Stefania Giorgi
Lungo le rive dello Scamandro (i salottini illuminati dai bagliori del focolare catodico dei tiggì), lontano dal Palazzo di Priamo (la Casa Bianca, Downing Streett…), in mezzo a bombe, minacce, bugie e videotape (la guerra infinita di Bush&Co.), la Cassandra di Pat Carra osserva e commenta (con il suo stile inconfondibile) fendendo e diradando il fumo (delle bombe e delle bugie sulle bombe). Veggente non votata alla solitudine della testimonianza senza ascolto, ma alla condivisione con altre donne come lei capaci di «visioni» sulla nuda verità della guerra e dell’economia della guerra; dotata di capacità profetica non per dono divino, ma per la sua perizia, tutta terrena, di legare corpo/esperienza/lingua e svelare così il backstage di quel che accade. Niente paura, però, non pensate a lutti, disperazione, pianti e alti lai. Tremila anni dopo la guerra di Troia per la presunta love story di Elena, il destino toccato in sorte alla sua omonima antenata – la sacerdotessa che pre-vedeva le sciagure, condannata da Apollo a non essere ascoltata e per questo perennemente sull’orlo di una crisi di nervi per non dire di pazzia – la Cassandra di Pat Carra ha imparato la lezione. L’antidoto che usa per smascherare il gioco mortale, pazzo e insensato di guerre «umanitarie» e «preventive» è quello di rintracciare «un tratto umoristico in ogni pazzia. Chi sa riconoscerlo e usarlo ha vinto» (come scrive Christa Wolf della sua Cassandra). Così da Kabul a Baghdad, Pat Carra continua a lanciare quelle che lei stessa aveva definito, durante la guerra in Kosovo, «bombe di riso». Sberleffi sussultori, sghignazzi irriverenti, sorrisi liberatori. Resistente, ignifuga, irresistibile, la sua è una «Cassandra che ride». Che poi sarebbe il titolo del suo ultimo libro (Baldini Castoldi Dalai, € 12,90) dal quale estraiamo alcuni quadretti di china. Un piccolo assaggio di una cura ricostituente di senso che consigliamo per tutti.
14 Dicembre 2004
il manifesto