17 Dicembre 2022
Il Quotidiano del Sud

Grazia Deledda e il Premio Nobel

di Franca Fortunato


Il dieci dicembre 1927 a Stoccolma una donna, una grande scrittrice italiana, ricevette il Premio Nobel per la Letteratura, la prima e unica ad oggi. Il suo nome è Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871. Una donna determinata e testarda che, credendo in se stessa, ha saputo farsi strada nel mondo letterario del suo tempo, un mondo misogino e sessista, ostile a ogni donna che pretendesse di fare della scrittura la propria professione. Appassionata di libri e di storie sin dall’infanzia, leggeva sempre e ovunque e così cominciò a scrivere giovanissima. Amava andare a scuola ma, come per tante della sua generazione, i genitori le proibirono di continuare dopo la quarta elementare perché “femmina” ma non le negarono lo studio che continuò a casa con un precettore e poi da sola. A 17 anni pubblicò la sua prima novella, dove in modo spietato descriveva l’ipocrisia e l’arretratezza della realtà del suo paese natio. Fu un grido unanime, “vergogna”, fu accusata di scrivere menzogne e calunnie. Anche i genitori e le zie la rimproverarono e la criticarono. Che si cercasse un marito, scrivere non è da “femminina”. Grazia deluderà tutte/i, continuando a scrivere e a pubblicare, restando fedele al suo desiderio profondo di diventare una grande scrittrice. Inseguirà il suo sogno e la sua ambizione fuori dalla Sardegna, a Roma, la “Gerusalemme della cultura”, dove si trasferisce con Palmiro Madesini, l’uomo che diventerà suo marito e suo agente letterario. Grazia vuole scrivere ma anche sposarsi, vuole lavorare ma anche avere figli, non vuole scegliere tra maternità e lavoro, aiutata e sostenuta in questo dall’uomo che ha scelto come suo compagno, un uomo che non la invidia, che non è geloso del suo successo, anzi è contento, la sostiene e la rende felice. In un tempo patriarcale come quello del primo Novecento, un uomo che lascia il lavoro per mettersi al servizio di una donna, un’intellettuale, suscita negli altri uomini disprezzo. È così che Luigi Pirandello lo ridicolizzerà in una sua opera, lui invidioso della scrittrice “ignorante” che gli aveva sottratto il Nobel. Lasciata la Sardegna per inseguire il suo sogno, Grazia non cesserà per tutta la vita di amare e raccontare con “la sua potenza di scrittrice” la sua terra e “la vita quale è nella sua appartata isola nativa” – come si legge nella motivazione al Nobel –. A quella terra natia da cui è fuggita, al suo amore per essa che, consapevole o meno, la tiene legata simbolicamente alla madre, la sua origine, deve la sua forza e la sua arte, come ha ricordato nel suo discorso a Stoccolma, dove sul palco è salita mano nella mano con il marito. «Sono nata in Sardegna. La mia famiglia composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche una biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei (…). Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo». Un’arte originale, cioè radicata nelle sue origini, la terra, la madre, che ha fatto di lei una grande scrittrice e l’ha resa degna di quel Nobel assegnato quest’anno alla scrittrice francese Annie Ernaux.


(Il Quotidiano del Sud, 17 dicembre 2022)


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