28 Marzo 2009
Alias

Casi critici

Ida Dominijanni

L’uomo è in posa, la posa attoriale di un attore senz’anima, costruita e progettata nei dettagli, esaurita nella superficie dell’apparenza senza spessore di profondità interna. Sorride sempre ma con discrezione, l’ottimismo stampato sui denti bianchi. Non fissa l’obiettivo ma lo attraversa, gli occhi alludono a un pensiero lungimirante che punta più in là del presente. Il messaggio è fin dall’inizio ambivalente, di sfida mista a calma e saldezza. Nel corso degli anni la posa si fa più ponderata, pacata, riflessiva, marcando il passaggio dall’imprenditore privato all’uomo pubblico, ma gli ingredienti di base resteranno gli stessi, e l’aroma prevalente sarà sempre quello di una seduzione ammiccante che proviene da un narcisismo alquanto megalomane. È la biografia fotografica di Silvio Berlusconi, che Marco Belpoliti ricostruisce e decostruisce nel suo Il corpo del capo (Guanda, pp. 155, € 12,00), rinvenendo fin nei primi scatti dello chansonnier e del costruttore i germi della strategia del tycoon televisivo fattosi uomo di governo.
II “corpo del capo” sta ovviamente per il “corpo del sovrano”, o più modernamente del leader o del premier. Meno ovviamente però significa anche qualcos’altro. “Corpo” e “capo” sono infatti connessi, nella storia del Politico occidentale, da un doppio nodo semantico e concettuale, che lega per un verso il corpo inteso come corpo politico al capo inteso come sovranità, per l’altro verso il corpo inteso come fisicità al capo inteso come razionalità (si veda il mai abbastanza citato Corpo in figure di Adriana Cavarero, Feltrinelli). Sì che il “corpo del capo”, nel nostro caso, non è solo il corpo di Berlusconi: è anche il corpo politico del berlusconismo; ed è altresì la fisicità che performa la sua razionalità politica. Se a questo si aggiunge che un corpo è sempre sessuato e che la metafora del corpo politico porta sempre, al livello del reale, dell’immaginario e del simbolico, i segni della sessuazione, il gioco si complica ulteriormente.
L’analisi di Belpoliti questa complicazione la intuisce e la tocca con leggerezza, ma non la scioglie laddove richiederebbe più pesantezza. La forza e il limite del saggio stanno entrambi nel registro “segnico” a cui rigorosamente si attiene. Esso perviene a un duplice risultato: restituisce nei particolari la politica dell’immagine di Berlusconi; e colloca la figura di Berlusconi nella cornice di una transizione metapolitica ben più larga di quella del sistema istituzionale di cui si chiacchiera da quindici anni: la transizione dal dominio del senso al dominio del segno e dal regime della rappresentanza al regime della rappresentazione.
Siamo al cuore di problemi cruciali della post-modernità, e collocare il berlusconismo a questa altezza – come dal 1994 fa il filone di studi più serio in materia – ha il merito di fare uscire il ‘caso italiano’ dalla narrativa provinciale in cui spesso ricade.
Ma lo scorrimento dal senso al segno e dalla rappresentanza alla rappresentazione non è univoco, come dimostra la storia del teatro politico moderno prima che postrnoderno. Sulla scia di Baudrillard, Belpoliti ne dà invece una lettura ultima e ultimativa: “La simulazione dello scambio dei segni ha finito per sterminare ogni referenza reale”. Sterminio del reale a opera del suo doppio clonato, cioè della tv e della Rete: la diagnosi baudrillardiana di ormai parecchi anni fa non ha perso nulla del suo valore tendenziale, ma l’analisi storica deve necessariamente complicarla, non fosse altro per non lasciare tutto il gioco in mano a chi della rappresentazione mediatica ha già in mano tutto il potere. Sul fondale del passaggio dal senso al segno e dalla rappresentanza alla rappresentazione, voglio dire, stiamo giocando da svariati decenni tutti, non solo Silvio Berlusconi; e non tutti facendo lo stesso gioco di Silvio Berlusconi. Per questo il gioco non è chiuso, per questo i referenti reali non sono tutti sterminati, per questo il conflitto – politico – sulla produzione simbolica è ancora vivo e non è deciso. Se si perde di vista questo, si rischia di rimanere impigliati nella rete dell'”icona magica” del Cavaliere che si vorrebbe smontare, e di restare lì a fare da fare da specchio al suo narcisismo esentandosi dalla responsabilità di un qualsiasi gesto non rassegnato alla “morte del senso”.
