25 Maggio 2023

Benedetta Tobagi, La Resistenza delle donne, Einaudi 2022 – Recensione

di Bianca Bottero


Confrontandosi originalmente con una vicenda che lei, giovane donna, ha solo letto nei libri e sentito narrare, Benedetta Tobagi affronta in questo che possiamo definire romanzo/ricerca, due dei topoi che oggi si presentano in modo dirompente, ma sovente distorto, banalizzato, reso, per la troppa enfasi addirittura disturbante: sono il topos del femminismo da un lato e quello della resistenza dall’altro.

Con l’obiettivo, da lei espresso nella recente presentazione del libro il 13 maggio presso la Libreria delle donne di Milano, di «far respirare la storia», Benedetta Tobagi costruisce infatti una sorta di Spoon River al femminile, dove una infinità di donne si affollano, conservando il loro nome e cognome oltre a quello assunto nella resistenza, ma insieme le loro storie di vita, fornite per piccolissimi accenni ma fondamentali a caratterizzarne i moventi, le debolezze, i sentimenti. È uno stuolo femminile che acquista con ciò una concretezza e insieme una sostanza quasi di elemento naturale, mai ideologico, mai banale o ovvio. Né ovvie o banali sono le fotografie, in bianco e nero, piccole, sfocate, che Tobagi ha puntigliosamente cercato e affiancato ai nomi delle donne citate, che sono con volti segnati o ridenti, graziosi o fatali o come si sia; gruppi di donne/natura mi verrebbe da dire, per come si rapportano tra loro, per come, lentamente fioriscono a una vita per loro nuova e insperata di libertà. È così che rileggere nel testo la ricorrente affermazione «Ho fatto quel che dovevo fare» quando, nella fase drammatica del dopo l’8 settembre, migliaia di donne del sud e del nord hanno nascosto, vestito, sfamato i ragazzi soldati, lasciati senza qualsiasi forma di guida da parte dei loro comandanti, fuggiti dalle caserme, lontani da casa, alla mercè della immediata reazione nazista contro i traditori italiani, accende una luce importante su di un mondo, prevalentemente popolare, operaio, contadino, che ha visto e patito le sofferenze della guerra come una sopraffazione, ulteriore rispetto a quella cui da tempo immemorabile sono soggette le classi più umili, ma che non ha comunque smarrito quel dono di umanità che in gran parte lo contraddistingue e che in particolare fa emergere dal misconosciuto, indistinto universo femminile, una formidabile, epica, dignità. È da questa premessa, da questo primo atto di opposizione al sopruso e per la vita, che nasce lo spirito più vivo e vero della futura resistenza delle donne. Che anche in seguito, quando nel centro-nord si costituiranno le formazioni di giovani combattenti, guidate da uomini, si affiancheranno ai gruppi, indossando pantaloni, rompendo i tabù millenari che le volevano in gonne, sfidando anche maldicenze e divieti familiari. E rappresenteranno anche un importantissimo aiuto, col rischio della vita, nel creare collegamenti, nel fornire armi e volantini alle varie bande partigiane, nel dare generosamente cibo, nascondiglio e supporto ai gruppi o ai singoli sbandati.

Ma, come continuamente ripreso e sottolineato da Benedetta Tobagi, pur entro questa gloriosa e anche gioiosa impresa, mai viene meno la convinzione, propria alla millenaria società patriarcale, fortissima in Italia, della ovvia inferiorità femminile. Se solo indicativo è il termine di staffette per le donne che agiscono nei collegamenti, ritenuto più adatto di quello di portaordini utilizzato per gli uomini, più gravi e mortificanti sono le imposizioni di comportamenti e doveri. Così nelle sfilate vittoriose non si vorrà che le donne partecipino, così è giudicato improprio l’abbandono della gonna per indossare i pantaloni, così i mariti rimbrotteranno duramente le mogli per mancanze nei lavori di casa, così lo stesso PCI affonderà le critiche per comportamenti ritenuti troppo liberi… È una situazione alla quale le donne stesse finiscono per assoggettarsi, che addirittura introiettano e alla quale in molti casi tornano a sottomettersi dopo la grande avventura di libertà vissuta nella resistenza.

Ma non tutto è stato solo Libertà: e mi ha fatto sobbalzare in chiusura del libro il ritorno di Tobagi in prima persona, a raccontare un fatto straziante che le pertiene direttamente. È la storia di Virginia Tonelli, una “staffetta”, «…mandata in missione a Trieste dove l’arrestano. Finisce alla Risiera di San Sabba, il lager triestino, l’unico campo di concentramento italiano dotato di forni crematori dove, dopo dieci giorni di torture, a 42 anni viene arsa viva perché si è rifiutata di parlare… Virginia, lo stesso nome della madre di mia madre… Virginia, alias la partigiana Luisa, il nome della mia nonna paterna… con un sorriso che ti regala l’anima, il mio possibile dentro il passato». Benedetta Tobagi, che ha vissuto il trauma dell’uccisione del padre negli anni ’80 da parte di incoscienti “rivoluzionari”, finisce il libro, finora così pacato, in un richiamo appassionato a una spirituale affinità a una donna, una sovversiva, una partigiana comunista dagli occhi ardenti che «trasformava in silenzio l’odio».


(www.libreriadelledonne.it, 24 maggio 2023)

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