25 Febbraio 2008
il manifesto

Gocce di veleno femminile al filtro di Kirino Natsuo


Costretta a firmare i suoi esordi efferati con uno pseudonimo maschile, l’autrice di “Grotesque”, appena tradotto da Neri Pozza e ispirato a un caso che suscitò scalpore negli anni ’90, attinge sia alle ossessioni del moderno Sol levante per le donne criminali, sia alla tradizione datata all’inizio dell’era Meiji, quando spopolavano racconti tratti dalla realtà ma letterariamente esagerati e abbelliti
Tommaso Pincio

Oniyome è giapponese. Vuol dire “moglie demoniaca”, più o meno. L’espressione è diventata assai popolare quando un trentenne della prefettura di Fukuoka ha aperto un blog per raccontare quel che lo attende ogni sera, rientrando dal lavoro. Cose così: non ha neppure varcato la soglia di casa che quel demone della sua dolce mogliettina gli impone di uscire di nuovo per andare a comprare qualcosa in un discount in capo al mondo. Fuori diluvia e lui è bagnato fradicio.
A lei non interessa, deve andare lo stesso. Portata a termine la missione, l’uomo si siede a tavola e il demone del focolare gli sbatte davanti gli avanzi della figlia di due anni. Lui mangia in silenzio, stando pure attento a non starnutire perché se lo sente sua moglie, stanotte gli tocca anche dormire in cucina. Il demone non si vuole certo beccare il raffreddore per causa sua. Tra un boccone e l’altro, salta fuori che è arrivato in città il Cirque du Soleil. La demoniaca metà ha bisogno che domani lui compri tre biglietti. Tre? Sì, uno è per lei, gli altri due per i suoi genitori. Lui resta a casa a badare alla bambina.
Dalla una vena antica
In breve tempo, quel che doveva essere un semplice sfogo si rivela una miniera d’oro. Dopo soli quattro mesi di confessioni, Kazuma – questo il nickname scelto dallo sventurato marito – si vede piovere dal cielo un premio di oltre un milione di yen per l’impressionante quantità di contatti che il blog riceve ogni giorno. In buona parte si tratta di sodali, uomini che si riconoscono in lui. Ma ci sono anche molte rappresentanti del sesso opposto, donne che si esaltano alle gesta della moglie demone. Il successo è tale che il blog diventa prima un libro, poi un serial televisivo, poi un videogioco e naturalmente un manga. Soldi e fama hanno forse cambiato la vita di Kazuma? Neanche per sogno. È sua moglie che gestisce le finanze, per cui di tutti quei soldi non ha finora visto un centesimo. Per giunta, la necessità di trovare nuovi spunti per il blog gli impone di non sottrarsi alle vessazioni domestiche. La vecchia storia del serpente che si morde la coda.
E visto che parliamo di donne e serpenti, tanto vale citare quel che dice in proposito il regista Shinya Tsukamoto: “Quando penso a una donna, la immagino con un serpente che le vive dentro”. Anche questa è una vecchia storia. Le emancipate e spietate eroine che furoreggiano nell’immaginario pop giapponese non sono una novità postmoderna. Da sempre, infatti, il desiderio di una donna dolce e sottomessa si accompagna al suo contrario. L’idea che la bellezza femminile possa assumere connotati demoniaci e soggiogare l’uomo fino ad annientarlo ha ascendenze lontane. In un famoso racconto di Kyoka Izumi datato 1900, un monaco pellegrino si imbatte in una sorta di donna vampiro che trasforma gli uomini in animali succhiandogli il seme anziché il sangue. Non meno celebre è il romanzo breve di Tanizaki Junichiro dove un giovane rimane per sempre stregato dalla vista di una ragazza di straordinaria avvenenza che acconcia il cranio mozzato di un samurai. Ma la cosa più interessante è che queste femmine fatali, benché frutto di morbose fantasie maschili, si rifanno tutte, per un verso o per l’altro, a un personaggio inventato da una donna vissuta mille anni fa, Murasaki Shibuku, dama della Corte imperiale.
