23 Novembre 2023

Discorso ed Epilogo

di Ingeborg Bachmann


Non varcare le nostre labbra, parola che semini il drago.

È vero, l’aria è soffocante,

la luce schiuma di acidi e fermenti,

sulla palude nereggia un velo di zanzare.

Ama le bicchierate la cicuta.

È in mostra una pelle di gatto:

la serpe s’avventa soffiando, lo scorpione inizia la danza.   

Non raggiungere le nostre orecchie,

fama dell’altrui colpa:

parola, muori nella palude

da cui la pozzanghera sgorga.  

Parola, stai al nostro fianco

tenera di pazienza e d’impazienza.

Bisogna

che questa semina abbia fine! 

Non domerà la bestia colui che ne imita il verso.  

Chi rivela segreti d’alcova, rinunzia per sempre all’amore.

La parola bastarda serve al frizzo per immolare uno stolto.

Chi ti richiede un giudizio su questo straniero? 

Se non richiesto lo formuli, prosegui tu il suo cammino

da una nottata all’altra con le sue piaghe ai piedi: va’! e non ritornare.

Parola, sii nostra, libera, chiara, bella.

Certo, dovrà avere fine ogni cautela. 

(Il gambero si ritrae,

L’ala talpa dorme troppo,

l’acqua dolce dissolve

la calce, che pietre ha filato).

Vieni, benevolenza fatta di voci e d’aliti,

questa bocca fortifica

quando la sua fralezza

si inorridisce e inceppa.

Vieni e non ti negare.

poiché in conflitto siamo con tanto male.

Prima che sangue di drago protegga l’avversario

questa mano cadrà dentro il fuoco.

O mia parola, salvami!


(1953)


(in Poesie, di Ingeborg Bachmann, a cura di Teresa Mandalari, Guanda 1978)

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