di Paola Mammani
Nell’introduzione all’edizione del 1990 di Flying, In volo, Kate Millett scrive:
«…C’è un’intera generazione di giovani donne nelle cui mani voglio affidare questo libro…». E più avanti: «In effetti, In volo ha segnato il momento più divertente della mia attività di scrittrice – questo libro è la mia gioventù: trentacinquenne non avevo ancora scritto col mio registro. La politica del sesso era stata una tesi di dottorato, redatta con un linguaggio ufficiale e asettico, così da accattivarmi una commissione formata da professori di Letteratura inglese…».
Non ho notizia di come le giovani statunitensi degli anni ’90 del secolo scorso abbiano accolto la nuova edizione di Flying, il fitto racconto di anni ribollenti di ricerca, di sperimentazione di nuovi rapporti, di convivenze, di amori coniugali ed extraconiugali, etero e omosessuali. So che in Italia molte donne negli anni settanta e nei decenni successivi hanno letto voracemente le molte centinaia di pagine di quel testo, alla ricerca di esperienze, di parole per mettere in forma un nuovo modo di essere donna.
Forse ancora più numerose, però, furono quelle rimaste avvinte da Sexual Politics, La politica del sesso, trattenute da quel linguaggio solo apparentemente ufficiale e asettico che sembra invece imbrigliare a stento una forza quasi incontenibile e una dissacrante ironia.
È Millett che squaderna l’universo mondo e chiama a raccolta tutto quanto ha capito, tutto quanto ha studiato per dare forza e tenuta a ciò che ha “visto” bene, accuratamente e fino in fondo: il dominio del patriarcato sulle donne, sul loro corpo, sulla loro sessualità, sulla loro capacità riproduttiva.
Convoca tutte e tutti quelli che conosce, da Hannah Arendt a Virginia Woolf, a Charlotte Brontë, a Margaret Mead e Melanie Klein, e poi John Stuart Mill, Marx, Engels, Freud, Bachofen, Malinowski e decine d’altri, evocati dal passato più lontano fino ai suoi contemporanei, per portarli a testimoniare a suo favore o per metterli alla gogna.
Vuole mostrare minutamente e poderosamente gli effetti di oppressione, di schiacciamento, di proterva prevaricazione sessuale e culturale che il patriarcato esercita sulle donne, infilzando ad una ad una le categorie della classe, della razza, della minoranza oppressa, eccetera, a dimostrazione che al fondo e prima di tutto è in gioco il potere dell’uomo sulla donna.
Non è possibile dare l’idea, in breve, dell’enorme quantità di piani, di tematiche, di scenari storici che Millett affronta nel suo immenso affresco. Né pare rilevante annotare se e quando alcune sue interpretazioni appaiono forzate o parziali, perfino fuorvianti. È forse il caso di alcuni giudizi sulla psicoanalisi, sul ruolo della famiglia o della funzione materna.
Quel che è certo è che il suo testo ha rappresentato per moltissime donne una potente chiamata alla lotta, una grande spinta a sottrarsi al dominio maschile, l’innesco di un’esplosiva consapevolezza che il personale è politico, e ha determinato per molte una convinta adesione al movimento delle donne, ai temi che alcune chiamarono della liberazione sessuale.
Per molte è passata di lì la strada che ha portato poi ad intendere il valore della libertà, a saper ascoltare la voce di quelle che già avevano colto il senso della grandezza femminile, da sempre mai del tutto cancellata dalla storia.
In Italia La politica del sesso, il frutto pieno del pensiero e dello studio di una donna, non è disponibile sul mercato librario. È una mancanza che oggi si avverte più viva. Una riedizione de La politica del sesso potrebbe essere un degno atto di omaggio a Kate Millett, che è morta a Parigi lo scorso settembre, all’età di 83 anni.
(www.libreriadelledonne.it, 13 ottobre 2017)