26 Gennaio 2006
CORRIERE DELLA SERA

Elogio della follia di Plaza de Mayo

Claudio Magris

Erasmo da Rotterdam includerebbe certamente le madri argentine di Plaza de Mayo nel suo Elogio della follia e non solo perché, quando hanno iniziato la loro incredibile, indomabile battaglia per i loro figli e per tutte le trentamila persone fatte sparire durante la dittatura militare, le chiamavano «las locas», le pazze. Umanista razionale, Erasmo celebrava non già le oscure pulsioni irrazionali né i deliri totalitari delle idee assolute, bensì l’autentica ragione ossia la pienezza della comprensione, che include i concetti come i sentimenti e le passioni. Questa ragione si oppone sia all’irrazionalità viscerale sia al gretto calcolo falsamente realista che considera immutabile la realtà del momento e si piega a essa. La vera ragione, che non si arrende alle cose, è sempre «follia» – come il cristianesimo per San Paolo – agli occhi di chi si inchina al male ritenendolo inevitabile; ad esempio, agli occhi dei pretesi realisti che, nel settembre o nell’ottobre del 1989, pensavano che il muro di Berlino dovesse continuare per chissà quanti anni. Le madri di Plaza de Mayo costituiscono un esempio straordinario non solo di coraggio, umanità e libertà, ma anche di grandioso e razionale realismo politico, come documentano l’eccellente libro di Daniela Padoan e altre testimonianze della loro vicenda. L’esempio di una «follia» che è chiara, intrepida e amorosa intelligenza delle cose, posta al servizio dell’universale umano. Dopo il golpe del 24 marzo 1976, che instaura la dittatura militare in Argentina, veri e presunti oppositori – circa 30.000 – vennero fatti sparire, talora insieme agli avvocati che li assistevano, in un’orgia di criminalità e nell’eclissi di ogni certezza del diritto, che colpiva pure persone inizialmente non avverse a un governo autoritario.
La storia di quelle infamie, di quelle torture, di quelle eliminazioni, di quelle complicità con gli aguzzini è nota ed era stata denunciata allora, con particolare forza, da Giangiacomo Foà sul «Corriere ». Non c’è che da scegliere. Il segretario di Stato americano Kissinger esorta la giunta militare a «portare presto a termine il lavoro» e non si preoccupa dei diritti umani «citati fuori contesto». La Chiesa, come spesso in tali situazioni, mostra due volti: quello indegnamente neutrale o compiacente di una parte della gerarchia – compreso il nunzio apostolico monsignor Laghi – e di certi cappellani più benevoli con i torturatori che con i torturati, e quello dell’impavida carità cristiana di altri sacerdoti, fra i quali ad esempio padre Longueville e padre de Dios Murias o i vescovi Angelelli o Ponce de Léon, vittime dell’efferata violenza contro cui avevano levata alta la voce, come monsignor Romero o i sei gesuiti a San Salvador, forse ora dimenticati nelle beatificazioni ecclesiastiche, ma – come il baccello sepolto nella fiaba di Andersen – non certo dimenticati da Dio.
Tutto questo è storia, nota anche se rimossa o scordata. La resistenza delle madri non nasce quale movimento politico, bensì da un’elementare universalità umana; si tratta di donne di diversa estrazione sociale, ma perlopiù modesta, cresciute e formatesi tradizionalmente nei valori familiari, nel rispetto dell’autorità e nel desiderio di un normale ordine sociale che permetta una normale vita quotidiana. Quando i loro figli iniziano a sparire, in un’assenza e in un’incertezza più angosciose della morte, il loro amore materno non si piega e non si rassegna; non si limita alle lacrime ma trova gli artigli ed esse iniziano la loro ricerca, la loro lotta indomabile. Come Antigone, si ribellano alla legge iniqua (o meglio alla selvaggia anarchia, perché ogni violenta tirannide è caos e disordine) che nega i fondamentali valori umani.
Nelle testimonianze – e, prima ancora, nella prassi – di queste donne la maternità non rimane allo stadio di strazio viscerale, di lutto privato. Queste donne scoprono che la loro tragedia personale è un tassello di una criminale tragedia collettiva; che non solo il figlio dell’una o dell’altra, ma migliaia di persone sono state fatte delittuosamente sparire. L’immediato sentimento materno si universalizza, diviene chiaro concetto della responsabilità più generale. Ognuno di quegli scomparsi diventa allora il loro figlio, così come ogni vittima è realmente il fratello di ognuno di noi, perché sempre si tratta del nostro destino comune e tanto peggio per chi, prigioniero di un’ottusa aridità o di una confusa pappa sentimentale, non se ne accorge e non si accorge dunque di lavorare alla propria rovina. Quando si è portato un figlio in grembo – dice una delle madri, Hebe Bonafini – lo si porta per sempre. Queste donne non la danno vinta alla morte, smontano la sua falsa aureola di potenza invincibile; i loro figli – ripetono – sono vivi, continuano a far parte della storia del mondo e quei trentamila sono tutti figli di ognuna di loro.
