19 Giugno 2021
il manifesto

I dispositivi della cura e le migrazioni femminili

di Laura Marzi


La ricerca Il lavoro che usura. Migrazioni femminili e salute occupazionale condotta da Veronica Redini, Francesca Alice Vianello e Federica Zaccagnini edita da FrancoAngeli (pp. 144, euro 19) verte sulla condizione di salute delle donne che migrano in Italia. In particolare le intervistate sono moldave che in Veneto per la maggior parte lavorano come assistenti familiari (badanti). Questo studio, quindi, analizza il lavoro di cura, a partire da una domanda particolarmente interessante: come stanno le donne che in Italia si occupano degli anziani e delle persone malate?

La cura è un dispositivo critico interdisciplinare che può quindi essere esplorato a partire da diverse prospettive di analisi, per questo nell’introduzione le autrici specificano che: «il libro presenta i risultati di una ricerca pilota multi-metodo e multi-disciplinare», condotta a partire da riflessioni teoriche, analisi qualitative e quantitative.

La tematica intorno alla quale ruota questa indagine estremamente innovativa sulla condizione di salute delle care-givers viene affrontata in primo luogo a partire dalla «femminilizzazione delle migrazioni». La catena migratoria ha subito infatti una trasformazione fondamentale negli ultimi trent’anni: «la letteratura ha in generale fatto emergere come le donne, migrando, siano riuscite a declinare al femminile le responsabilità di bread-winner».

Si concentra poi sulle caratteristiche del lavoro che svolgono le donne moldave emigrate a Padova, target principale di questo studio. Emerge prima di tutto un esubero del monte orario, anche rispetto a ciò che è indicato nel Ccnl, che per le assistenti familiari prevede 54 ore di lavoro settimanali.

Nella realtà, le donne che svolgono il lavoro di assistenti familiari, spesso risiedendo nella casa della persona di cui si occupano, non hanno vere e proprie pause e la loro paga, stando ai grafici molto chiari contenuti nel volume, nella maggior parte dei casi non arriva ai 5 euro all’ora. In questa condizione di disponibilità costante e necessaria, che spazio può avere la fragilità delle care-workers? «Nel caso delle assistenti familiari, queste riportano la necessità di dover lavorare anche in caso di malattia. Più di una lavoratrice ha raccontato che in caso di malattia o durante il periodo di ferie, lei stessa si occupava di trovare e pagare una persona che la sostituisse». Considerata la stringente necessità che le famiglie italiane hanno del lavoro di queste donne, tale bisogno non prevede comprensione quando si tratta della vulnerabilità o delle esigenze delle lavoratrici.

Dal punto di vista medico, quando arrivano in Italia le donne moldave sono tendenzialmente più sane delle italiane: «vi è la conferma di una migliore salute rispetto alla popolazione nativa che però si deteriora tra coloro che risiedono da più tempo nel paese di immigrazione».

I medici intervistati, a proposito delle donne straniere che hanno in cura, sottolineano una differenza significativa tra la salute delle «donne dell’est» e quella delle donne dell’Africa subsahariana, che sarebbe decisamente peggiore, anche perché queste hanno maggiori difficoltà a usufruire dei servizi del sistema sanitario italiano. Nessuno dei medici intervistati fa riferimento alla salute psicologica di queste lavoratrici, anche se: «solo il 2% delle donne intervistate soffriva di depressione, mentre dopo la migrazione il dato sale al 13%». E neanche viene fatta menzione da parte dei medici della «sindrome Italia», che indica «la sofferenza psichica delle donne migranti che viene indissolubilmente associata a quella dei loro figli rimasti a casa». Ovviamente le analisi effettuate non riguardano le derive, ancora sconosciute, generate dalla pandemia di Covid-19.

La ricerca ha il merito non solo di porre una domanda tanto ovvia quanto ignorata: come stanno le donne straniere che si occupano di noi? Quanto riusciamo a prenderci cura di loro? Lo fa a partire dalle voci e dalle esperienze delle lavoratrici, senza sovrapposizioni o travisamenti.


(il manifesto, 19 giugno 2021)

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