18 Dicembre 2023
Corriere della Sera

Heinz Bachmann: «Vidi Ingeborg rifiorire a Roma, lei incrociava felicità e malinconia»

di Ilaria Gaspari


A cinquant’anni dall’incidente in cui la poetessa perse la vita, il ricordo del fratello minore. La risalita dopo la rottura con Max Frisch. «Era rigorosa, severa. Le interviste la mettevano a disagio, ma ne ho ascoltata una in italiano e sembrava meno timida»


Nell’autunno del 1973, cinquant’anni fa, Ingeborg Bachmann moriva in una stanza asettica del reparto Grandi ustionati all’ospedale romano di Sant’Eugenio, per le conseguenze del rogo accidentale innescato dalla brace di una sigaretta. Aveva quarantasette anni e da venti, con varie interruzioni, abitava a Roma: aveva traslocato molte volte, spostandosi dal centro ai Parioli, dove visse per qualche tempo con lo scrittore Max Frisch, poi di nuovo in centro. Alla sua morte, Heinrich Böll dichiarò di «pensare a lei come a una ragazza»: parole che Heinz Bachmann, il fratello di tredici anni più giovane, che Ingeborg adorava, riprende nel libro di ricordi che le ha dedicato (Ingeborg Bachmann, meine Schwester), pubblicato da Piper, storico editore delle opere di lei. Heinz, geologo, ha viaggiato in tutto il mondo e oggi vive a Oxford con la moglie Sheila – c’è nel libro una foto del loro matrimonio, nell’agosto del ’71 a Paddington, in cui sorridono insieme a Ingeborg splendenti di felicità.

Noi che amiamo lopera di sua sorella, non possiamo che esserle grati per averci donato questo ritratto affettuoso.

«Mi fa molto piacere. Forse, mi dico, ho fatto la cosa giusta. Sa, non è stato facile scriverlo, io sono uno scienziato e ho uno stile… da scienziato. Ho cominciato con l’idea di dover essere obiettivo al massimo. Lette le prime pagine, dalla casa editrice mi hanno fatto notare che doveva essere invece il racconto di un’esperienza molto personale. Ho dovuto cambiare completamente stile. Ma ci tenevo a scrivere qualcosa che potesse trasmettere un’immagine completa di mia sorella, raccontarla com’era quando non stava sotto gli occhi del mondo. Era molto nota: in Austria era una celebrità. Non poteva uscire senza essere riconosciuta. Pensi che all’epoca le persone mi fermavano…».

In quanto fratello di Ingeborg?

«Sì! Ora magari non si direbbe, perché sono un vecchio signore. Ma da ragazzo, la nostra somiglianza era così evidente che spesso le persone, incontrandomi la prima volta, mi dicevano: “Oh! tu devi essere il fratello”».

Nelle fotografie della giovinezza vi somigliate molto. È vero che non sappiamo che viso avrebbe avuto lei, se fosse vissuta fino a poter invecchiare… Negli anni, in assenza di Ingeborg, è cambiato il suo modo di leggerla?

«Per me è sempre stato molto importante non solo leggerla, ma cercare di comprendere il suo sforzo di trasmettere le sue idee in un modo nuovo. Negli anni ’50 e ’60 si distingueva davvero, si era inventata un suo stile. Sono cresciuto con le sue parole, che hanno contribuito a modellare il mio pensiero. Ora, più li rileggo, più i suoi testi, che mi hanno reso quello che sono, continuano a rivelarmi aspetti – di lei, di me – che non avevo ancora compreso».

Nel 1962, andò a trovarla a Roma e le scattò una serie di fotografie bellissime che spesso compaiono sulle copertine dei suoi libri. Immaginava che sarebbero diventate così celebri?

«Come fotografo ero un principiante assoluto, e a dirla tutta non è che poi abbia fatto grandi progressi. Ma ho scattato quelle foto con amore. È raro che su oltre settanta scatti la maggior parte sia quasi perfetta. Capita che il soggetto chiuda gli occhi, ad esempio, per una frazione di secondo. Invece sono venute quasi tutte bene. Lei era felice che l’esperimento fosse riuscito, io anche: non ho mai fatto foto tanto belle in vita mia, né prima né dopo. Un colpo di fortuna. Comunque, oltre alla serie scattata da me, rimangono tante fotografie di lei. Nell’archivio Frisch c’è una foto di loro due insieme sulla terrazza di via De’ Notaris [dove vissero insieme, ndr], scattata da Mario Dondero, in cui lei porta un vestito con la gonna a losanghe: ne abbiamo ritrovata un’altra di lei sorridente con lo stesso vestito, sembra proprio una ragazza. È la foto a cui penso quando penso a lei».

