30 Settembre 2021

Emily Dickinson. Intervista a María-Milagros Rivera Garretas

di Luciana Tavernini


È uscita finalmente in italiano la biografia Emily Dickinson. Vita d’Amore e Poesia, scritta soprattutto per le giovani da María-Milagros Rivera Garretas, arricchita con sette delicate e originali illustrazioni a colori dell’artista Maria Vittoria Sesta e pubblicata da VandA.edizioni, casa editrice che ci sorprende per il sempre più ricco catalogo di libri e traduzioni che dal femminismo aprono prospettive per tutte e tutti.

L’autrice, ora docente emerita dell’Università di Barcellona in cui ha insegnato per decenni, cofondarice nello stesso ateneo dal 1982 del Centre de Recerca de Dones Duoda e poi della rivista Duoda, è autrice di decine di saggi e libri, tradotti anche in catalano, inglese, italiano e tedesco. Ha creato forti legami tra il femminismo italiano, spagnolo e latino americano con moltissime iniziative, di cui si può avere idea visitando la sua pagina web: www.mariamilagrosrivera.com

Conoscevo il lavoro suo e di Ana Mañeru Méndez di traduzione in spagnolo di tutte le poesie di Emily Dickinson e il CD con la loro lettura, pubblicato in tre raffinati volumi.1 Conoscevo l’originale riflessione sulle loro modalità di traduzione, presentate nel saggio pubblicato dalla rivista delle filosofe di Diotima Né inglese né spagnolo: tradurre la poesia di Emily Dickinson. (“Per amore del mondo” N. 15, 2017).

Dunque ho accolto con fiducia e piacere, e ho voluto tradurre, la biografia che mi ha aperto strade di accesso anche alle poesie più misteriose.

Questo piccolo libro introduce a un itinerario di scoperta di sé attraverso la narrazione della vita di Emily Dickinson e di alcune sue poesie di cui possiamo leggere il testo tratto dall’edizione critica di Franklin. Offre delle linee di lettura che aprono alla comprensione di come in ogni poesia ne siano stratificate altre. Milagros, grazie alla sua grande cultura che spazia in vari ambiti e tempi, collega le vicende della vita di Emily a riflessioni di filosofe come Simone Weil e María Zambrano, a figure storiche come quelle delle murate medievali, a diverse immagini artistiche come la Transverberazione del Bernini e lo fa con un linguaggio che unisce delicatezza e precisione.

Attraverso il libro le giovani hanno la possibilità di incontrare una selezione di poesie, sia nel testo originale sia tradotte dalla poeta e traduttrice Loredana Magazzeni. Come lei stessa racconta nella presentazione del libro alla Libreria delle donne visibile su youtube, ha seguito il metodo di Rivera Garretas, con cui si è confrontata, che «ha avuto come presupposto proprio l’allontanamento da qualunque tentativo di addomesticare quanto di selvaggio, rivoluzionario, anticonformista e misterico risiedesse nella scrittura di Emily, depotenziando ogni sforzo di razionalizzazione e imbellettamento della traduzione a favore di un potenziamento, invece, della libertà nel dire, anche quando questo sfugge alla logica più tradizionale del verso».

Delle poesie viene suggerita un’interpretazione che incoraggia a trovare la propria forma espressiva perché tutto possa essere detto, incoraggiamento necessario proprio in quell’età dove si corre il rischio di ridurre al silenzio la propria voce più autentica.

Sulla generazione del libro ho intervistato l’autrice che con le sue riflessioni arricchisce la nostra esperienza come lettrici.

Dopo aver tradotto in spagnolo per dieci anni con Ana Mañeru Méndez tutte le poesie di Emily Dickinson, hai scritto questa intensa ed essenziale biografia, dove apri alla comprensione di alcune poesie insieme a momenti cruciali della vita della poeta con un modo al tempo sicuro e colloquiale. Qual è stato il percorso che ti ha portato a questa scrittura?

