di Franca Fortunato
La pratica della maternità surrogata ha avuto inizio nel 1976 negli Stati Uniti, quando una donna si rese disponibile a partorire gratuitamente per altri. Un’altra nel 1980, accettando di essere pagata, ha dato inizio alla “maternità surrogata commerciale” di cui poi si pentì per le conseguenze negative sulla sua vita e divenne un’attivista per la sua abolizione. È da qui che inizia il libro Per l’abolizione della maternità surrogata a cura di Marie-Josèphe Devillers, attivista dei movimenti lesbici, e Ana-Luana Stoicea-Deram, attivista per i diritti delle donne. Il libro raccoglie scritti, contributi e testi di donne di ogni parte del mondo e di un uomo gay, attivista per i diritti dei gay, con l’obiettivo di “passare il testimone tra generazioni, paesi e continenti”. Con l’avvento della maternità surrogata, negli Stati Uniti inizia la lotta delle femministe radicali per la sua abolizione. Una lotta che continua al presente. Nel 2015 nasce la “Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata” (CIAMS). Una coalizione globale come lo è diventato il mercato dell’industria della maternità surrogata, utero in affitto o gestazione per altri (GPA), con profitti crescenti per agenzie, cliniche, medici, laboratori, avvocati, intermediari, case farmaceutiche. Si stima che entro il 2025 raggiungerà a livello mondiale i 27,5 miliardi di dollari. Che cos’è la maternità surrogata? È innanzitutto il controllo patriarcale del corpo riproduttivo delle donne con gli uomini che ne gestiscono il mercato e le tecniche di riproduzione il cui traguardo è un “utero artificiale” per lo “sviluppo di un essere umano fuori dal corpo materno” in un mondo senza madri. In quali Paesi è legale e in quali no? Quali i rischi, a breve e a lungo termine, per le “madri surrogate” e le donatrici di ovuli, per lo più giovani, per la somministrazione di pericolosi farmaci ormonali? Domande che nel libro trovano risposte. Che libertà è se una donna, che non desidera diventare madre, si mette a disposizione, dietro pagamento con un contratto formale o meno, “per portare avanti una gravidanza con l’obiettivo di separarsi dal bambino alla nascita, per consegnarlo alle persone che le hanno chiesto di darlo alla luce”, un bambino sano? Che libertà è sottostare alla violenza di distaccarsi emotivamente dalla creatura che si nutre e cresce attraverso la placenta e il sangue della madre naturale? Che libertà è essere disponibili a farsi “vasi vuoti”, “contenitori” di spermatozoi e ovociti assembrati in embrioni da selezionare e testare, facendo scomparire “la donna incinta e il parto”, la relazione madre figlia/o, la madre naturale? È una “libertà spazzatura” al servizio di un’industria che sfrutta le donne e le trasforma in macchine per partorire. “Noi nasciamo, non siamo fabbricati, e nasciamo da una donna”. Si può donare, vendere, un essere umano a “clienti” che hanno il potere di pagare: uomini gay, donne o lesbiche sterili che pensano che il loro desiderio di avere un figlio sia un loro diritto – così non è – e lo vogliono a ogni costo? Come siamo arrivati a questo punto? Dove stiamo andando? Domande esistenziali per noi donne, per le creature nate con questa pratica, che prima o poi scopriranno di essere state comprate e private senza necessità della madre naturale, per l’umanità intera. Domande a cui i vari scritti danno una risposta, rompono lo stereotipo della “madre surrogata felice e altruista” e mettono a nudo la pratica della maternità surrogata perché, al di là se “sia forzata o volontaria, se le donne abbiano o meno il “diritto”, la “libertà”, di vendere il proprio corpo”, è la pratica in sé che è inaccettabile e va abolita. Un libro che fa riflettere e dà consapevolezza.
(Il Quotidiano del Sud, rubrica “Io, donna”, 13 luglio 2023)