Nella sua Storia di Genji, da molti considerato il primo romanzo in assoluto della letteratura mondiale, un ruolo importante è occupato dalla dama di Rokujo. Costei è talmente gelosa e forte di carattere da riuscire a trasformarsi in spirito e prendere possesso del corpo delle rivali per annientarle. Il fascino perverso della sua furia distruttrice ha attraversato i secoli ispirando racconti e drammi teatrali. Per lungo tempo, però, solo agli uomini è stato concesso di dar vita alle epigoni della dama di Rokujo, giacché dopo il XII secolo le donne furono di fatto bandite dalle letteratura. Tornarono a far sentire la propria voce solo agli inizi del Novecento quando un gruppo di attiviste fondò Seito, una rivista letteraria tutta al femminile il cui motto era: “In principio era la donna”. Nell’editoriale, Hiratsuka Raicho scriveva: “Sono una donna nuova. In quanto donne nuove noi insistiamo da sempre sul fatto che anche le donne sono esseri umani”.
Una lampante verità che ha avuto non pochi problemi a essere accettata. Famoso è il caso di Kitagawa Kiyoko che nel 1965 si rifiutò di licenziarsi perché incinta. Il capo l’apostrofò dicendole che persino i cani crescono i loro piccoli. Se avesse lasciato il figlio all’asilo per recarsi al lavoro, si sarebbe dimostrata pertanto inferiore a un cane. Questa impeccabile quanto aberrante logica sopravvive ancora, tant’è che una sentenza emessa nel luglio 2000 dalla corte distrettuale di Osaka per una causa intentata da un gruppo di lavoratrici recita così: “La divisione del lavoro in categorie maschili e femminili viola l’art. 14 della Costituzione ma non è in conflitto con l’usanza comune. Di conseguenza non si vede la necessità di discutere il problema in ambito giuridico”. Una versione sessista del famigerato comma 22, in pratica.
Il blog di Kazuma, senza volerlo, ha messo in discussione il conservatorismo maschile facendo della moglie tirannica e prepotente un’icona da femminismo pop. In seguito al suo successo, molte riviste hanno creato rubriche dove casalinghe demoniache raccontano come riescono ad avere la meglio sul consorte. Il tutto viene presentato sempre in chiave scherzosa, ma tradisce un risentimento profondo e in buona parte giustificato.
C’è poco da ridere, invece, in uno dei romanzi più venduti e discussi degli ultimi anni, Le quattro casalinghe di Tokyo. Tutto prende le mosse nel momento in cui la giovane e graziosa Yayoi, madre e moglie esemplare, in un impeto di rabbia strozza il marito tornato a casa ubriaco dopo aver dilapidato i risparmi per darsi alla pazza gioia con una ragazza cinese abbordata in un bar. Non sapendo come fare per sbarazzarsi del corpo, Yayoi chiede aiuto a una collega la quale coinvolge a sua volta un’altra amica, anch’essa assai logorata da una situazione famigliare complicata. Le donne scoprono che non è poi così impossibile smaltire un cadavere e pensano bene di ripetere l’impresa a scopo di lucro. Per farla breve, mettono in piedi un’impresa per l’eliminazione di morti ammazzati.
Detta così può sembrare una vicenda ai limiti dell’assurdo. Il romanzo, però, è scritto con crudo realismo e mostra un Giappone lontano anni luce da quella società opulenta e sicura che solitamente si immagina. Le casalinghe demoni che descrive sono operaie costrette a fare il turno di notte in uno stabilimento dove si preparano colazioni preconfezionate. Sono logorate da una sistema che chiede tutto e concede pochissimo, soprattutto alle donne, considerate, a seconda dei casi, macchine da figli, mano d’opera a costo ridotto, carne di cui approfittare alla prima occasione.