La prima cosa che ho dovuto fare per scrivere questa biografia è stata ignorare uno dei più grandi divieti della violenza ermeneutica universitaria, che è la proibizione di tenere insieme vita e scrittura, esperienza vissuta e le parole per dirla, mie e dell’autrice studiata. Il che non vuol dire che altre non l’abbiano fatto prima di me, ma che bisogna decidere ogni volta se farlo o fare invece pensiero del pensiero. La violenza ermeneutica divide, separa, classifica; la lingua materna tiene insieme tutto, senza mescolarlo, perché il vissuto e la scrittura sono due cose diverse, non coincidono mai. L’una illumina l’altro, sì, ma sempre in tensione e in perdita. Nella scrittura di questo libro, sostenere questa tensione, la tensione creatrice, è stato particolarmente difficile. Perché tanto la vita quanto la scrittura di Emily Dickinson, tanto il piacere più eminente quanto il dolore che annienta, tanto le poesie quanto le lettere, dislocano tutto, da ciò che è più piccolo a ciò che è più grande, dall’insopportabile che lei sopportò per Amore, amore di una donna, all’impensabile che lei riesce sempre a dire, e dire in bellezza e perfezione. Per me, nella tensione creatrice, la guida è stata la sintassi, l’umile sintassi, garante del senso, che nella scrittura di Emily Dickinson non si perde mai, persino se non capisci, persino nei suoi famosi spasimi, “scrittura spasmodica” l’hanno chiamata i suoi critici, ammiratori controvoglia che probabilmente non hanno avuto mai un vero spasimo nella loro vita.

Dopodiché ho dovuto praticare la passività: la passività che concepisce, che può concepire grazia. Voglio dire lasciarmi dare da lei, dalle sue poesie, dalla sua non punteggiatura o punteggiatura in altro modo, senza pormi domande, senza propositi, senza rigore, senza politica, senza princìpi, pronta a sperimentare la sensazione che quelle parole e quella sintassi ti possono fare scoppiare la testa. Niente di eroico, niente, sapere soltanto che dovevo adeguare me alla sua comprensione, non la sua comprensione alle mie capacità. Mi hanno aiutato le esperienze vissute nei rapporti con le mie nipotine e anche alcuni film per ragazze. E soprattutto mi ha aiutato la fedeltà, la fedeltà totale alle sue parole; penso che la fedeltà, la dedizione, siano spesso assenti nelle interpretazioni della vita e della scrittura di Emily Dickinson ancora oggi, o forse ancora di più proprio oggi.

Nella biografia scrivi del dolore dell’incesto, un delitto e i suoi “Confini di dolore”, che hai scoperto attraverso diverse poesie, ventitré delle quali con Ana hai tradotto e raccolto nel libro Ese Día sobrecogedor. Poemas del incesto (Sabina editorial, Madrid 2017), il cui titolo è tratto dal verso “Since that appalling Day”, da quel Giorno terrificante, spaventoso, della poesia 331 “The only Ghost I ever saw”. Sono poesie che come dici nell’introduzione a quel libro, mostrano i confini di dolore per il senso di terrore e disagio che fanno sentire, prima ancora di poterli comprendere. Del resto in una lettera a Higginson del gennaio1874 Emily scrive del Terrore a cui andava incontro a casa, “ma il Terrore era preferibile al nulla”.

Tu in questa biografia riesci a rivelare l’incesto con la delicatezza con cui si può farlo con ogni ragazza o ragazzo in modo che non si facciano pietrificare dal dolore attraverso l’indifferenza ma mantengano il contatto col loro sentire, continuando ad avere fiducia nella possibilità delle parole di esprimere la propria esperienza. Come hai potuto parlarne e perché si ha paura a parlarne, anche se ultimamente in diversi paesi sempre più donne prendono la parola pubblicamente e ne scrivono, come sta accadendo in Francia con il #MeTooInceste?

Gli studiosi non nominano quasi mai l’incesto del padre e del fratello, sofferto da Emily Dickinson e da sua sorella Lavinia.

Non lo nominano perché non vogliono.

Non è compito loro far finire il patriarcato, non è compito loro portare alla fine se stessi e il proprio modo di vita, fondato sul contratto sessuale.

Le studiose non nominano quasi mai l’incesto perchè non possono. Candela Valle Blanco, nel saggio “Dire l’indicibile. Ascoltare il vero”, ora disponibile in italiano nell’ultimo numero della rivista delle filosofe di Diotima (http://www.diotimafilosofe.it/larivista/dire-lindicibile-ascoltare-il-vero1/), ha scritto che la responsabilità dell’incesto è indirettamente della madre, perché spetta a lei la cura e la protezione della figlia: l’incesto è responsabilità femminile. Se in quanto donne non ci prendiamo questa responsabilità, facendo a meno, per esempio, della vaginalità, nel senso anticipato mezzo secolo fa da Carla Lonzi, poco o niente resta da dire: leggi, pena capitale o meno, discorsi, morale, urla, non servono a niente. Stiamo irresponsabilmente zitte.