Mi spiegherò meglio, spero, mettendo a fuoco due punti cruciali del saggio di Belpoliti. Il primo riguarda la sequenza Mussolini-Moro- Berlusconi, in cui Mussolini e Berlusconi si collocano in una relazione di continuità – analogo uso del corpo, analoga cura ossessiva dell’immagine, analoga duplicità del messaggio di durezza e familiarità – e Moro è al contrario l’ultimo dei leader senza immagine e senza (uso del) corpo della prima Repubblica (cui seguirà la fisicità già esibita di Craxi). È una sequenza suggestiva e già altrove sondata. Sennonché in essa non ne va solo della politica del corpo fatta dai leader; ne va della percezione sociale di quel corpo, e di corde profondissime che riguardano l’inconscio collettivo e le sue rifrazioni politiche. Chi è la “comunità politica” che, nelle parole di Belpoliti, si riunisce oggi nella piazza televisiva come si riuniva quasi un secolo fa sotto il balcone di piazza Venezia? Quale rimozione del passato la rende disponibile a questa ripetizione? Quale rimozione del “corpo ritrovato” di Moro assassinato le ha consentito di “ritrovare il corpo” di Mussolini in Berlusconi? La potenza della politica del corpo di Berlusconi non spiega l’impotenza del corpo politico di fronte ad essa.
Il secondo punto riguarda l’analisi dell’immagine di Berlusconi come sintomo di un maschile femminilizzato, ex-macho fattosi diva con tutti i trucchi, i vezzi e le ossessioni della diva, dai capelli trapiantati alla chirurgia plastica. “Più Evita che Peron”, ci è capitato del resto di scrivere una volta sul manifesto per dire di un populismo più seduttivo che autoritario, che tenta di incorporare e neutralizzare la rivoluzione femminista riportandola a una modernizzazione del canone tradizionale della femminilità. Belpoliti va oltre e legge Berlusconi come figura del trans: del transessualismo, ma anche della trans-estetica, della trans-economia (la finanza speculativa), della trans-politica (la politica post-ideologica). La scia, questa volta, è quella della denuncia pasoliniana dell’omologazione conformistica della società italiana, unita a quella ancora baudrillardiana del passaggio dall’orgia del godimento sessuale degli anni sessanta-settanta al “dopo-orgia” della simulazione le e virtualizzazione sessuale degli anni novanta. E certo si tratta di due diagnosi che colgono una tendenza reale; ma di nuovo, solo parzialmente. Il “femminile” (che Belpoliti non virgoletta mai, come se la parola fosse autoevidente o corrispondesse alla cosa, ma a quale cosa?) in che relazione sta con il suo referente reale, cioè con le donne in carne e ossa? Per Baudrillard – e Belpoliti – in nessuna,”femminile” essendo solo un segno, o meglio una mascherata, che sta per “la forma trasversale di ogni sesso, di ogni potere, la forma segreta e virulenta dell’a-sesssualità”. Ma qui non è il segno bensì l’ideologia dei due autori a sterminare la realtà. Dalla quale sappiamo viceversa che “femminile” non è il segno del divenire simulacro di tutto, bensì un campo conflittuale di risignificazione della soggettività sessuata, dell’immaginario, del simbolico. Tanto lo sa o lo intuisce Berlusconi, da usare la propria “femminilizzazione” contro certe donne e non certe: Eluana Englaro e Mara Carfagna non escono ugualmente sterminate dalla sua politica, né tutte assistiamo inerti o annichilite ai suoi giochi di seduzione. Né, bisogna aggiungere, nel suo “transessualismo” si riconoscerebbero i trans reali che oggi lottano per il riconoscimento nella sfera pubblica.
Se il reale è sterminato dal segno, e se il segno è un tutto equivalente al nulla, ha ragione Belpoliti: solo la morte del capo ci salverà dal suo mortifero gioco di segni di onnipotenza e immortalità. Ma se fra i segni e la realtà e fra l’immaginario e il reale il rapporto non è di sterminio ma di dislocazioni ed eccedenze, il gioco è aperto, il conflitto simbolico è in corso, e prima della morte può provarci e riuscirci ancora la politica.

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