Kirino Natsuo, autrice del romanzo, è oggi una best-seller ma ha iniziato la sua carriera con uno pseudonimo maschile per evitare di essere censurata. Può sembrare incredibile ma è così. Invitata alla radio per parlare della sua opera, ha dovuto affrontare le ire del conduttore che trovava assurdamente intollerabile l’idea di una casalinga che uccide il proprio marito. Tanto per dare un’idea del clima con cui la scrittrice ha fatto i conti.
Benché il numero di donne assassine non sia per nulla superiore alla media, i giapponesi sono ossessionati dalla criminalità femminile. Ma anche questa è una vecchia storia. Intorno al 1870, all’inizio della cosiddetta era Meiji, su giornali e riviste cominciarono ad apparire racconti ispirati a fatti di cronaca ma ricchi di esagerazioni e abbellimenti letterari. Protagoniste erano quasi sempre donne di bassa estrazione sociale che, volenti o nolenti, finivano per delinquere. Il profilo di queste eroine criminali era sempre lo stesso: sfrenata lascivia, temperamento violento, grande avidità. Venivano chiamate dokufu, donne velenose, e divennero subito una potente e duratura icona dell’immaginario popolare che ha esercitato un’enorme influenza sulla definizione della sessualità femminile lungo tutto il XX secolo.
Da un fatto di cronaca
La condizione femminile è una spia fondamentale della civiltà di un popolo. Non sorprende dunque che la “donna velenosa” abbia preso forma quando il Giappone si aprì all’Occidente iniziando un periodo di profondi e tormentati cambiamenti. Un analogo discorso può essere fatto per la criminalità. Sovente le trasgressioni di chi è emarginato o discriminato vengono avvertite come una minaccia alla sicurezza generale, assurgendo così a simbolo di paure sociali che riguardano sfere ben più ampie della mera criminalità. Basti pensare a quel sta accadendo oggi in Italia: all’isteria collettiva di cui sono vittime i rom.
Alla maniera dei racconti di donne velenose che spopolavano sui giornali dell’era Meiji, i romanzi di Kirino Natsuo prendono spesso spunto da fatti di cronaca. “Se compito della legge è porre dei limiti alle emozioni umane, quello della letteratura è raccontare ciò che la legge non riesce a contenere” afferma la scrittrice. L’ultimo, Grotesque, (Neri Pozza, bella traduzione di Gianluca Coci, pp. 924, €22) è ispirato a un caso che suscitò molto scalpore nella seconda metà degli anni Novanta: l’omicidio di una trentanovenne dalla doppia vita. Di giorno ricercatrice per un’importante azienda, di notte puttana di strada. Il suo corpo fu trovato in un appartamento abbandonato di Shibuya, a Tokyo. Tutti si domandarono cosa avesse spinto una donna con un buono impiego a degradarsi in quel modo. Nel romanzo, Kirino raddoppia la posta. Le donne diventano due. Non potrebbero essere più diverse tra loro. Una è dotata di una bellezza quasi sovrannaturale che le spiana la strada in ogni situazione, l’altra è bruttina e sgraziata e riesca a spuntarla solo grazie a un’ottusa caparbietà. Ciò nonostante il loro destino si compie alla stessa triste e violenta maniera: si prostituiscono e finiscono per restare uccise in modo feroce.
Nate non solo per servire
Non ci troviamo davanti a donne velenose in senso stretto né a mogli demoniache, bensì a due femmine “grottesche” ovverosia persone che a forza di scontrarsi con le convenzioni sociali scoprono che l’unico modo concesso loro di acquisire un surrogato di libertà è quello di trasformarsi in qualcosa di mostruoso e perverso. Il critico di un quotidiano inglese ha paragonato la tragica caduta di queste donne alla saga dei fratelli Karamazov. L’accostamento potrà apparire eccessivo, ma è un fatto che Grotesque è romanzo ambizioso e di ampio respiro, un libro dalla voce rabbiosa che è al contempo un’indagine meticolosa della psiche femminile e un atto di accusa nei confronti di una società che ancora oggi fatica ad accettare l’idea che le donne non sono nate soltanto per servire.

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