Benedetta Craveri
Nel corso di una serata musicale, una giovane vedova del bel mondo parigino osserva inquieta l’amante corteggiare un’altra signora e partire con lei in carrozza. Tornata a casa, la dama aspetta inutilmente di essere raggiunta dall’uomo amato e, in preda alla “confusione e al turbamento”, gli scrive per avere una spiegazione. Ma anche l’indomani egli non dà notizie di sé e a quel primo biglietto seguiranno, il giorno successivo, altre quarantatré missive che registreranno come un sismografo il crescendo di ansia, di gelosia, di follia della donna che si crede abbandonata e che non riesce a capacitarsene. Pubblicato nel 1824, Ventiquattr’ore di una donna sensibile di Constance de Salm si inscrive nella lunga tradizione del romanzo epistolare, riprendendo la formula monodica messa in voga dalle Lettere di una monaca portoghese(1669), modello archetipico del genere. Eppure lo stesso virtuosismo tecnico della narrazione, che si attiene rigorosamente alla regola delle 24 ore del teatro classico, accentua il timbro moderno di una confessione privata assai vicina all’intonazione del diario intimo. E se pure questo lungo e coinvolgente monologo riserva un inatteso lieto fine, il suo ansimare angoscioso ci ricorda quello dell’eroina della Voce umana di Cocteau. Originale e romanzesca è anche la personalità dell’autrice di questo breve romanzo ingiustamente dimenticato. Bella, spregiudicata e anticonformista, Constance Marie de Théis, principessa di Salm (1767-1845) condusse, come ci informa Claude Shopp nella sua postfazione, una esistenza avventurosa e fu una poetessa ammirata e una femminista convinta. Eppure – è lei stessa a dichiararlo – questo suo “studio del cuore di una donna” intendeva essere in primo luogo “una lezione” sui pericoli propri alla “sensibilità” femminile.