertà diventa flessibile

Le storie Clara, architetto sottopagato, «magari ti viene il desiderio di un figlio. E come fai?». Giovanna, peruviana, bada ai figli delle italiane: «Il tempo libero? Ma io non ce l’ho»
Cinzia Gubbini
Roma

Il «la» al corteo lo danno loro, poco dopo la partenza, giusto davanti alla basilica di Santa Maria Maggiore. Un bel cordone di contestazione interna, creato mettendo insieme le loro code, pelose e leopardate, posticce ma sinuose e ammiccanti, un tocco di poesia, un «via di fuga», perché «non si accodano», come dice anche il volantino giallo che distribuiscono ai passanti. Sono le donne del collettivo «amatrix», unica presenza spiccatamente femminista al corteo contro la precarietà, che di donne è pieno, giovani e meno. Un bel pezzo di società che la flessibilità selvaggia sul lavoro la sperimenta tutta, con contraccolpi incontrollabili. «Diventa precarietà della vita, anche per chi come me ha un contratto a tempo indeterminato – dice una delle donne di «amatrix» – E’ precarietà degli affetti, ritorno alle maglie strette della famiglia. Per questo vogliamo sovvertire e contestare anche la composizione del corteo di oggi che non ci rappresenta. Sulle donne pesa ancora quel welfare che non viene pagato da nessuno. Se la donna italiana lavora, ecco che tocca alla “badante” straniera accollarsi la casa. Purtroppo è difficile mettere insieme le femministe, se vogliamo usare questo termine, c’è ancora un incubo da separatismo». Ma qui non c’entra separarsi dal «maschio», piuttosto riconoscere una differenza che c’è.
Prendi Clara, 28 anni, appena laureata in architettura e a metà del guado di un dottorato di tre anni «senza borsa di studio». Cioè gratis, anzi, con 1.500 euro di tasse da pagare. Clara cammina con Barbara, 35 anni, anche lei architetto, già «abilitato», sono tutte e due di un circolo di Rifondazione romano. Clara lo dice apertamente: «Non lo so, magari a un certo punto ti viene in mente: vorrei un figlio. Ma come fai?». Invece si rimane figlie, per anni e anni. «Mi tocca chiedere ancora i soldi a mamma e papà. La loro è una generazione che ha investito su di noi, ci ha fatto studiare, accedere alla cultura. Ma noi ci ritroviamo con niente in mano, e senza reti». Eppure «siamo privilegiate», dicono tutte e due. Perché alle spalle, appunto, «c’è la famiglia». Perché, alla fine, uno la vita se la vive: «Io se ho due lire mi faccio un viaggio all’estero, e non ho nessuna intenzione di smettere», dice Barbara. «Ma scusa – aggiunge – Clara – dovrei anche sentirmi in colpa? Viviamo in un’economia dell’accesso, non della proprietà. Io voglio i miei libri, il mio cinema, desidero avere il mio tempo libero. E magari non me ne frega niente di avere una casa di proprietà. Che poi tanto un mutuo se lo chiedo non me lo danno, dunque, non si pone il problema». Entrambe frequentano, sottopagate, gli studi privati dei grandi architetti, anche se Barbara è in una fase di ribellione e sta cercando di lavorare in proprio, da casa, con un’amica. «Tutti i grandi architetti si servono di pacchi di giovani precari, sono quelli che vincono i mega appalti pubblici – dice Clara – allora dico: almeno mandate i controlli».
Ma di controlli, tra le migliaia di precari in corteo, non ne ha visti mai nessuno. Emanuela, giornalista friulana che riesce a mettere insieme mille euro al mese tra varie collaborazioni, già ha visto un paio di colleghe costrette ad aprire la partita Iva. E lei, nel centro di documentazione per cui lavora, fa la giornalista, ma è inquadrata come una qualsiasi dipendente. Poi c’è Giovanna , peruviana di 26 anni. Fa la baby sitter, al nero, 600 euro più vitto e alloggio. Ma occupa anche una casa con Action «perché vorrei tanto lavorare e poi tornarmene a casa mia». Almeno «avrei più tempo per me. Ora sono libera solo o il giovedì, o la domenica». E poi la famiglia per cui lavora l’ha presa per curare il bambino, ma in realtà «stiro, lavo, pulisco, faccio la spesa. Tutto». La sua libertà «è poter essere lontana dalla mia famiglia, qui guadagno i soldi miei, faccio come dico io». Ma è comunque una vita a metà «l’ultimo ragazzo mi ha mollato, perché non avevo mai tempo. Non puoi stare con uno e vederlo solo il giovedì».

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