Giuliana Bruno
I luoghi sono come le persone: è l’emozione a farceli incontrare. Si desidera un luogo così come si desidera un essere amato. Quando ci avviciniamo a un paesaggio sconosciuto col desiderio di farlo nostro, proviamo lo stesso sciame di emozioni che scopriamo di fronte a chi ci cattura con l’intelligenza dei sensi. Di un luogo ci si può letteralmente innamorare. E poiché i luoghi raccolgono le nostre memorie e i nostri desideri profondi, potremmo dire che si viaggia per scoprire la propria geografia interiore. Fu così, con amorosa trepidazione, che, lasciando giovanissima Napoli con una Fulbright, mi avvicinai a New York. Nella metropoli cosmopolita, una vera e propria isola sulle coste degli Stati Uniti, mi sentii stranamente subito a casa. Era come se l’avessi riconosciuta pur senza averla mai vista. La riconoscevo, questa cosmopoli marittima, perché quel suo paesaggio liquido, di movimenti e migrazioni, di connessioni e commistioni, ce l’avevo in me. Non poteva che nascere lì la mia idea di geografia emozionale, un’idea che mi portavo dentro e che mi spingeva intimamente, nella vita come nella ricerca, a legare movimento ed emozione. Il sorprendente viaggio di scoperta di una città di flussi e quell’itinerario di riscoperta che è il reinventarsi scrittrice in una lingua straniera mi hanno letteralmente trascinata nell’impresa. La lingua inglese evidenziava questo mio “trasporto”, ricordandomi la matrice latina del nodo tra motion e emotion. Avevo studiato molto latino a Napoli, ma solo riguardando con gli occhi di chi se ne è andato, ho potuto riconoscere che l’emovere latino, da cui deriva la nostra “emozione”, indicava esso stesso un andarsene: un vero e proprio “uscire da sé”. Questa emozione mi ha spinta a guardare a fondo negli scritti di viaggio. Continuavo a trovare sul mio ibrido cammino antiche “lady traveler”, che avevano perlustrato l’universo per portare nel mondo qualcosa di sé. Scoprivo che era capitato a tanti viaggiatori (dell’anima) prima di me di sentire la spinta interna, la trasformazione intima, il trasporto dell’emozione. Ciò che si muove smuove. L’ho imparato soprattutto da Madeleine de Scudéry, la letterata parigina che nel lontano 1654 disegnò la Carte du pays de Tendre, la mappa del tenero, dando forma tangibile alle atmosfere dell’animo. Il mondo esterno esprime un paesaggio interiore e le emozioni implicano un vero e proprio moto. Sono una topografia ricca di imprevedibili itinerari. Uscire da sé significa immergersi nel flusso e riflusso di questa psicogeografia personale e tuttavia sociale. Così il mio Atlante delle emozioni, scritto in inglese come diario di bordo di un viaggio interiore en plein air, ha preso esso stesso a viaggiare nel mondo (destino di un atlante!) ed è ritornato in Italia facendomi riscoprire aspetti molto teneri della mia personale geografia emozionale. Nell’andare lontano succede infatti di ritrovarsi. E di riavvicinarsi.*docente a Harvard. Ha scritto Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema (Bruno Mondadori Editore, Milano 2006)