Come Antigone, anch’esse arrivano spontaneamente all’azione politica dall’universalità dei valori e dei sentimenti umani violata dalla politica, dalla perversione della polis , della vita comune. E svolgono un lavoro politico di un’incredibile lucidità, concretezza, efficacia, che non fanno pensare ad alcun patetico mammismo, bensì alla logica di Clausewitz o all’astuzia degli eroi brechtiani. A ogni mossa della repressione rispondono con una tattica flessibile e inventiva; se la polizia vieta loro di radunarsi, obbediscono all’invito di circolare e così inizia la loro leggendaria marcia; se punta contro di esse i fucili, gridano allegramente in coro «Fuoco!». La censura viene aggirata da una geniale guerriglia pacifica e inafferrabile: diffondono nel Paese ignaro le notizie dei crimini del regime, scrivendole sulle banconote che circolano ovunque o su fogli infilati nei messali o inframmezzandole, in riunioni di massa, nella recitazione ad alta voce di preghiere che nessuno osa interrompere; intimoriscono assassini e complici con le loro pubbliche, corali denunce.
Dopo le madri di Plaza de Mayo è impossibile ripetere le patacche sulle donne magari più capaci di passione e sentimento degli uomini, ma meno dotate di logica o meno portate all’universalità del concetto: è la loro azione politica che rivela una straordinaria razionalità, una chiara visione generale capace di tradursi in corretta prassi, mentre in questa vicenda sono spesso gli uomini – i padri, i mariti – a rivelarsi timorosi, succubi degli eventi, prigionieri di stati d’animo coatti e pronti a infiammarsi per il campionato mondiale di calcio più che a inventare creative e razionali forme di lotta per i loro figli. Antigone non solo ama, ma anche ragiona meglio di Creonte.
Nei momenti più drammatici della loro protesta le madri furono ascoltate da pochi – perfino Giovanni Paolo II, cui pure la devozione a Maria avrebbe dovuto aprire gli occhi, le ricevette con un’aridità che non è fra i momenti migliori della sua vita. Uno dei pochi a dimostrarsi realmente sensibile, oltre al console italiano Enrico Calamai, fu Pertini, il quale fra l’altro inchiodò i generali, dicendo che essi mentivano – e non potevano far altro – ma nel loro cuore avrebbero preferito difendere il loro onore di soldati sul campo di battaglia anziché infierire su oppositori inermi, e togliendo così loro ogni possibilità di risposta, giacché non potevano ammettere né di mentire né di preferire la tortura di indifesi al rischio della battaglia.
Queste madri ora sono nonne, molte di esse gagliarde nonagenarie; hanno marciato ogni giovedì come allora ma, libere da ogni spirito vendicativo, senza guardare al passato bensì alla vita, prendendo iniziative di ogni genere e rispondendo a necessità di oggi, aggiornandosi tecnologicamente, rifiutando ogni ideologia populista e indigenista e ogni confuso terzomondismo; a conferma della loro distanza da ogni visceralità, criticano il disegno di strappare ai genitori adottivi, ai quali erano stati affidati senza saperlo, alcuni orfani di vittime del regime. Vivono in amicizia e in allegria; se l’età a poco a poco le pensiona, hanno lasciato il segno. È proprio vero che, come sta scritto nel Vangelo, chi si preoccupa di salvare la propria vita la perde e chi è pronto a perderla la salva e salvare l’anima salva pure la vitalità. Di queste madri, nonne, figlie, amiche ci sarà sempre bisogno, perché, dice un verso di Brecht, il grembo da cui è nato il male che esse hanno combattuto è sempre e dovunque fecondo.

I libri: Daniela Padoan, «Le pazze. Un incontro con le madri di Plaza de Mayo», Bompiani, pagine 423, 9,50;
«Non un passo indietro! Storia delle Madres de Plaza de Mayo» (pagine 190) e «Il cuore nella scrittura. Poesie e racconti del laboratorio di scrittura delle Madres de Plaza de Mayo» (a cura di D. Padoan, pagine 91) entrambi pubblicati dalle Ediciones Associación Madres de Plaza de Mayo;
Piera Oria, «Dalla casa alla piazza», ed. Cuec, pagine 128, 11,50

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