3 Febbraio 2021
il Fatto Quotidiano

Alcott, piccola grande donna: sgobbona, povera, femminista

di Crocifisso Dentello


È uscito il carteggio della scrittrice americana, famosa solo per le sorelle March, ma per nulla romantica: “Uso la testa come un ariete da guerra: la libertà è il miglior sposo”


Louisa May Alcott ha scritto diversi libri nei suoi 66 anni di vita (1832-1888) ma resta inchiodata nell’immaginario collettivo a una sola sua opera: Piccole donne. Un classico della letteratura per l’infanzia tanto celebre da rendere via via superfluo il nome della sua stessa autrice.

GENERAZIONI DI LETTRICI e di lettori, conquistati dalle vicissitudini delle quattro sorelle March, sono finiti loro malgrado col prestare fede a ciò che Jean-Paul Sartre scrisse recensendo un romanzo di William Faulkner: “I buoni romanzi finiscono per somigliare moltissimo ai fenomeni naturali; si dimentica il loro autore, li si accetta come pietre o alberi, perché ci sono, perché esistono”.

Dietro la saga di Piccole donne – il primo dei quattro volumi è stato pubblicato nel 1868 e da allora non si contano più i milioni di copie vendute e gli svariati adattamenti cinematografici – si nasconde un’artista americana vissuta nell’Ottocento che vale la pena scoprire. L’orma manda in libreria Le nostre teste audaci, epistolario inedito curato da Elena Vozzi, che offre appunto la preziosa occasione di restituire voce corpo identità a un nome su una copertina.

ALCOTT, NATA nel cuore della Pennsylvania da padre filosofo autodidatta e madre suffragetta, non ha nulla a che spartire con una certa idea romantica della letteratura. Da queste venti lettere ci viene incontro una scrittrice ancorata a una concretezza tale da dire di sé: “L’ispirazione dovuta alla necessità di guadagnare è tutto ciò che ho, ed è un aiutante più fidato di qualsiasi altro”. O ancora, in una missiva datata Natale 1878: “Per me il vero successo è riuscire a dare serenità alla mia cara madre nei suoi ultimi anni di vita e potermi prendere cura della mia famiglia. Tutto il resto viene presto a noia”.

La ribalta inattesa e clamorosa che le procura la storia “natalizia” di Meg, Jo, Beth e Amy – bollata dalla stessa Alcott come “il primo uovo d’oro del brutto anatroccolo” – non serve a solleticare la sua vanagloria ma a rendere giustizia a una storia familiare funestata da avversità finanziarie. Basta soffermarsi sulle righe che indirizza alla sorella Anna nella primavera del 1854: “Sgobbo come al solito, cercando di mettere da parte abbastanza denaro per comprare alla Mamma un bello scialle caldo… Vorrei solo essere capace di guadagnare, fosse pure a costo di infiniti pianti e nostalgia”.

AL PADRE, il 28 novembre 1855, in occasione del compleanno, dedica parole commosse: “Carissimo papà, senza altri regali da offrirti oltre al mio cuore colmo d’affetto”. Sempre rivolta al padre mette nero su bianco propositi di rivalsa: “Sto provando a spremere qualche soldo dalle mie meningi… Userò la mia testa come un ariete da guerra e mi farò strada nella mischia di questo pazzo mondo”.

Emerge il profilo di una donna impegnata a strappare al destino un’emancipazione in grado di affrancarla non solo dal bisogno ma dalla morale del suo tempo. Del resto, bastano le pagine di Piccole donne a certificarlo e in particolare il personaggio di Jo, la sorella più ribelle irrequieta coraggiosa. “Io sono Jo nella maggior parte dei suoi tratti caratteriali”, confessa la stessa Alcott in una missiva del 7 agosto 1875 a una traduttrice olandese.

PRIMA DI DEDICARSI alla scrittura (“Scrivo sempre di mattina. Mi serve una cosa sola, il silenzio”) la sua biografia è scandita dalle mansioni più disparate: domestica, sarta, attrice, insegnante. Fu infermiera volontaria durante la guerra di Secessione nella volontà di essere dentro i fatti del mondo, di catturare dalla vita tutto ciò che la società organizzata sembrava precludere alle donne. La sua letteratura scende per le strade, attinge al suo privato: “I personaggi sono ispirati alla vita reale, alla quale si deve qualunque merito essi abbiano, poiché mi sarebbe del tutto impossibile inventare nulla di autentico ignorando anche solo la metà dei meri eventi che la vita mi mette davanti ogni giorno”.

UNA SUA FRASE è rivelatrice e insieme una temeraria dichiarazione di guerra contro la prigione di una certa condizione femminile: “Per molte di noi la libertà è un marito migliore dell’amore”.


(Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2021)



“L’editore mi chiede di maritare Jo Peccato: stava meglio da zitella”

di Louisa May Alcott


Cara signorina Powell, il fatto che le mie sciocche Piccole donne siano state ammesse nel suo college mi onora profondamente, e spero proprio che si comportino bene in un ambiente così erudito, considerato che le poverine non hanno goduto di molti privilegi e sono piuttosto ritrose, come la loro mamma. La prego di impiegarle come meglio crede per la cura del mal di testa o di qualunque altro malanno possano alleviare, non riuscendo a immaginare impiego più nobile per il mio libretto. Il seguito uscirà ad aprile, e come tutti i seguiti probabilmente deluderà o disgusterà buona parte del suo pubblico, perché gli editori non vogliono saperne di lasciare a chi scrive la libertà di decidere in autonomia il finale di una storia, al contrario insistono perché venga infarcito di matrimoni un tanto al chilo, e io ancora non so bene come darmi pace. Jo sarebbe dovuta rimanere una zitella devota alla letteratura, ma sono stata sommersa da talmente tante lettere di giovani lettrici che mi pregavano entusiaste di farle sposare Laurie, o comunque di farla maritare, che non ho avuto il coraggio di rifiutarmi. Alla fine, non senza una punta di perversione, le ho combinato un matrimonio assai bizzarro. Mi aspetto di essere coperta di insulti, ma devo ammettere che la prospettiva mi diverte abbastanza.


20 marzo 1869


Mentre da altre città giungono le cronache delle prime esperienze delle donne ai seggi, eccovi quella di Concord… Ventotto donne erano intenzionate a votare, ma a causa di alcune pratiche burocratiche diversi nomi non sono potuti entrare. Tre o quattro di loro sono state trattenute a casa dai doveri famigliari e non si sono sottratte alle incombenze domestiche per correre ai seggi. Venti donne, tuttavia, erano lì, alcune da sole, la maggior parte in compagnia di mariti, padri o fratelli; tutte di buonumore e nient’affatto intimidite dalla memorabile impresa che stavano per compiere… Nessun fulmine è caduto sulle nostre teste audaci, nessun terremoto ha scosso la città, ma appena eravamo tornate a sedere una piacevole sorpresa ha creato un diffuso scoppio di risate e applausi quando, dopo che avevano votato le donne e prima che avesse votato un singolo uomo, il giudice Hoar ha proposto di chiudere i seggi… La decisione ci è parsa perfettamente equa, considerato che noi non avevamo voce in capitolo in nessun’altra questione all’ordine del giorno… Ma ormai abbiamo rotto il ghiaccio, e prevedo che l’anno prossimo i nostri ranghi saranno più nutriti, e quando anche le più timide o indifferenti vedranno che siamo sopravvissute all’impresa, potranno azzardarsi a esprimere pubblicamente le loro opinioni.


30 marzo 1880


(Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2021)

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