Perciò un capitolo del libro è dedicato a questa grande sofferenza, forse la più grande nella vita di Emily Dickinson. Ho cercato di scrivere questo capitolo quasi con tenerezza, come mia madre ci insegnava a riconoscere, e fuggire, dai pedofili che avremmo trovato per strada andando a scuola da sole, e non sbagliò, anzi. O come insegna la stessa Emily Dickinson: ho tentato di dire la verità, ma di dirla obliqua, slant.

Ma l’incesto va detto, senza tregua, sempre, e va sempre creduto. Emily Dickinson lo fa. Grida in una delle poesie più oscure, la 673, My Message – must be told –, Il mio Messaggio – deve essere detto –. E lei lo dice dice fra sperperi d’Oro masiccio, Diamanti e Pietre Preziose, perché la bambina che ha patito l’incesto va guarita solo con sperperi d’Amore, d’Oro, Diamanti e Pietre Preziose, sprechi che riapriranno il suo sentire originario e la sua anima corporea alla purezza e al bianco dove lei era stata messa al mondo nell’abbondanza. Per questa ragione sul libro l’unica poesia dedicata all’incesto, la 307, parla del bianco, il colore della redenzione della sofferenza e del piacere clitorideo, piacere puro, casto, senza penetrazione, senza dolore.

Dedichi un capitolo all’amore tra Emily e Susan che diventerà sua cognata, la sua maggiore corripondente per ben 36 anni a cui Emily dedicò per quanto conosciamo 276 poesie e a cui scrisse moltissime lettere pubblicate in Open me Carefully. Emily Dickinson’s Intimate Letters to Sue Huntington Dickinson, da Ellen Louise Hart e Martha Nell Smith (Paris Press, 1998). Sue fu l’amica a cui riferirsi, quella che permette di trovare il tu incarnato femminile a cui offrirsi e da cui ricevere misura, smentendo l’idea della genialità solipsistica. Tu riesci a dare l’idea della ricchezza di questa relazione in cui l’anima corporea di entrambe fu coinvolta. Puoi parlarcene?

Emily Dickinson fu una donna clitoridea, lo sapeva e lo diceva. Io non conosco nessun’altra creatrice che abbia inventato tantissimi modi di dire e di far sentire l’amore fra donne e il piacere clitorideo, in se stesso e senza limiti. Si potrebbe nominare Georgia O’Keeffe fra le pittrici, senz’altro, però in verità no, a mio parere. Emily Dickinson riesce a ispirare in te quello che non sapevi né avresti imparato altrove, non si limita a trovare la bellezza somma per quello che bene o male già conosci. Lei fu in realtà una scrittrice mistica, cosa finalmente dicibile apertamente oggi perché noi donne non confondiamo più la mistica con le religioni monoteiste; sapiamo invece che mistica è Amore, è politica, è Mistero; e Amore è sempre piacere, piacere clitorideo (non ho mai sentito parlare di mistica associata con la penetrazione, al massimo si parlava di “erotica del potere”). Emily Dickinson concepisce concetti senza fallo, senza confini né contorni, senza macchia; ogni sensualità concreta, un Emisfero, e la donna concreta, Signora della Casa, hera, l’hera prepatriarcale e non-patriarcale nel patriarcato. In questo senso è mistica: fu capace di concepire grazia. Come Susan Dickinson concepì corpi, fu madre, senza coito. L’hera è letteralmente la Signora della Casa e, dalla casa, del Mondo: la donna che sa che la sua indipendenza simbolica non dipende dagli uomini né da antinomie sociali come pubblico / privato, ma da Amore, dalla libertà femminile e dalla frequentazione del Mistero.

