19 Giugno 2015

Bada al senso che i suoni baderanno a se stessi

di Gemma Pacella

Riflessioni sul libro La Grammatica la fa … la differenza!
Casa Editrice Mammeonline

 

Ho partecipato attivamente alla nascita del progetto che si è concluso con la redazione di questo libro.

La grammatica la fa… la differenza! non è solo un libro sul linguaggio sessuato, non prova a spiegare cos’è il linguaggio non sessista né tanto meno a dettare regole ottriate su come usarlo. Semplicemente lo pratica. Le filastrocche, le fiabe e i giochi sono stati scritti rispettando il genere grammaticale. E’ rivolto alle bambine e ai bambini di età scolare, negli anni in cui si apprendono le regole della grammatica. Vuole rinforzare la conoscenza della sintassi in relazione al sé, alla consapevolezza del sé sessuato. Raggiunge anche le loro e i loro insegnanti allo scopo di sciogliere alcuni dubbi e fornire loro uno strumento di orientamento pratico, per non scivolare in paradossi sessisti. Naturalmente, l’idea è quella di far emergere la radice sessuata degli aspetti non linguistici, la scelta politica del nominarsi, la cura delle parole, argomenti trattati nell’opuscolo collegato al libro.

L’idea iniziale è scaturita dal desiderio di raccontare del mio rapporto con il linguaggio sessuato. Indagare la mia relazione intima, profonda, cresciuta col tempo, con il linguaggio. L’incipit è stato: voglio significare la mia differenza con un linguaggio diverso.

Non ricordo quando, per la prima volta, ho scelto di utilizzare il linguaggio sessuato. So solo che inizia dal pensiero della differenza, madre del mio indagare. Il linguaggio sessuato è forma della differenza sessuale, una differenza che è corpo, fisico, materia, il cui pensiero si mostra proprio attraverso il linguaggio. La differenza sessuale vuole dirsi, desidera parlare, si vuole significare. E cosa può renderlo possibile se non il linguaggio? Spesso sento dire che il linguaggio sessuato è solo una questione di forma. Il ragionamento non regge di fronte al fatto che la lingua riflette un pensiero che a sua volta riflette il modo di essere, di viversi donna. Le parole indicano la differenza e le danno voce. Il punto è questo: che cosa vogliamo. Se la lingua è veicolo, canale della differenza di genere allora va utilizzata per dare un senso alle parole. Bisogna inventare parole diverse? A volte. Soprattutto è necessario prendere le distanze da quelle a cui siamo sempre state abituate/i, ovvero un linguaggio sessista, tendenzialmente neutrale (in realtà maschile) fatto da e per maschi, in cui, da donna non mi riconosco. Spesso, in passato, avvertivo un forte disagio nell’usare la lingua italiana. Avvertivo la sua estraneità. Col tempo ho capito che il linguaggio riflette un pensiero unico, patriarcale che si è appropriato della forma e del senso delle parole. Carla Lonzi afferma: “Il senso attribuito ad una cosa è sempre stato maschile, a tal punto che se io donna provavo ad attribuirvi il mio senso, paradossalmente la cosa dava ragione, obbediva a lui, al maschio. Perché è sempre stato così”. Il problema sta nell’abitudine, nell’aver subito nel tempo una lingua monca, fossilizzata su suoni, sensi, parole e aggettivi non rappresentativi di una cittadinanza femminile, soffocante anche per quella maschile. Una cittadinanza che è rimasta a lungo intrappolata, perché non la si diceva e nominava. Come insegnano le madri femministe, la conclusione è che ciò che non si dice non esiste. Il mondo ha bisogno di una lingua non più neutrale, non più accondiscendente agli schemi unicamente maschili, non riproduttiva di una gerarchia tra i sessi che non appartiene alle donne. Le madri femministe ancora una volta ci insegnano che le donne non hanno un equivalente della misoginia: non terrorizza il rapporto con il maschio, non si esclude la relazionalità con gli uomini. Allo stesso modo la lingua della differenza non riproduce la gerarchia e la subalternità che gli uomini hanno creato e fomentato nel tempo. Adriana Cavarero in Il potere tra i sessi, intervista Rai, ricorda: “Bianco diverso da nero uguale a bianco meglio del nero; ricco diverso dal povero uguale a ricco migliore del povero; uomo diverso da donna uguale a uomo migliore di una donna”. Ebbene, questa gerarchia non è contemplata in un linguaggio che si fa espressione della differenza sessuale. Un linguaggio non sessista non prevede l’esclusione di uno dei due sessi, non prevede l’ostracismo o l’olocausto di uno dei generi. Bensì li comprende, distinguendoli, entrambi. L’accento va posto sulla differenza. Una differenza che, in forza del suo nominarsi anche nel lessico, crea trasformazioni e civiltà. Il rapporto tra forma e sostanza (genere grammaticale e genere sessuale) è vivo, ricco di possibilità e negoziazioni.

Un’ulteriore conferma di quanto ho appena precisato sta nel fatto che questo volume è anche un libro che lavora sugli stereotipi legati ai ruoli, il che è un lavoro meraviglioso: è meraviglioso dire ad una bambina che da grande farà la medica, sicuramente non farà il medico. Maria Luisa Boccia in La differenza politica afferma che il linguaggio sessuato non significa solo mettere al centro la produzione di idee, la diffusa e crescente attività intellettuale, che pure c’è, né valorizzare le capacità femminili che pure sono pregevoli, ma il linguaggio e il pensiero della differenza può e deve manifestarsi ovunque, in modalità e su contenuti delle diverse discipline.

Ritornando al libro, non è facile utilizzare un linguaggio sessuato, proprio perché non è curato nelle scuole, nonostante l’opera meritevole di tante docenti.

La grammatica la fa… la differenza! non ha l’arroganza di porsi come una specie di bibbia, è uno strumento per poter parlare e lavorare assieme sul linguaggio sessuato. Se questa intenzione fosse rimasta solo un’idea, solo una bella idea senza la forza della condivisione non avrebbe avuto senso. Grazie ad un intreccio di relazioni tra donne e alla competenza indispensabile di Donatella Caione, con la sua casa editrice Mammeonline, questo libro è venuto al mondo e torna nel mondo. La forma (e la forza) del pensiero è diventata corpo, materia. A chi obietta che il linguaggio sessuato è cacofonico, che suona male, rispondo prendendo a prestito le parole di Lewis Carroll in Alice nel paese delle meraviglie: “Bada al senso che i suoni baderanno a se stessi”.

(libreriadelledonne.it 19 giuno 2015)

 

 

 

 

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