Qual era il tratto principale della sua personalità?

«Parecchie persone sono convinte che fosse molto seria, quasi severa. In realtà, anche se certo pensava con una logica limpida, rigorosa, era soprattutto divertente. Amava raccontarci piccole storie buffe. Persino dopo la rottura con Max Frisch… È vero, ha vissuto un periodo cupo, ha sofferto. Ma man mano che si riprendeva dallo shock, i suoi tratti più felici sono riapparsi. Per noi vederla rifiorire è stato bellissimo. Parlo per me e per Isolde, la sorella di mezzo».

Isolde e Ingeborg avevano solo pochi anni di differenza.

«Isolde è in vacanza in Grecia. Ha 95 anni. Viaggia da sola, è molto in forma».

Nellautunno 73, mentre Ingeborg era ricoverata al SantEugenio, il marito di Isolde, Franz, morì in un incidente stradale, lasciandola sola con sei bimbi…

«Una coincidenza tremenda. Per molti anni non sono riuscito a parlare di quel periodo. Oltretutto si era diffuso il sospetto che mia sorella fosse stata uccisa: era completamente assurdo, ma è una cosa che succede, quando muoiono persone famose. Si spargono le voci più incredibili. E accadeva anche prima dei social media».

A proposito: sua sorella era felice di essere famosa? In molti filmati sembra timida.

«Era timida. Le interviste la mettevano a disagio, e credo che la sua reputazione di persona molto seria sia nata anche da questo. Intellettualmente, come dicevo, era seria, sì: ma nella vita di tutti i giorni veniva fuori la sua personalità buffa, aperta. Recentemente ho ritrovato un’intervista in cui parla in italiano. È così diversa rispetto a quelle in tedesco! Sembra molto più felice, a suo agio, spumeggiante».

Ci sono registrazioni in cui legge poesie in un bellissimo italiano: aveva tradotto Ungaretti, era ormai la sua seconda lingua. E nel documentario-intervista girato da Gerda Haller nella sua ultima estate, ride molto. Ha visto il film che le ha dedicato Margarethe von Trotta, Viaggio nel deserto?

«Prima di iniziare la lavorazione la regista mi ha voluto incontrare, abbiamo parlato a lungo. Quando ho visto il film, sono rimasto affascinato. Mostra i suoi due lati. La sua attitudine alla felicità. E la malinconia».

Vicky Krieps, lattrice che linterpreta, mi è parsa molto convincente. Ma non so che effetto possa aver fatto a lei…

«Incredibile. È stato sconvolgente. Il modo di muoversi, la postura… la voce. Mi è sembrato di sentire mia sorella».

Nel film, Ingeborg appare molto sola in un mondo intellettuale ancora dominato dagli uomini.

«Sì. C’è una scena in cui fa un discorso davanti a una platea di soli uomini, anziani, austeri. Mi ha fatto ripensare a una lettera che ci aveva spedito a casa – ce ne mandava di molto divertenti. Diceva: “Sono sempre insieme a questi uomini, a parlare con loro di cose serie, e intanto le loro mogli se ne stanno lì sedute a bere il caffè”».

È stata una pioniera: una poetessa, donna, sulla copertina dello Spiegel nel 54. Ma nella vita non è stata sola: ha avuto molte amiche. Volevo chiederle di Maria Teofili, che a Roma per anni lha aiutata a gestire le faccende pratiche. Era una buona amica, credo…

«Molto. È morta qualche anno fa. L’ho incontrata diverse volte quando sono stato a trovare mia sorella a Roma. E ci ha dato una mano anche all’epoca dell’incidente: quando abbiamo dovuto liberare l’appartamento di Palazzo Sacchetti, con Sheila, lei era lì ad aiutarci. La comunicazione era un po’ difficile, perché io non parlavo italiano. Ma so quanto è stata importante per Ingeborg».

Ho incontrato varie persone che lavevano conosciuta, come Ginevra Bompiani, Moshe Kahn… ma anche chi lha amata attraverso la sua opera. Ogni volta ho la sensazione di un legame speciale, affettuoso. Credo che sia dovuto al fatto che la sua scrittura è toccante in un modo che non può lasciare indifferenti. Capita anche a lei di avere questa percezione?

«Mi piacerebbe che chi la legge potesse comprendere quanto fosse straordinaria non solo sul piano intellettuale, ma anche umano. Non era una persona astratta, era una donna gentile. Chi l’ha conosciuta lo ricorda, solo che il tempo passa e sono sempre meno le persone che hanno avuto l’occasione di frequentarla. Ma spero che la sua immagine viva per sempre».


(Corriere della sera, 18 dicembre 2023)

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