Emily Dickinson riesce a esprimersi così, a concepire grazia con le parole, perché -sostengo io – conobbe il segreto della mistica beghina medievale, l’unione mistica nel piacere che cercavano nelle loro celle vicine al cielo le murate dell’Europa feudale. Emily conosceva il mistero e il piacere intenso de le Loingprès, la Lungiprossima, la Divina Presenza, Amore, Lontana e Vicina alla distanza opportuna. Nel suo caso, la distanza opportuna fu segnata, rispetto alla lontananza, da un sentiero, una siepe, un gradino di lava e la porta sochiusa che separavano la casa di Emily, chiamata The Homestead, dalla casa di Susan, chiamata The Evergreens; e rispetto alla vicinanza, fu segnata dalla passione e dalla sorellanza che le univa, e dal difficile patto a tre fra Susan, Emily e il fratello Austin.

Nella biografia sviluppi il tema dell’ispirazione e dell’esperienza di essere visitate da lei, di come nasce il pensiero dell’esperienza, riuscendo a rivelare cose che interessano chi le dice o scrive e chi le ascolta o legge. Sottolinei la modalità di fare poesia che rivoluzionò le regole linguistiche e compositive della sua epoca perché lei potesse scrivere ciò che veniva scoprendo ed era necessario che lei portasse nel mondo. Perché hai dato così tanta importanza a questo tema in un libro dedicato soprattutto alle e ai giovani?

Nel libro ho tentato anche d’insegnare un po’ alle ragazze la scrittura, la scrittura femminile come ispirazione e come mestiere. A scuola e all’università si insegna a scrivere al maschile o al neutro, valutando la verità oggettiva, verità, secondo la scuola e l’università, che in realtà non esiste. Una ragazza o una donna che ama la scrittura soffre in modo particolare questa contraddizione sulla verità propria della violenza ermeneutica universitaria. Perché la scrittura femminile è in primo luogo, secondo me, scrittura ispirata, che parte da sé e si conette col prima di sé, con la genealogia materna della Trinità Femminile delle Tre Madri e delle Tre Marie, con le loro voci ascoltate come vera profezia, di fili sondati nel profondo, di parole e frasi letteralmente dettate se una sa e desidera ascoltare. Emily Dickinson insegna a farlo, ad ascoltare fedelmente. Lei scriveva sopratutto di notte, fra mezzanotte e l’alba, tempo di contemplazione, di silenzio, senza interruzioni, non soltanto perché aveva molto da fare di giorno – nelle lettere si lamenta del lavoro domestico, che non le piaceva – ma sopratutto per essere pronta alla Visita, se arrivava, dell’ispirazione, del Mistero. Forse una delle poesie meno capite e più impattante se capita, efficace e indimenticabile, è la 764, My Life had stood – a Loaded Gun –. Insegna alla scrittrice o apprendista scrittrice a riconoscere l’ispirazione poetica quando arriva, ad attenderla, ad affidarsi a lei, a guardare, trovare e custodire dentro di sé le parole per dire quello che va detto da lei e non è stato mai detto prima: a proseguire senza paura, indifferente ai mandati o alle regole degli uomini e della cultura. Senza nostalgia del dolore del patriarcato.


María-Milagros Rivera Garretas, Emily Dickinson. Vita d’Amore e Poesia, trad. dallo spagnolo di Luciana Tavernini, trad. delle poesie dall’inglese di Loredana Magazzeni, illustrazioni di Maria Vittoria Sesta, VandA.edizioni, Milano 2021, pp. 120, E. 13,00


(Leggere donna, N. 192/ luglio-agosto-settembre 2021, pp. 34-38)


1 Emily Dickinson, Poemas 1-600. Fue – culpa – del Paraíso, prefazione, traduzione e lettura delle poesie in spagnolo di Ana Mañeru Méndez e María-Milagros Rivera Garretas, Madrid, Sabina editorial, 2012, 940 pagine. + CD formato mp3; Emily Dickinson, Poemas 601-1200. Soldar un Abismo con Aire – , prefazione, traduzione e lettura delle poesie in spagnolo di Ana Mañeru Méndez e María-Milagros Rivera Garretas, Madrid, Sabina editorial, 2013, 778 pagine. + CD formato mp3; Emily Dickinson, Poemas 1201-1786. Nuestro Puerto un secreto, traduzione e lettura delle poesie in spagnolo di Ana Mañeru Méndez e María-Milagros Rivera Garretas, con la postfazione di MariaMilagros Rivera Garretas, Madrid, Sabina editorial, 2015, 640 pagine + CD formato mp3.

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